Stupefacenti, la ratio e i principali caratteri dell'art. 73 DPR 309/90

Articolo di Carlo Alberto Zaina del 21/06/2023

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Oggi inauguriamo la pubblicazione di una serie di approfondimenti in materia di stupefacenti a cura dell'avv. Carlo Alberto Zaina, giurista che da anni studia la materia e la affronta nelle corti giudiziarie.

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Stupefacenti,  la ratio e i principali caratteri dell'art.  73 DPR 309/90

di Carlo Alberto Zaina 

L’art. 73 è, senza dubbio, l’architrave attorno alla quale ruota il sistema delle norme funzionali alla repressione delle attività illecite, contenuto nel Titolo VIII del DPR 9 Ottobre 1990 n. 309.

Si tratta di una norma concepita e strutturata per individuare ed abbracciare la massima estensione possibile di condotte e di ipotesi fattuali suscettibili di essere considerate penalmente illecite.

Essa appare coerente con l’architettura del T.U. sugli stupefacenti, che al suo apparire (e pure in prosieguo) intese innovare la precedente legislazione in materia (L. 22.12.1975 n. 685), in senso di palese e maggiore rigore.

Fu, in tal modo, accentuata la scelta di reprimere i comportamenti connessi all’uso, detenzione e spaccio di stupefacenti.

Tale impostazione afflittiva avrebbe dovuto subire, in teoria, un forte temperamento, se non addirittura un totale ridimensionamento, a seguito dell’esito della consultazione referendaria del 18 Aprile 1993 (decorrente dal 6 Giugno 1993) che ebbe ad abrogare il divieto di uso personale di stupefacenti, sino allora sancito dall’art. 72 comma 1.

Questa auspicata conseguenza non ha avuto, però, purtroppo, piena attuazione.

A tutt’oggi – trentatre anni dopo l’emanazione del Dpr 309/90 e trenta dopo il referendum –  per formulare un esempio significativo, il tema della rilevanza penale della condotta di detenzione di sostanze stupefacente, fattispecie che riveste una posizione di assoluta centralità nella trama del T.U., riceve, ancora nella quotidianità, le più svariate, contraddittorie e controverse risposte giurisprudenziali.

Al di là di valutazioni di politica legislativo-giudiziaria, per potere focalizzare le peculiarità della norma in esame è necessario precisare che l’art. 73 ha inteso assolvere, nelle intenzioni del legislatore a due precisi fini, tra loro diversi, ma tra loro complementari.

Da un lato, si palesa lo scopo di tutelare in generale la sicurezza pubblica.

Dall’altro, si rileva la specifica palese preoccupazione di fronteggiare e reprimere ogni forma di attentato alla salute della collettività[1].

Tale osservazione trova conferma nell’orientamento della Suprema Corte, sez. IV, 15 Maggio 2003, n. 29958[2], la quale ha affermato che “In tema di stupefacenti, scopo dell'incriminazione delle condotte previste dall'art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990 è quello di combattere il mercato della droga, espellendolo dal circuito nazionale poiché, proprio attraverso la cessione al consumatore viene realizzata la circolazione della droga e viene alimentato il mercato di essa che mette in pericolo la salute pubblica, la sicurezza e l'ordine pubblico, nonché il normale sviluppo delle giovani generazioni”[3].

I due suindicati scopi costituiscono, quindi, il bene giuridico[4], che la norma mira a presidiare, inserendosi nel binario tracciato dalla sentenza della Consulta n. 333 del 10-11 luglio 1991 e, che, prioritariamente, attiene alla “pubblica salute[5].

Queste duplicazione dei due fini perseguiti – prefissata anche dall’assetto della prcedente L. 22.12.1975 n. 685 – ha suscitato perplessità in dottrina.

CERQUA[6], infatti, partendo dal rilievo che la norma sanzionatoria ha evidente natura di reato a condotte plurime, sostiene che tale aspetto deriva dalla corretta individuazione del bene giuridico tutelato e cioè la salute pubblica minacciata dagli effetti nocivi dell’assunzione di stupefacenti.

La rilevanza del precipuo ed inderogabile interesse ai beni oggetto della tutela penale, e che, come appena indicato, possono essere individuabili in quelli della salute pubblica, della sicurezza e dell'ordine pubblico e della salvaguardia delle giovani generazioni, ha fatto sì di giungere, addirittura, alla conclusione che non assuma rilevanza scriminante, ai fini della punibilità del fatto, neppure la circostanza che il principio attivo contenuto nella singola sostanza oggetto di spaccio possa non superare la cosiddetta "soglia drogante" fissata tabellarmente (come da illustrazione che segue) per ciascuna sostanza da abuso dal DM 2006[7].

Quanto sopra sta a significare – sul piano giurisprudenziale - che anche lo spaccio di dosi di stupefacente, contenenti un principio attivo al di sotto della cd. soglia drogantede termina, pertanto, la messa in pericolo dei beni istituzionalmente tutelati dalla norma in disamina.

Come tale, siffatta condotta deve essere, per i supremi giudici, sanzionata[8].

Ha sostenuto, infatti, Cass. Sez. VI con la sent., 20/12/2019, n. 51600 (rv. 277574-01) che “In tema di stupefacenti, il reato previsto dall'art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, è configurabile anche in relazione alla cessione di dosi inferiori a quella media singola di cui al d.m. 11 aprile 2006, con esclusione delle sole condotte afferenti a quantitativi di droga talmente minimi da non poter modificare, neppure in maniera trascurabile, l'assetto neuropsichico dell'utilizzatore[9].

Quella sin qui richiamata è indubbiamente un’interpretazione spiccatamente rigida e severa, se non addirittura estrema e che suscita perplessità.

Se è vero che la “dose media singola” (D.M.S.) deve essere intesa[10] come “la quantità di principio attivo per singola assunzione idonea a produrre in un soggetto tollerante e dipendente un effetto stupefacente e psicotropo”, ci si deve, pertanto, domandare a quale fine sottende una deroga ermeneutica, destinata – de facto – a ridurre il concetto in questione ad una mera indicazione astratta priva di efficacia probatoria.

Appare, pertanto, evidente che il parametro in questione, abbia costituito un pessimo esempio di compromesso privo del carattere di tassativa determinatezza, di ancoraggio a genesi scientifichee legato, soprattutto, a valutazioni e scelte di discrezionalità politico-ideologica.

Il canone della d.m.s., invece, di rispondere alle attese, per le quali è stato oncepito, cioèoffrire soluzioni concrete nella quotidianità forense e giudiziaria, ha, invero, complicato non poco l’iter di selezione di criteri valutativi, provocando conclusioni giurisprudenziali ondivaghe e sovente contraddittorie.

Non si dimentichi che il canone in questione, infatti, che avrebbe dovuto decisivamente sostituire quello della dose media giornaliera (il quale presentava, se non altro, una forma di aggancio affatto superfluo con un criterio di carattere quanto meno temporale) è stato – alla luce dell’elaborazione giuriosprudenziale maturata -  malamente utilizzato.

Esso è apparso disancorato dalla realtà, in quanto non  ha individuato la vera quantità di principio attivo, che si ponga come elemento scriminante o meno rispetto all’ipotesi di reato.

La possibilità che il giudice possa operare una valutazione che allarghi la sfera del penalmente rilevante, anche in presenza di quantitativi inferiori alla soglia di cui alla d.m.s., è cartina di tornasole di quanto si va sostenendo. 

Si deve, infatti, ribadire lo stato di assoluta incertezza giurisprudenziale sull’argomento[11], che fa si che, come sostiene Mazzi “rimane dunque centrale la questione della prova in concreto del superamento della soglia dell’offensività[12].

La dose media singola è rimasta, così, funzionale a servire esclusivamente (attraverso il connubio con il moltiplicatore che, ex lege, varia da sostanza a sostanza) per determinare la Quantità Massima Detenibile, così come si può evincere  assai chiaramente dalla tabella che segue.

Questo parametro – che ritengo di elevatissima importanza ai fini decisori -  è ancora troppo poco conosciuto e, purtroppo, molto ignorato in concreto dalla quotidiana esperienza forense, sia da magistrati, che da avvocati.

