Salario minimo negli appalti: la legge pugliese supera il vaglio della Consulta

Articolo del 18/12/2025

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La Corte costituzionale, con la sentenza n. 188 del 16 dicembre 2025, dichiara inammissibili i ricorsi del Governo contro la legge della Regione Puglia che, negli appalti pubblici, utilizza la soglia dei nove euro l’ora come criterio di verifica del CCNL indicato in gara. La Consulta non entra nel merito del livello retributivo: il ricorso è costruito come se la Regione avesse introdotto un salario minimo generalizzato, mentre la norma opera solo nel perimetro delle procedure di evidenza pubblica.


La questione posta alla Consulta

La questione affrontata dalla Corte è se una Regione possa, nelle proprie procedure di evidenza pubblica, imporre alle stazioni appaltanti di verificare che il CCNL indicato in gara preveda una retribuzione minima tabellare pari a nove euro l’ora, senza invadere competenze statali o comprimere l’autonomia della contrattazione collettiva.

Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna:

  • l’art. 2, comma 2, della legge regionale Puglia n. 30/2024, nella versione originaria;

  • e l’art. 21 della legge regionale n. 39/2024, che sostituisce il riferimento al “trattamento economico minimo” con quello alla “retribuzione minima tabellare”.

I parametri evocati sono gli artt. 36, 39 e 117, secondo comma, lettere l) e m) della Costituzione.


Il contesto normativo di riferimento

Per comprendere la decisione occorre guardare al contesto normativo in cui si inserisce la disposizione pugliese.

L’art. 2 della legge regionale è rubricato “Procedure di gara”. Il comma 1, non impugnato, rinvia all’art. 11 del d.lgs. 36/2023 (Codice dei contratti pubblici) e impone di indicare negli atti di gara il CCNL maggiormente attinente, stipulato dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative. Il comma 2 aggiunge la verifica che tale contratto preveda una soglia minima di nove euro l’ora.

I commi successivi, anch’essi non contestati, consentono all’operatore economico di indicare un diverso CCNL, rimettendo alla stazione appaltante il giudizio di equivalenza.

Questo impianto colloca la norma nel fenomeno dell’uso “strategico” dei contratti pubblici: le gare non servono solo a selezionare l’offerta economicamente più vantaggiosa, ma anche a perseguire obiettivi sociali, tra cui la tutela dei lavoratori.


La decisione della Corte: perché il ricorso è inammissibile

Su questa base, la Corte compie il passaggio decisivo.

La disposizione regionale non introduce un obbligo generalizzato di retribuzione minima valido per tutti i rapporti di lavoro privato nel territorio pugliese. Il suo ambito è limitato agli appalti pubblici e alle concessioni affidati dalla Regione e dai suoi enti strumentali. Da questa qualificazione discendono tutte le conclusioni della sentenza.

Quanto all’art. 36 Cost., il ricorso del Governo è dichiarato inammissibile per difetto di motivazione: affermare che l’ordinamento non conosce un salario minimo legale non basta, se non si spiega perché una soglia retributiva utilizzata come criterio di gara violerebbe i principi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione.

Analoga sorte subisce la censura fondata sugli artt. 36 e 39 Cost.. Il Governo ragiona come se la legge pugliese imponesse un minimo salariale erga omnes, ma non si confronta con il funzionamento concreto della norma nelle procedure di gara, dove restano centrali sia la scelta del CCNL sia il meccanismo di equivalenza. Anche qui la Consulta rileva un’errata prospettiva.

Sul piano delle competenze, la questione relativa all’art. 117, secondo comma, lettera l) Cost. è dichiarata inammissibile perché il ricorso richiama l’ordinamento civile senza considerare che la disciplina incide sulla fase di selezione del contraente, tradizionalmente ricondotta alla tutela della concorrenza. Quanto alla lettera m), il riferimento ai livelli essenziali delle prestazioni resta del tutto assertivo e privo di motivazione.


Le conclusioni

La sentenza n. 188/2025 chiarisce un punto essenziale: negli appalti pubblici il perimetro conta più delle etichette. La legge pugliese supera il vaglio della Consulta non perché la Corte approvi in astratto una soglia di nove euro l’ora, ma perché il ricorso del Governo non coglie la natura della norma, che opera come criterio di gara e non come salario minimo generalizzato.

In pratica, se si contesta una disciplina pensata per i contratti pubblici come se fosse una regola sul mercato del lavoro nel suo complesso, la risposta della Corte è una sola: inammissibile.


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