Reati edilizi, come si applica la particolare tenuità del fatto?

Articolo del 11/12/2025

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Quando un abuso edilizio può essere considerato di particolare tenuità, tale da escludere la punibilità ai sensi dell’art. 131-bis c.p.?

È sufficiente rimuovere le opere o adottare condotte riparatorie successive al fatto?

Sulle quesiti è intervenuta la Terza Sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 36349 depositata il 7 novembre 2025.
La Corte ha precisato che non basta la rimozione delle opere o altre condotte post delictum: serve una valutazione complessiva dell’offesa, considerando anche tipologia, consistenza e impatto dell’abuso.

La vicenda

Nel caso di specie, gli imputati avevano realizzato opere abusive non autorizzate, successivamente eliminate.

Il Tribunale aveva applicato la causa di non punibilità, ritenendo decisive le condotte post delictum.

Il pubblico ministero ricorreva sostenendo che le opere non fossero affatto “tenui”: realizzate in zona vincolata, non sanabili, prive di titolo e in parte in violazione della normativa antisismica.

La cornice normativa e giurisprudenziale

Il cuore della questione è l’art. 131-bis c.p., come modificato dal d.lgs. 150/2022, che oggi consente di valutare anche la condotta successiva al reato.

La Cassazione ricorda che:

  • le condotte post delictum sono solo uno degli elementi rilevanti;

  • il giudizio deve considerare tutti i parametri dell’art. 133 c.p.: natura del fatto, mezzi utilizzati, danno o pericolo, intensità del dolo o della colpa;

  • non è possibile attribuire valore decisivo a comportamenti riparatori se l’offesa, al momento della commissione, risulta oggettivamente grave;

  • in materia edilizia e urbanistica, la giurisprudenza costante richiede un accertamento puntuale su: consistenza dell’intervento, contrasto con strumenti urbanistici, possibilità di sanatoria, presenza di vincoli, difformità dal titolo, modalità esecutive.

In altre parole, per i reati edilizi la lesione incide sull’assetto del territorio, un bene di rilevanza pubblica: proprio per questo l’abuso raramente può definirsi “minimo” in via automatica.

La decisione della Corte

La Cassazione censura la sentenza di merito perché aveva considerato solo l’elemento riparatorio, omettendo la valutazione complessiva richiesta dalla legge e dalla giurisprudenza.

Gli abusi riguardavano un manufatto realizzato:

  • senza alcun titolo;

  • in zona sottoposta a vincoli;

  • in parte contro la normativa antisismica;

  • senza possibilità di sanatoria.

Secondo la Corte, la sola eliminazione successiva delle opere non può annullare l’offesa originaria, né trasformare un fatto non tenue in un fatto tenue. L'intervento abusivo, per dimensioni e collocazione, appariva idoneo a escludere in radice la particolare tenuità.

Il principio che emerge è chiaro: le condotte successive al reato possono influire sulla valutazione dell’offesa, ma non sono sufficienti, da sole, a far considerare tenue un fatto che, nella sua origine, presenta un’offesa significativa.

Il processo viene quindi rinviato per una nuova valutazione, questa volta globale e conforme ai criteri dell’art. 133 c.p.

Cosa ci portiamo a casa

La sentenza offre un criterio operativo semplice:

  • prima si guarda al fatto, alla sua gravità oggettiva e al danno urbanistico prodotto;

  • poi si considera il comportamento successivo, utile ma non decisivo;

  • infine si compie un giudizio unitario, evitando automatismi.

Per i reati edilizi, la particolare tenuità del fatto non può essere riconosciuta solo perché l’imputato ha ripristinato lo stato dei luoghi: è necessario che l’abuso, già nella sua essenza, presenti un’offesa realmente minima.

Un buon promemoria per gli operatori: nel diritto urbanistico, la riparazione è apprezzabile, ma non sempre basta a far “sparire” il reato.

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