Anche se esso non sfugge ad un profilo di compromissorietà, non si può, però, non sottolineare che esso -  pur in presenza di perplessità suscitate dall’adozione di fattori moltiplicatori tra loro differenti a seconda della sostanza esaminata – risulta di ausilio fondamentale nella pratica giudiziaria.

Esso costituisce una soglia utile per valutare l’effettiva offensività di condotte inerti (quali, ad esempio, quella genericamente detentiva di droghe o quella coltivativa, quest’ultima specialmente in materia di cannabis) che si differenziano da quelle di cessione o vero e proprio spaccio.

L’accertamento del numero di dosi può, infatti, risultare di teorico ausilio in presenza di sostanze rinvenute nella disponibilità di soggetti, colti nell’atto dello spaccio, al fine di operare una prognosi in ordine alla diffusività dell’attività illecita, al bacino di utenza cui la droga può essere destinata, alla capacità criminale dell’agente ed al ritorno economico che lo stesso può ottenere .

La pregnanza del paradigma della Q.M.D. si manifesta, invece, maggiormente, qualora il soggetto possa – a propria difesa - produrre attestazioni della condizione di assuntore della sostanza (qualunque essa sia) e, in particolare, in ipotesi di coltivazione di piante di cannabis, per attestare – tra i vari parametri apprezzabili[13] – la compatibilità del prodotto ottenuto con una destinazione al consumo personale del coltivatore[14].

In materia di applicazione del parametro del Q.M.D. è interessante il punto di vista di Froldi (2007)[15] osserva che, de jure condito, sarebbe stato preferibile conteggiare la QMD su base settimanale anziché giornaliera

L’”uso esclusivamente personale” andrebbe parametrato tenendo conto della provvista necessaria ad un tossicodipendente durante un’intera settimana.

Rimane sintomatica la circostanza che, essendo la QMD di canapa molto più alta della QMD delle droghe dure, il legislatore, implicitamente, ha voluto accettare la tesi della minore pericolosità tossicologico-forense della cannabis[16].

Altro aspetto sul quale ci si deve soffermare in via preliminare, concerne la vera e propria struttura della previsione dell’art. 73.

In primo luogo emerge un carattere di particolare atipicità.

Come sostenuto, infatti, da Cass. sez.II, 01/02/2019, n.37294, l’art. 73 configura una tipologia di norma che presenta una natura giuridica consistente in più fattispecie.

Per la prospettabilità del reato è, quindi, sufficiente, ovviamente, che il soggetto abbia posto in essere semplicemente una sola delle condotte previste nel testo normativo.

Sotto altro aspetto risulta evidente il carattere composito della norma.

Non si tratta, infatti, di un precetto correlato ad una o più condotte, tra loro congiunte od atelrnative, come rilvabile in altre fattispecie.

L’ipotesi di violazione dell’art. 73, invece, presuppone

a) un profilo comportamentale posto in essere dall’agente (le 17 condotte descritte al co. 1 – che si riferiscono a qualunque tipo di droga[17]),

b) l’assenza di una condizione giuridica positiva[18], in capo all’agente,

c) la specifica necessaria e preventiva qualificazione di stupefacente o psicotropo, in relazione alla sostanza oggetto della condotta sanzionata[19], con inserimento tassativo negli elenchi di legge.

Questo ultimo requisito estremamente qualificato evidenzia non solo il profilo della tassatività dell’inserimento della sostanza in una delle tabelle previste dall’art. 14, ma, sopratutto, la natura strettamente legale della nozione di stupefacente.

Grillo[20] evidenzia, infatti, la centralità nel nostro ordinamento dell’inclusione “della sostanza in una delle tabelle (formate sulla base dei criteri) di cui all’art. 14 del medesimo d.P.R.”, richiamando la pronunzia di SSUU 24.6.1998 Kremi ed altre successive tra il 2003 (Sez. VI Hassan) ed il 2011 (Sez. III, Ndreu).

Ovviamente vengono inseriti in tali elenchi tabellari solo quei prodotti che contengano un principio attivo idoneo a produrre effetti di alterazione psicofisica nell’assuntore[21].

Si addiviene così all’affermazione del principio della nozione legale di stupefacente[22], alla quale, peraltro,  rimangono estranei i cd. precursori che rientrano nella disciplina dell’art. 70 dpr 309/90[23].

Il precetto normativo, quindi, nella fattispecie, oltre alla descrizione della condotta illecita, contiene un duplice requisito di carattere amministrativo, l’uno soggettivo negativo, l’altro oggettivo positivo.

Ulteriore osservazione pertinente alle peculiarità dell’insieme degli illeciti contemplati dall’art. 73 è della appartenenza alla  categoria dei reati di pericolo e non già in quella di danno od evento.

L’intervenuta inclusione nella citata specie normativa, frutto anche di una progressiva, quanto rilevante evoluzione della materia, appare ormai pacifica, nonostante l’evidente osservazione che le plurime condotte, delineate dal comma 1° della norma in oggetto, ben potrebbero indurre a ritenere necessario per il perfezionamento materiale della fattispecie illecita e per la di lei punibilità l’evento della dazione o, comunque, della presenza fisica dello stupefacente.

Cass. Sez. IV Sent., 22/07/2019, n. 32513 (rv. 276686-01), affrontando il tema della’pplicabilità delle circostanza attenuante di speciale tenuità di cui all'art. 62, n. 4, cod. pen. l’ha esclusa riguardo al reato di cessione di sostanze stupefacenti, sia perché, vertendosi in materia di salute della persona si deve tenere conto del pericolo derivato al consumatore dall'azione dello spacciatore. (In CED Cassazione, 2019).

Analoga impostazione, che involge un comportamento prodromico alla vera e propria cesssione, proviene dalla Corte d'Appello Napoli Sez. VI Sent., 05/07/2019, che ha rilevato come la detenzione di numerose dosi preconfezionate in cellophane di due diverse sostanze stupefacenti di tipo eroina e cocaina sia caratterizzata da un elevato grado di pericolo per la salute umana[24].

La qualità di reato di pericolo, come detto, permette di anticipare il momento di sanzionabilità della condotta illecita anche ad una fase anteriore al vero e proprio trasferimento o cessione della sostanza.

E’ fondato, quindi, ritenere perfezionato l’illecito anche in assenza di una vera e propria traditio del bene, per tutte quelle condotte che presuppongono un passaggio della stesso tra persone.

Questa considerazione permette di affermare, ulteriormente, che la punibilità di  molte tra le condotte illecite descritte dalla norma è determinata dal criterio consensualistico (di evidente estrazione civilistica).

La natura dirimente del consenso è stata sancita da Cass. pen. Sez. III, 19/02/2018, n. 7806, al fine di distinguere fra reato consumato e tentativo.

Precisano, infatti, i supremi giudici che “In tema di stupefacenti, tutte le condotte che si collocano nel momento antecedente all'incontro di volonta' che determina il passaggio della proprieta' delle sostanze oggetto dell'illecita importazione, possono collocarsi nella sfera del tentativo punibile, o non punibile, in ragione della natura delle trattative intercorse tra le parti, dovendosi ritenere che, nei contatti tra le parti e nella formazione progressiva del consenso che demarca la fattispecie consumata del reato, assumano rilievo ai fini della punibilita' del tentativo le trattative che presentano una connotazione di univocita' e idoneita' rispetto al raggiungimento di quel consenso”. (In Quotidiano Giuridico, 2018).[25]

E  pure  la Corte d'Appello Palermo Sez. IV, 26/11/2017, ha affermato che Il reato di cessione di sostanze stupefacenti si consuma nel momento in cui è raggiunto il consenso tra venditore ed acquirente, indipendentemente dalla effettiva consegna della merce e del pagamento del prezzo”.

Per concludere queste note preliminari, si osserva che un reato che dovrebbe avere, per apparente definizione comune carattere reale (attesa la tipologia delle condotte previste che indurrebbe a ritenere necessaria la traditio del compendio illecito dal venditore all’acquirente), va, invece, equiparato, (come si vedrà più diffusamente nell’esposizione delle singole condotte previste) ad un vero e proprio contratto (illecito) ad effetti reali, posto che la consegna dello stupefacente assume veste di mero elemento complementare e successivo alla fase perfezionativa del reato e non incidenza sulla stessa.

