Caso Regeni, la sentenza della Consulta che sblocca il processo

Articolo del 26/10/2023

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Il processo per il sequestro e l’omicidio di Giulio Regeni, che coinvolge come imputati quattro agenti della National Security egiziana, può finalmente andare avanti.

È l'effetto della sentenza n. 192 del 26 ottobre 2023, con cui la Corte costituzionale ha accolto la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma.

Il processo era in stallo da mesi a causa della mancata comunicazione degli indirizzi da parte degli imputati.

La Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 420-bis, comma 3, del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede che il giudice possa procedere in assenza per i delitti commessi mediante gli atti di tortura definiti dall’art. 1, comma 1, della Convenzione di New York contro la tortura quando, "a causa della mancata assistenza dello Stato di appartenenza dell’imputato, è impossibile avere la prova che quest’ultimo, pur consapevole del procedimento, sia stato messo a conoscenza della pendenza del processo".

Rimane salvo il diritto dell’imputato stesso a un nuovo processo in presenza per il riesame del merito della causa.

La Corte ha precisaro che lo statuto universale del crimine di tortura, come delineato dalle dichiarazioni sovranazionali e dai trattati, incide profondamente sulla dignità umana, rendendo il dovere dello Stato di investigare tale crimine "il volto processuale del dovere di salvaguardia della dignità".

La paralisi sine die del processo a causa della mancata cooperazione dello Stato di appartenenza dell’imputato "non è accettabile", come ha osservato la Corte. Questa paralisi crea una sorta di "immunità de facto", che va contro i principi fondamentali dei diritti umani e le norme stabilite dalla Convenzione di New York.

È essenziale garantire che il processo non rimanga fermo. Questo può essere garantito senza compromettere i diritti dell'imputato. Piuttosto, come la Corte ha sottolineato, i diritti possono essere riconosciuti in differenti fasi del processo, assicurando che ogni aspetto del procedimento per crimini di tortura rispetti il "principio del giusto processo".


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