Ultima notazione.

Si deve sottolineare come la norma in esame sintetizzi e riassuma al proprio interno le distinte previsioni degli artt. 71 e 72 della L. 22.12.1975 n. 685.

Si tratta di una scelta legislativa evidente, che si pone quale naturale conseguenza dell’abolizione del concetto di modica quantità (caposaldo della L. 685/75) e, quindi, “con la non necessità di dover correlativamente diversificare la risposta sanzionatoria dell’ordinamento”[26].

Le condotte previste dall'art. 73 comma 1 DPR 309/90

Natura, caratteri e cenni generali

Si è affermato che la legislazione in materia di stupefacenti, in generale, e l’art. 73 in particolare, costituisca bastione che assolve ad una funzione di tutela della collettività, dell’ordine pubblico, della pubblica salute, rispetto al pericolo che la dilagante diffusione dell’illecito fenomeno integra concretamente.

Come anticipato in precedenza, questa funzione preventivo-repressiva, ha permesso di collocare il reato declinato nella norma in questione (ricomprese tutte le condSotte descritte esemplificativamente al co. 1, ma con valenza anche per il co. 4) nella categoria dei reati di pericolo.

In origine si è sostenuto che si trattasse di un pericolo presunto[27].

Tale costruzione presupponeva, pertanto, che non fosse necessario l’accertamento della messa in pericolo, dovendosi intendere vigente una presunzione iuris et de iure.

Successivamente la Suprema Corte[28] ha circoscritto e specificato il concetto di pericolo, sostenendo che, attesa tale natura, è, tuttavia, necessario che detto pericolo sia concreto, e non meramente ipotetico, con riferimento alla possibilità di alterazione delle condizioni psico-fisiche del soggetto assuntore di droga e che costituiscono, appunto, l'effetto cosiddetto "drogante" o stupefacente o allucinogeno.

Il tema relativo alla classificazione come reato di pericolo della violazione dell’art. 73 dpr 309/90 ha trovato significativa attenzione in relazione alla condotta di coltivazione di piante di cannabis.

Sull’abbrivio del principio di SSUU 28.4.2008 n. 26805[29], la giurisprudenza  di rito ha rimarcato la fondamentalità del pericolo “di aumento di disponibilità dello stupefacente e di ulteriore diffusione dello stesso”  insito nella coltivazione e come tale aspetto imponga un’anticipazione della soglia di punibilità, già al momento dell’inizio della attività coltivativa, salvo la verifica di quell’insieme di requisiti che SSUU 12348/20 ha tassativamente ed espressamente declinato[30].

Attese la considerazioni svolte per collocare i delitti concernenti gli stupefacenti nella categoria dei reati di pericolo, diviene naturale richiamare, sotto il profilo generale, il già affrontato problema concernente il momento di consumazione del reato.

Si tratta di una tema estremamente delicato, posto che la teoria cd. consensualistica (la quale si rifà in modo evidente ai principi negoziali e contrattualistici propri del diritto civile) ha progressivamente assunto una veste di particolare rilievo.

Tale tesi parte, infatti, dal presupposto che tutte le fattispecie, nelle quali non vi sia, da parte degli agenti, contestualizzazione del consenso all’illecito e della condotta materiale, si debba fare esclusivo riferimento al momento in cui avviene la fusione delle reciproche volontà.

Sull’argomento è intervenuta recentemente Cass. Sez. III Sent., 17/01/2022, n. 1555 (rv. 282407-01) che ha ribadito il principio in parola, affermando che “Ai fini della consumazione del delitto di importazione di stupefacenti è sufficiente la conclusione dell'accordo finalizzato a detta importazione, potendo configurarsi il tentativo solo nella fase antecedente all'incontro delle volontà in ragione delle trattative intercorse, univoche e idonee a conseguire seriamente il reciproco consenso all'effettivo trasferimento dello stupefacente nel territorio nazionale[31].

E’ stata, nel tempo, così superata quella posizione – peraltro già minoritaria in origine -  espressa dalla  Sez. I, con la sent. 1 Giugno 1998, n.10460, Ceman e altri[32], che sosteneva che per la consumazione dei reati di vendita, acquisto, cessione e ricezione di sostanze stupefacenti, previsti dall'art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, non basta l'accordo tra le parti, ma occorre anche la consegna della sostanza stupefacente e, limitatamente, alla vendita e all'acquisto, anche la corresponsione del relativo prezzo[33].

Per la prevalente opinione[34], ormai incontroversa, dunque, la cessione, la vendita, la distribuzione e, comunque, tutte le altre omologhe condotte materiali ricomprese nella norma in questione, costituiscono una mera modalità di esercizio del potere di disposizione dello stupefacente, che si presuppone esistente in capo all’agente.[35]

Una volta stabilita, pertanto, la generale natura di pericolo del reato di cui all’art. 73 e preso atto che, su tale abbrivio, il momento di perfezionamento dello stesso è quello in cui si addiviene alla fusione del consenso fra le parti, è necessaria ancora una rapida notazione metodologica.

Il comma 1° dell’art. 73 (così come il comma 2°) assolve ad una duplice funzione.

Da un lato, esso costituisce norma precettiva a carattere specifico, posto che indica in modo ampio (e con pretese casistiche) le condotte in essa ricomprese.

Queste vengono poste in naturale diretto collegamento con le sostanze stupefacenti di cui alla tabella I dell’art. 14, (le cd. droghe pesanti), di cui è vietata la diffusione al di fuori del sistema di autorizzazioni, argomento quest’ultimo di cui si è fatto fugace cenno e su cui ci si intratterrà in seguito.

Dall’altro, essa assume allo stesso tempo, natura generale, quale norma di puro e pieno riferimento, atteso il richiamo operato dal successivo comma 4°, il quale punisce – in relazione alle sostanze ricomprese nelle tabelle II e IV (droghe cd. leggere) -  i medesimi comportamenti descritti da comma 1°, seppure con pene sostanzialmente diverse e più lievi.

Non si dimentichi, infatti, che le condotte previste dal primo comma sono sanzionate con la reclusione che va da un minimo di sei ad un massimo di venti anni e con la multa da € 26.000 a € 260.000[36].

Si può, pertanto, affermare che il sistema binario che regola l’individuazione delle sostanze stupefacenti e psicotrope, distinguendole – ad avviso dello scrivente – giustamente ed esemplificativamente in pesanti (tabella I) e leggere (tabelle II e IV), trova nell’insieme dei comportamenti declinati nel comma 1° (e ripresi per relationem dal comma 4°) un denominatore comune, sotto il profilo precettivo-sanzionatorio, fatta salva la distinzione in punto di pena tra le due situazioni.

Sia consentito un breve rilievo sul tema.

In base all’esperienza quarantennale di chi scrive, è assolutamente positivo il giudizio in ordine alla bipartizione ed alla differenziazione fra le due principali categorie di sotanze d’abuso.

Si tratta di una scelta, checchè ne discettino taluni politici (su basi meramente idologiche, come quando fu licenziata la nota L. 29/2006 meglio conosciuta come FINI-GIOVANARDI, sulla quale ha fatto giustizia la Corte costituzionale) sia scientificamente e giuridicamente corretta, oltre che ragionevole.

Senza approfondire eccessivamente la questione – la quale necessiterebbe ex se – un’autonmo testo, appaia sufficiente l’osservazione che con riferimento alle effettive conseguenze che l’assunzione di tali sostanze provocano sulle persone che le consumano, ferma una nocività di base comunenmente generica, risulta evidente la diversa pericolosità delle stesse.

Sin dal 2007 Sgubbi e Manes[37] hanno censurato l’equiparazione fra droghe pesanti e quelle leggere, che costituisce un grave errore sotto il profilo della “ragionevolezza” normativa, sottolineando che nel Diritto Comunitario europeo, la distinzione tra la canapa e le altre sostanze è ben presente.

In giurisprudenza un apporto significativo è stato offerto da Cass. sez. IV, con la sent. 21 maggio 2008, n. 22643.

I supremi giudici hanno, così, osservato che la questione più che su binari strettamente di carattere giuridico, deve essere affrontata su una piattaforma di natura tossicologica, affermando criticamente e testualmente che “l’assimilazione (dell’allora vigente regime sanzionatorio n.d.a.) è frutto di una scelta discrezionale del legislatore, basata sull’adesione ad una determinata opinione scientifica, cui, ovviamente, può opporsi, in modo legittimo, l’opinione basata sulla non assimilabilità delle sostanze sotto il profilo della gravità degli effetti che queste sono in grado di determinare”.[38]

Dunque, ritengo che questo aspetto specifico del complessivo macrocosmo del diritto degli stupefacenti, debba e dovrà sempre tenere necessariamente conto delle risultanze tossicologiche e dei reali effetti che ogni sostanza sia in grado di produrre sull’assuntore.

Ciò premesso, appare quindi, importante focalizzare il complessivo sistema delle condotte penalmente rilevanti introdotto dal comma 1° dell’art. 73.

La struttura sistematica della norma in questione permette di definire lo stesso “reato a fattispecie plurime[39], avente ad oggetto condotte, riguardanti sostanze espressamente ricmprese nelle tabelle previste dall’art. 14 dpr 309/90  ecommesse da chi non sia munito dell’autorizzazione specifica prevista dal successivo art. 17[40].

Si tratta, pertanto, di una tipologia di reato differente rispetto a quella prevista nei commi 2 e 3°, che riguardano le condotte proprie di chi, invece, sia munito di autorizzazione e di cui si parlerà in prosieguo[41].

L’insieme dei numerosi comportamenti, oggetto dell’intervento normativo, riassunto nel primo comma, coinvolge, quindi, la completa sequela materiale e temporale che parte dalla produzione della sostanza stupefacente o psicotropa, e giunge sino alla cessione del compendio illecito in favore dell’assuntore finale.

Il rilevante numero di condotte previste costituisce, pertanto, circostanza eloquente in ordine al carattere spiccatamente punitivo che il  legislatore ha conferito al complesso legislativo.

Va  ricordato, a completamento della ricostruzione dell’iter storico-giuridico della disposizione, che l’art. 71/1° della L. 685/75, uno dei due prodromi logici e storici all’emanazione dell’art. 73/1°, prevedeva solo un numero più limitato di comportamenti penalmente rilevanti[42].

Analoga menzione di richiamo merita l’art.  72 della pregressa legge, (l’altro elemento propedeutico), il quale, operando a propria volta in un raggio di minore ampiezza, rispetto all’art. 71, si riferiva ad un numero dei comportamenti ulteriormente minore[43].

In dottrina[44], tale condizione di differenza numerica tra le condotte sanzionate dall’art. 71 e quelle punite dall’art. 72, aveva sollevato dubbi di costituzionalità e forti perplessità, posto che ermeneuticamente si era ritenuto che la mancata previsione di alcune condotte illecite da parte dell’art. 72 dovesse determinare la punibilità dell’agente, ai sensi dell’art. 71, anche in presenza di vicende connotate dal carattere di modica quantità.

Parimenti, siffatta incertezza ha portato la questione al vaglio della Corte Costituzionale[45].

 Con tale pronunziamento la Corte escluse il contrasto rispetto la Costituzione delle norme che equiparano nel trattamento sanzionatorio l'importazione di quantità modiche e non modiche di stupefacenti ed in forza degli argomenti spesi sul punto fu pure ritenuta manifestamente infondata la questione relativa alla coltivazione in quanto anche questa ultima ipotesi è comportamento idoneo ad accrescere il quantitativo di stupefacenti presenti sul territorio nazionale e risulta, anzi, di maggior pericolosità non essendo valutabile a priori il quantitativo di droga potenzialmente ricavabile.

Anche in epoca più tarda, il problema nuovamente sollevato, non trovò favorevole accoglienza[46].

Neppure sotto altro profilo, quello riguardante l'inciso “per uso personale non terapeutico di terzi”, che avrebbe limitato l'applicabilità della più tenue sanzione ivi prevista alla fattispecie di detenzione di modiche quantità di sostanze stupefacenti o psicotrope a fine di spaccio, escludendola, invece, in ordine alle fattispecie di detenzione di eguali quantitativi delle medesime sostanze per uso esclusivamente personale, si fece breccia nel muro eretto a difesa della norma.

La relativa questione involgente la legittimità costituzionale dell'art. 72 l. 22 dicembre 1975, n. 685, in riferimento all'art. 3 cost., venne dichiarata manifestamente infondata, con ordinanza 5 Aprile 1984, n.94, Valentini[47].

Analogamente, fu ritenuto costituzionalmente corretto l'assoggettamento allo stesso trattamento punitivo di chi coltivi modiche quantità di sostanze stupefacenti e di chi coltivi quantità non modiche.

La Corte, con ordinanza 27 Novembre 1984, n.258, Bullo[48], pertanto, non ravvisò da parte degli art. 12, 26, 28, 71 e 72 l. n. 685/75 lesione dell’art. 3 cost. .

Si tratta di una decisione confermata in progresso di tempo anche dall’ordinanza 3 Dicembre 1984, n.260, Cappello[49] e 22 novembre 1985, n.308, Brinis[50].

La formulazione dell’art. 73, che, come detto in precedenza, ha assunto, nelle intenzioni del legislatore, funzione di sintesi migliorativa della sistematica precedente, è stata, quindi, salutata con grande favore.

La nuova regola, infatti, ad avviso degli interpreti colmerebbe la discrasia sin qui rilevata e vanamente denunziata.

La plurità delle fattispecie punibili previste

Uno degli elementi caratterizzanti la norma in esame è, come si è già rilevato, il cospicuo ed imponente numero di comportamenti suscettivi di sanzione penale.

Le singole condotte, descritte dal comma 1°, si pongono tra loro in una condizione di piena e completa autonomia, alternatività e fungibilità, sia concettuale, che materiale, pur permanendo all’interno di una previsione delittuosa di carattere unitario[51].

La già evidenziata natura giuridica di prevgisione a fattispecie plurima, comporta  due conseguenze.

Da un lato, emerge la configurabilità del reato in presenza anche di una sola delle 17 condotte declinate dal co. 1.

Dall’altro, rileva  la non applicabilità del concorso formale di reati, laddove con un fatto unico l’agente commetta più condotte illecite tra quelle contemplate dalla norma[52]

La previsione della detenzione si pone, rispetto alla serie di condotte tipiche, in funzione di chiusura rispetto agli altri comportamenti illeciti descritti, tutti puniti allo stesso modo e costituenti, perciò, ipotesi criminose equivalenti che si pongono in rapporto di mera alternatività formale[53].

La più pregnante conseguenza di quanto precede è nel senso che anche in presenza di più condotte tipiche ed alternative, poste in essere dall’agente in un unico contesto fattuale e temporale, non viene meno l’unitarietà del reato.

Putunale conferma viene fornita da Cass. Sez. III, 03/03/2023, n. 9087 J.S., che in relazione al reato di lieve entità (che ricalca in toto la struttura di quello di cui al co.1) afferma: “L'art. 73 comma 5 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, come riformulato dalla legge 14 maggio 2014, n. 79, prevede un'unica figura di reato, quale che sia la classificazione tabellare dello stupefacente oggetto delle condotte punite, sicché la detenzione nel medesimo contesto di sostanze stupefacenti tabellarmente eterogenee, qualora sia classificabile quale fatto di lieve entità, integra un unico reato e non una pluralità di reati in concorso tra loro.”

In simile ipotesi, infatti, i comportamenti illeciti minori vengono a perdere la loro individualità e vengono assorbiti nell’ipotesi più grave[54].

La teoria dell’assorbimento - che esclude, pertanto, in fattispecie del genere descritto, il concorso di reati – non è più subordinata al presupposto che si tratti della stessa sostanza stupefacente.

Sotto questo aspetto, si deve riconoscere una positivia evoluzione del pensiero giurisprudenziale.

Osservo che in tante occasioni, noi difensori abbiamo sostenuto – sovente in modo vano ahimè – che l’ipotesi di reato (di detenzione o di cessione, oppure qualsiasi altra) non veniva a subire una espansione moltiplicativa, per il solo fatto che le sostanze, oggetto dell’illecito fossero differenti tra loro.

Doveva, infatti, a nostro avviso ritenersi prevalente il profilo dell’unitarietà e della omogeneità della condotta materiale dell’agente.

Ora tale impostazione non pare più revocabile in dubio,

Continua a serbare valore, invece, la circostanza che le condotte siano state poste in essere contestualmente, ossia indirizzate ad un unico fine e senza apprezzabile soluzione di continuità[55].

Principio riconfermato successivamente dalla Sez. III, della Suprema Corte, in data  17 Novembre 1999, n.230, D'Antoni[56], che ha testualmente affermato come In materia di reati concernenti sostanze stupefacenti, in presenza di più condotte riconducibili a quelle, tipiche, descritte dall'art. 73 d.P.R. n. 309/90, quando unico è il fatto concreto che integra contestualmente più azioni tipiche alternative, le condotte illecite minori perdono la loro individualità e vengono assorbite nell'ipotesi più grave.”

Quando, invece, le differenti azioni tipiche (detenzione, vendita, offerta in vendita, cessione etc.) risultino distinte sul piano ontologico, cronologico, psicologico e funzionale, esse costituiscono più violazioni della stessa disposizione di legge e, quindi, distinti reati eventualmente unificati nel vincolo della continuazione.

Di particolare interesse si segnala la pronunzia di Cass.  Sez. VI Sent., 09/05/2017, n. 22549 (rv. 270266) in un caso in cui è stata ravvisato il concorso materiale tra coltivazione e la detenzione di sostanza stupefacente, per l’assenza della prova che la sostanza detenuta dall’imputato derivasse direttamente dall'attività di coltivazione svolta dal medesimo, nonché a causa del diverso luogo di accertamento dei due illeciti.[57]

Questo approdo – melius re perpensa - pare superare quell’orientamento di cui la stessa  Sez. VI, con la sent., 31/10/2011, n. 39288 (rv. 251056) si era fatta portavoce. affermando che “La coltivazione di piante destinate alla produzione di sostanze stupefacenti e la detenzione di stupefacente diverso da quello derivato dalla coltivazione sono condotte distinte che integrano autonomi reati suscettibili di essere posti in continuazione tra loro2,

 L’importanza della menzionata unitarietà del contesto fattuale e temporale fa sì che il principio dell’assorbimento, sopra menzionato, venga, pertanto, a soffrire una radicale deroga solo qualora, invece, le differenti azioni tipiche siano distinte sui citati piani ontologico, cronologico e psicologico, in quanto, in siffatto contesto, esse costituiscono distinti reati concorrenti materialmente.

Ne è derivato che stato ravvisato il concorso materiale tra coltivazione, detenzione e cessione della stessa sostanza drogante posta in essere con un apprezzabile intervallo di tempo, attesa l’identità dei luoghi di accertamento delle due condotte e la certezza della provenienza dei reperti detenuti, dall’attività coltivativa posta in essere dal detentore dello stupefacente.

Allo stesso modo Cass. Sez. III Sent., 05/03/2020, n. 8999 (rv. 278418-01) pur ribadendo l’alternatività genetica delle condotte previste dal co. 1 dell’art. 73, ha confermato la omogeneizzazione delle stesse in presenza di un fine unico e, soprattutto in presenza della medesima tipologia di stupefacente, ricavando da questo principio anche importanti conseguenze processuali in tema di competenza territoriale[58].

Con questa decisione è stato confermato l’insegnamento delle SSUU, le quali con la sent. 9/11/2018, n. 51063 (rv. 274076-02) l’unicità della figura di reato di cui all’art. 73 “….alternativamente integrata dalla consumazione di una delle condotte tipizzate, quale che sia la classificazione tabellare dello stupefacente che ne costituisce l'oggetto, sicchè la detenzione nel medesimo contesto di sostanze stupefacenti tabellarmente eterogenee, qualora sia qualificabile nel suo complesso come fatto di lieve entità, integra un unico reato e non una pluralità di reati in concorso tra loro[59].”

Parimenti[60], è stata ritenuta unitaria la condotta di acquisto e successivo trasporto di sostanze stupefacenti da una località ad altra, in quanto secondo i supremi giudici.

In tale ipotesi non si verserebbe in presenza di condotte distinte, integranti pluralità di ipotesi delittuose, tra le quali ravvisare la continuazione, posto che l'acquisto e la conseguente detenzione della droga, durante il trasporto, riguardano un episodio svoltosi in un unico contesto.

Se il trasporto dello stupefacente viene, quindi, a coincidere temporalmente con l'acquisto e con la detenzione della sostanza e ha il medesimo oggetto, si è al cospetto di un solo fatto-reato che realizza contestualmente più azioni tipiche alternative previste dall'art. 73 comma 1.

Va, però, sottolineato come la teoria della duplicità delle condizioni legittimanti l’assorbimento, non tiene conto di un ulteriore e diverso elemento sostanziale, che appare del tutto necessario al perfezionamento del concetto di unità del fatto-reato.

Esso consiste nell’attribuzione di tutte le condotte illecite (sia le più gravi, che le più lievi), in capo al medesimo soggetto, oppure ai medesimi agenti, i quali risultino operanti in concorso tra loro.

Ricapitolando, quindi, l’assorbimento della condotta minore in quella maggiore è configurabile quando:

  1. sia percepibile ab externo che si tratta del medesimo oggetto materiale cui la condotta tende (profilo ontologico-cronologico);
  2. tutte le condotte serbate siano ascrivibili allo stesso agente od a tutti coloro che ne risultino autori sotto il profilo del concorso di persone nel reato (profilo attributivo materiale);
  3. esista un nesso teleologico fra le singole condotte, sicchè sul piano finalistico non sia possibile rinvenire distinzione fra i vari comportamenti che tendono all’unico scopo, all’uopo fondendosi (profilo psicologico-finalistico).

Questa ripartizione trova fondamento, nella già citata sentenza della Sez. VI Sent., 09/05/2017, n. 22549 (rv. 270266), che, per aversi ipotesi di reato autonome, pone l’accento sulla distinzione sul piano ontologico, cronologico e psicologico delle differenti azioni tipiche, rifacendosi all’insegnamento contenuto nella pronunzia della Suprema Corte del 17 dicembre 1984, Piccione.[61]

 Si tratta di una posizione confermata nel tempo, posto che una parziale, ma significativa conferma si rinviene in Cassazione Sez. VI, 8 Luglio 1994, Pancrazio[62].

Prosegue, poi la S.C. che le diverse condotte dalle norme previste perdono la loro individualità se costituiscono manifestazione del potere di disposizione della medesima sostanza.

Tale assorbimento - con conseguente esclusione del concorso di reati - è subordinato al duplice presupposto che si tratti della stessa sostanza stupefacente e che le condotte siano state poste in essere contestualmente, ossia indirizzate ad un unico fine e senza apprezzabile soluzione di continuità”.

Nella citata massima non viene indicato espressamente come rilevante l’elemento personale, ma tale omissione non pare decisiva al fine di privare lo stesso di rilievo ed efficacia.

E’, comunque, questa una tesi ripresa da Cass. Sez. VI, 10/06/2014, n. 24376 C.A. cha sostiene la sussistenza del concorso formale di reati, laddove la condotta di  detenzione abbia ad oggetto, tipologie di sostanze tra loro differenti[63].

Come già riportato, è principio che ha assunto una sua definitività quello per il quale l’assorbimento non si verifica, invece, quando le differenti azioni tipiche (detenzione, vendita, offerta in vendita, cessione ecc.) siano distinte sul piano ontologico, cronologico, psicologico e funzionale, in quanto non contestuali, esse costituiscono più violazioni della stessa disposizione di legge e, quindi, distinti reati, eventualmente unificati nel vincolo della continuazione.

Il concetto di contestualità merita un breve ulteriore cenno di approfondimento.

In giurisprudenza è emersa una sostanziale divisione fra la nozione di “contestualità temporale e spaziale” e quella di “contestualità causale" alla realizzazione di altra condotta illecita[64].

La prima attiene ad un criterio di natura generale, il quale ricollega, sotto i privilegiati profili del tempo e dello spazio, condotte che, peraltro, ben possono rimanere autonome e distinte sia sul piano psicologico, che su quello dell’attribuzione materiale (non venendo a coincidere necessariamente i soggetti  agenti).

La seconda, invece, presenta caratteristiche specifiche, che rendono unitarie sul piano finalistico e psicologico condotte inizialmente tra loro indipendenti e diverse.

E’ certamente quest’ultima quella forma di contestualità  cui si è fatto riferimento[65] sostenendo che, con tale concetto si deve intendere non una rigida unità di tempo, di luogo e di azione, ma  un susseguirsi di vari atti, diretti ad un unico fine e senza apprezzabili soluzioni di continuità, sicché costituiscano la manifestazione dell'unico potere di disposizione sulla cosa.

Il rilievo temporale costituisce parametro che esplica, pertanto, indubbio effetto.

E’ stato escluso da  Cassazione Sez. III, 18  Gennaio 1999, n.3091, Cangelosi e altri,[66] l’assorbimento del reato di vendita di sostanza stupefacente in quello di acquisto della stessa sostanza posti in essere con un apprezzabile intervallo di tempo, poichè sono configurabili due condotte concorrenti penalmente sanzionate.

Anche in dottrina il concetto della contestualità è stato oggetto di vivo interesse.

PACILEO[67], ad esempio, ha sottolineato la locuzione “unico contesto” al fine di definire le singole e plurime azioni un unico reato[68].

Allo stesso modo DI GENNARO[69] esclude il concorso formale, rilevando la decisività del rapporto di accessorietà od alternatività tra più azioni, le quali integrino più fattispecie tra quelle descritte dalla norma incriminatrice.

Va, però, sottolineato che, talora, né la contestualità (nel senso prospettato), né tanto meno la medesimezza finalistico dell’azione, sono sufficienti ad integrare un unico reato.

E’ il caso della simultanea illecita detenzione di più sostanze stupefacenti, (nella specie la simultanea e contestuale detenzione di eroina e cocaina) la quale dà luogo a distinte fattispecie criminose, ai sensi delle disposizioni dell'art. 73 d.P.R. n. 309/90 allorchè dette sostanze non appartengano alla medesima tabella e al medesimo gruppo omogeneo di tabelle.

In concreto, il caso in cui l’agente venga sorpreso a detenere o cedere simultaneamente hashish ed eroina, non potrà essere invocata la menzionata unitarietà della condotta.

La giurisprudenza prevalente afferma, infatti, che a tale scopo soccorre la gnoseologica differenza chimica e tossicologica fra le due sostanze, circostanza che le inquadra non solo in tabelle diverse, ma, addirittura, le rende oggetto di  una previsione sanzionatoria affatto dissimile [70].

Appare, a contrario evidente, che quando, invece, si tratti di illecita detenzione di sostanze stupefacenti rientranti nella medesima tabella o nel medesimo gruppo omogeneo di tabelle e la stessa avvenga simultaneamente in un unico contesto, la fattispecie criminosa debba essere ritenuta unica, come unica è la condotta, indipendentemente dalla diversità delle sostanze, purchè aventi le stesse caratteristiche.

La soluzione sin qui esposta, che, si ribadisce, incontra un rilevante favore giurisprudenziale è stata, però, criticata da NERI[71], che sostiene possibile il rischio di esiti sanzionatori di maggiore sfavore in capo a chi detenga (ceda, raffini etc.) sostanze stupefacenti appartenenti a tabelle disomogenee (hashish e cocaina ad esempio) rispetto a chi detenga (ceda, raffini etc.) sostanze ricomprese in tabelle congruenti (eroina e cocaina).

L’Autore propone, facendo proprie osservazioni dottrinali, l’applicazione del principio del ne bis in idem sostanziale, addivenendosi all’assorbimento dell’ipotesi di cui al comma 4° in quella di maggiore gravità di cui al comma 1°.

La soluzione prospettata è interessante e condivisibile.

Essa pone, infatti, l’accento sul tema del disvalore delle singole condotte tenute, affermando che la punizione della violazione più grave (comma 1°) verrebbe a ricomprendere al suo interno anche quella minore  (comma 4°).

La sanzione assumerebbe, pertanto, funzione di condanna delle condotte illecite intese nel loro insieme, quale conseguenza di una valutazione concernente la complessiva antigiuridicità della situazione, che prende a paradigma (per l’inflizione della pena) il comportamento più grave.

Sia consentita una digressione esperienziale.

Nella quotidiana esperienza giudiziaria, una situazione di detenzione (a fine di cessione a terzi) di sostanze tra loro eterogenee appare tutt’altro che rara, posto che il mercato degli stupefacenti, ormai non pare più diviso a compartimenti stagni, nei quali si da corso al commercio di un’unica tipologia di droga.

In buona sostanza, quindi, il mondo dello spaccio – a tutti i livelli, dall’apice alla base – risulta strutturato in maniera da rispondere a tutte le richieste provenienti dall’utenza e soddisfarle globalmente.

Il pusher, pertanto, nella sua illecita attività (proposta, ormai, su modelli imprenditoriali singoli od organizzati) per fidelizzare gli acquirenti, non deve solo garantire qualità dello stupefacente fornito e prezzo concorrenziale, ma anche assicurare la varietà dello stesso.

Tornando all’esame dei principi di diritto relativi al tema in questione, appare indiscutibile che non può sussistere concorso di reati, ma un solo reato, allorquando il trasporto coincida temporalmente con la detenzione che abbia un unico e stesso oggetto.

Vi è, invece, pluralità di reati eventualmente unificabili ex art. 81 c. p., ove sussista fra loro la identità del disegno criminoso, allorquando trasporto e detenzione abbiano a svolgersi in tempi diversi o abbiano oggetti che non siano gli stessi.

Ulteriore elemento di interesse, sia sotto il profilo sostanziale, che sotto quello processuale è quello concernente la cd. progressione criminosa.

Tale concetto mira ad identificare una serie di comportamenti tra quelli indicati dal comma 1°, che si siano succeduti cronologicamente e con evidente continuità (rectius senza soluzione di continuità), di modo che l’originaria condotta sia mutata nell’ambito di un escalation criminosa avente per oggetto sempre il medesimo bene materiale e si concreti in unico reato.

Or bene è evidente che, ravvisate le condizioni per l’applicazione dell’assorbimento, non sia applicabile al caso concreto l’istituto del concorso formale, per determinare, in tal caso, il giudice  competente territorialmente occorrerà fare riferimento al luogo di compimento della prima delle condotte addebitate[72].


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Note:

[1]La difesa del diritto alla salute, va necessariamente richiamata, onde comprendere come, in progresso di tempo, soprattutto la tutela preventiva delle giovani generazioni, meno difese e più deboli rispetto alle seduzioni degli stupefacenti e del relativo mondo, sia stata percepita dalla giurisprudenza quale preponderante preoccupazione ispiratrice la normativa in questione.

[2]De Paoli, in CED Cassazione, 2003

[3]Concetto riaffermato da Cass. Sez. VI Sent., 21/01/2009, n. 2701 (rv. 242687)”..In materia di stupefacenti, la norma incriminatrice di cui all'art. 73, comma secondo-bis, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309  prevede un delitto-ostacolo allo scopo di ridurre la soglia di punibilità per fini di prevenzione generale, ricomprendendovi esclusivamente l'illecita produzione o commercializzazione, e non la mera detenzione, delle sostanze chimiche di base e dei precursori di cui alle categorie 1, 2 e 3 dell'allegato I al d.P.R. n. 309 del 1990”  in CED Cassazione, 2009. Cfr. anche Sez. V, 29 Novembre 1999, n.5791, Aparo, Cass. Pen., 2001, 125, che ha individuato nella difesa della salute individuale e collettiva e nella tutela contro l'aggressione della droga e della sua diffusione i cardini dell’intervento giurisdizionale in materia, mutando radicalmente un orientamento precedente di segno decisamente opposto.

[4]In senso analogo, in dottrina Bologna, Bosco, Spitaleri La disciplina dei reati n materia di stupefacenti, Maggioli 2021, pg. 47.

[5]Sul concetto di pubblica salute è interessante richiamare altra pronunzia della Corte Costituzionale (20 maggio 2016 n. 109) che ha respinto la questione di costituzionalità dell’art. 73, in relazione alla sanzionabilità della condotta di coltivazione, proprio sul presupposto della difesa della salute, intesa come diritto diffuso derivante “dalla sommatoria della salute dei singoli individui”.

[6]L’art. 71 della legge sugli stupefacenti: norma penale a più fattispecie, in Giur. Merito, 1982, 152

[7]La efficacia della tabella in questione prevista in allegato alla L. 21.2.2006 n. 49 – che convertiva gli artt. 4-bis e 4-vicies ter, commi 2, lettera a), e 3, lettera a), numero 6), del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272 e che furono dichiarati costituzionalmente illegittimi con la sentenza 32 dell’11- 25.2.2014 – è stata ripristinata con la L. 16.5.2014 n. 79 di conversione del decreto-legge 20 marzo 2014, n. 36.

[8]Si tratta di un radicale mutamento di rotta, posto che, in precedenza, infatti, si era sostenuto “che ove la quantità di sostanza, pur rientrante nelle tabelle allegate alla legge, non sia idonea a produrre tale effetto a causa dell'insufficienza del principio attivo, questa non può considerarsi stupefacente con il conseguente venir meno di un indispensabile presupposto oggettivo del reato ed a nulla rilevando, peraltro, che la sostanza stessa, di accertata inefficacia farmacologica, possa essere aggiunta ad altra, sì da produrre l'effetto suo proprio che costituisce il presupposto (e rientra nella "ratio") della norma incriminatrice”. Cass. sez. IV, 19/12/1996, n.3189, Bongiovanni, Cass. Pen., 1998, 663.

[9]in Studium juris, 2020, 7-8, 942, conf. Cass.  Sez. III Sent., 19/11/2014, n. 47670 (rv. 261160)

[10] Cfr. relazione della Commissione tecnico-scientifica predisposta del DM 11.4.2006

[11]Le pronunzie di rito oscillano fra la necessità che la dose spacciata possa produrre un reale effetto drogante, con conferimento di poteri discrezionali valutativi al giudice – Sez. 4 12.5.2010, n. 21814 – ed una presunzione di illiceità legata alla circostanza che la stessa contensse comunque principio attivo – Sez. 4 6.10.2009 n. 47999

[12]MAZZI L. DIRITTO DEGLI STUPEFACENTI, Pacini Giuridica, 2022, pg. 56

[13]Cfr. SSUU sent. 12348/20

[14]Cass. Sez. III, 11/01/2021, n. 644,  L.M.A.

[15]Commento all’ Art. 4 quinquies DL 30.12.2005, n. 272, in LP, 2007.

[17] “...Coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo….” .

[18] “….Senza l'autorizzazione di cui all'articolo 17...”, intendendosi il rilascio di un provvedimento amministrativo   che permetta l’esercizio di poteri di cui il privato è gia titolare, ma che non può esercitare, senza il beneplacito della P.A. .

[19]Co. 1 “Sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall'articolo 14 .

Co. 41 “Sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle II e IV previste dall'articolo 14”.

[20]Stupefacenti: illeciti, indagini, responsabilità, sanzioni. IPSOA Milano, 2012, pg. 21.

[21]In tal modo – ad esempio – rimangono esclusi dalla tabelle i semi di cannabis, qualunque siano le loro caratteristiche, posto che essi non contengono in origine quale principio attivo , il THC, che si sviluppaerà (o meno) nella pianta

[22] Tale principio permette di evitare incertezze di sorta, anche se sussiate un limite che consiste nella necessità che intervenga un aggiornamento costante e tempestivo, atteso il proliferare della produzione e commercializzazione di sempre nuove sostanze.

[23] Il d.lgs n. 50 del 24 Marzo 2001, ha modificato radicalmente il regime governato dall'art. 70 dpr  309/90. Significativo appare, prima facie, il passaggio dalla locuzione “Sostanze suscettibili di impiego per la produzione di sostanze stupefacenti o psicotrope” a quella “Precursori di droghe”, che connota la rubrica di apertura dell'articolo in questione.

[24] E’ stata, così, esclusa la configurabilità della fattispecie autonoma di reato prevista dall'art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990

[25]Per la costanza e pacificità del principio Cfr. Sez. VI, 2 Luglio 2002, n.30135, Gjinarari e altri, che “L'individuazione del momento consumativo del reato di acquisto di sostanze stupefacenti è quello in cui si raggiunge il consenso tra venditore e acquirente in ordine a quantità, qualità e prezzo dello stupefacente, indipendentemente dall'effettiva consegna della merce e dal pagamento del prezzo”.

La descritta impostazione viene ripresa dalla Sez. II, della Corte Suprema, 22 Maggio 2001, n.32299, Bua.  Il Collegio ha, infatti, affermato che in tema di commercio di sostanze stupefacenti, nel caso venga raggiunto un accordo per la cessione di un determinato quantitativo di droga, ma manchi del tutto la prova dell'avvenuta consegna di questa, non si configura a carico del venditore il reato di tentata cessione, bensì il reato consumato di "offerta in vendita" della sostanza, espressamente disciplinato dall'art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309.

[26] AMATO- FIDELBO La disciplina penale degli stupefacenti, Giuffrè, Milano, 1994 pg. 141.

[27]Uff. indagini preliminari Napoli Sent., 23/01/2009 La condotta di coltivazione di piante da cui sono estraibili i principi attivi di sostanze stupefacenti integra un tipico reato di pericolo presunto, connotato dalla necessaria offensività della fattispecie criminosa astratta, tuttavia spetterà al giudice verificare se la condotta, di volta in volta contestata all'agente ed accertata, sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico protetto risultando in concreto inoffensiva.

[28]Cass. pen., sez. IV, 19/12/1996, Bongiovanni, cit. .

[29] Il S.C. sostiene che  “la fattispecie in esame ha, infatti, natura di reato di pericolo presunto, fondata sulle "esigenze di tutela della salute collettiva", bene giuridico primario che legittima sicuramente il legislatore ad anticiparne la protezione ad uno stadio precedente il pericolo concreto”, sancendo la prevalenza del profilo di concretezza su quello di astrattezza originariamente richiamato.

[30]Cass. pen. Sez. VI Sent., 26/02/2016, n. 8058 (rv. 266168)

[31] In CED Cassazione, 2022. Particolarmente interessante è la rilevanza dell’individuazione de momento di manifestazione del consenso, ai fini della configurazione del tentativo.

Conf. Cass. pen. Sez. II Sent., 10/07/2019, n. 30374 (rv. 276981-01),

Cass. pen. Sez. III Sent., 02/07/2018, n. 29655 (rv. 273717),

Cass. pen. Sez. I Sent., 09/05/2013, n. 20020 (rv. 256030)

[32]  Pubblicata in Cass. Pen., 1999, 711, nota di AMATO

[33] Unica analogia a quest’ultima – e si ribadisce minoritaria - posizione giurisprudenziale  si rinviene nel principio ratificato da Tribunale di Sanremo sent. 19 Dicembre 2000 N. 679/00, che recita Con riferimento alla posizione del venditore dello stupefacente deve ritenersi idonea a generare responsabilità penale la mera dichiarazione di procacciare stupefacente indipendentemente dal raggiungimento della prova dell’accordo o della consegna conseguente all’acquirente. Con riferimento invece alla posizione dell’acquirente dello stupefacente non sono applicabili all’ambito penale le concezioni sulla compravendita di beni mobili, non essendo sufficiente l’accordo col venditore indipendentemente dalla traditio per reputare compiuta la fattispecie illecita.

[34]Cfr. LA RILEVANZA DELL’ACCORDO NELLA CESSIONE DI SOSTANZE STUPEFACENTI, Chiara L. Curci in Salvisjuribus.it 27.4.2018, “si desume che l’accordo si ritiene concluso nel momento in cui vi è lo scambio di proposta ed accettazione da parte dei soggetti coinvolti e, proprio in quel momento, oltre al perfezionarsi dell’accordo si consuma anche il reato di cessione di sostanze stupefacenti”.

[35] Cass. 18/04/1995, Della Valle, CP 1996, 1989

[36] La norma ha subito un travagliato iter di valutazione costiruzionale, venendo cassata una prima volta dalla Consulta con la sentenza n. 32 del 2014 e, successivamente, in relazione alla irragionevolezza del minmo edittale di pena con la sentenza 40 del 2019, che ha fissato lo stesso nella misura di sei anni di reclusione

[37]L’ interpretazione conforme al diritto comunitario in materia penale, BUP (Bologna University Press), 2007.

[38] Afferma BAIGUERA ALTIERI cit. che Il grande merito della testé menzionata Sentenza contenuta in Cass., sez. pen. IV, 21 maggio 2008, n. 22643 consta nell’aver, formalmente e coraggiosamente, svelato che un’eventuale novella dell’Art. 73 TU 309/90 in tema di haschisch e marjuana si deve, prima, fondare su un serio approfondimento della “pericolosità” medico-legale della cannabis.

[39] Cfr. M. Neri, La produzione e il traffico illecito di stupefacenti, in Sostanze Stupefacenti , BRICOLA-ZAGREBELSKY, UTET, 1998, pg. 86

[40]L’art. 17 (LEGGE 22 DICEMBRE 1975, N. 685, ART. 15 - LEGGE 26 GIUGNO 1990, N. 162, ART. 8 , COMMA PRIMO) OBBLIGO DI AUTORIZZAZIONE, recita testualmente:

1  chiunque intenda coltivare, produrre, fabbricare, impiegare, importare, esportare, ricevere per transito, commerciare a qualsiasi titolo o comunque detenere per il commercio sostanze stupefacenti o psicotrope, comprese nelle tabelle di cui all'articolo 14 deve munirsi della autorizzazione del ministero della sanità.

2 .  dall'obbligo dell'autorizzazione sono escluse le farmacie, per quanto riguarda l'acquisto di sostanze stupefacenti o psicotrope e per l'acquisto, la vendita o la cessione di dette sostanze in dose e forma di medicamenti.

3 .  l'importazione, il transito o l'esportazione di sostanze stupefacenti o psicotrope da parte di chi è munito dell'autorizzazione di cui al comma primo, sono subordinati alla concessione di un permesso rilasciato dal ministro della sanità in conformità delle convenzioni internazionali e delle disposizioni di cui al titolo v del presente testo unico.

4 .  nella domanda di autorizzazione, gli enti e le imprese interessate devono indicare la carica o l'ufficio i cui titolari sono responsabili della tenuta dei registri e dell'osservanza degli altri obblighi imposti dalle disposizioni dei titoli vi e vii del presente testo unico.

5 .  il ministro della sanità, nel concedere l'autorizzazione, determina, caso per caso, le condizioni e le garanzie alle quali essa è subordinata, sentito il comando generale della guardia di finanza nonché, quando trattasi di coltivazione, il ministero dell'agricoltura e delle foreste.

6 .  il decreto di autorizzazione ha durata biennale ed è soggetto alla tassa di concessione governativa.

7 .  l'autorizzazione prevista nel comma primo è altresì necessaria per il compimento delle attività di cui al comma secondo dell'articolo 70. si applicano le disposizioni contenute nei commi da secondo a sesto.

il 7° comma è stato soppresso dall’art. 1 d.l.vo 12 aprile 1996 n. 258.

[41]MIAZZI L. op. cit. eviodenzia come i co. 2 e 3 dell’art. 73 si rivolgano al soggetto munito di autorizzazione, ai sensi dell’art. 17, che in un caso operi illegalmente e nell’altro operi, invece, in relazione a sostanze stupefacenti, per le quali non è munito di autorizzazione

[42]L’art. 71 L. 685/75 puniva, infatti, “chiunque, senza autorizzazione, produce, fabbrica, estrae, offre, pone in  vendita, distribuisce, acquista, cede o riceve a qualsiasi titolo, procura ad  altri, trasporta, importa, esporta, passa in transito o illecitamente detiene, fuori delle ipotesi previste dagli articoli 72 e 80, sostanze stupefacenti o  psicotrope, di cui alle tabelle I e III, previste dall'art. 12.

[43]“Chiunque, fuori dalle ipotesi previste dall'art. 80, senza autorizzazione o comunque illecitamente, detiene, trasporta, offre, acquista, pone in vendita,  vende, distribuisce o cede, a qualsiasi titolo, anche gratuito, modiche quantità  di sostanze stupefacenti o psicotrope classificate nelle tabelle I e III,  previste dall'art. 12, per uso personale non terapeutico di terzi.”

[44] Cfr. AMATO, Droga ed attività di polizia, 1992, Roma, 118.

[45]La prima pronunzia datata 26 Ottobre 1982, n.170, Lorenzini, in Foro It., 1982, I, 2990affermò che doveva ritenersi inammissibile per difetto di elementi idonei ad identificarla la questione di legittimità costituzionale degli art. 72, 1° e 2° comma, e 80, 2° comma, l. n. 685/1975, nella parte in cui impiegano la locuzione <modica quantità>, in riferimento all'art. 25, 2° comma, cost..

Coerente a tale impostazione fu l’ordinanza del giudice delle leggi, 22 Dicembre 1982, n.231, Rejna oro It., 1983, I, 2620, Giur. Costit., 1982, I, 2291, la quale dichiarò manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale: a) dell'art. 71, in relazione agli art. 72 e 80, l. 22 dicembre 1975, n. 685, già ritenuta infondata con sentenza 170/82 della corte costituzionale, nella parte in cui assoggetta alla stessa pena l'importazione di modiche quantità di sostanze stupefacenti o di quantità non modiche, in riferimento all'art. 3 cost.; b) degli art. 26, 28, 71, 72, 80 l. n. 685/75, nella parte in cui assoggetta allo stesso trattamento punitivo chi coltivi modiche quantità di sostanze stupefacenti e chi coltivi quantità non modiche, in riferimento all'art. 3 cost. .

[46]In proposito vanno richiamate, infatti, le ordinanze 16 Aprile 1987, n.136 in Giur. Costit., 1987, I, 951, 2 Febbraio 1988, n.148, Rossiin Giur. Costit., 1988, I, 487, 14 Aprile 1988, n.458, Pellico in Giur. Costit., 1988,  15 Novembre 1988, n.1039, Pinto in Giur. Costit., 1988.

Non migliore sorte ebbero le questione giudicate con l’ordinanza 22 Giugno 1983, n.189, Sega. con l’ordinanza 22 Giugno 983, n.190,  essendo stata identica questione già dichiarata manifestamente infondata, con ordinanza n. 231 del 1982.

[47]Pubblicata in Giur. Costit., 1984, I, 531

[48]Pubblicata in Foro It., 1985, I, 320,, Giur. Costit., 1984, I, 2036

[49]Pubblicata in Foro It., 1985, I, 320,Giur. Costit., 1984, I, 2039

[50]Pubblicata in Giur. Costit., 1985, I, 2305

[51] Cfr. M. Neri, La produzione e il traffico illecito di stupefacenti  cit.  pg. 86.

[52]In questo senso MIAZZI L. op. cit. pg. 58

[53]Cass. pen., Sez.VI, 13/11/1992, De Vitis, Mass. Cass. Pen., 1993, fasc.3, 122

[54] In dottrina AMATO- FIDELBO cit. pg. 143.

La giurisprudenza ha fatto proprio tale principio sin dal 1993 con la pronunzia della Sez. VI, 17 Giugno 1993, Chianale e altri n Mass. Pen. Cass., 1993, fasc.12, 2 che ha precisato come, in un caso di offerta in vendita di un campione, condotta preparatoria alla cessione di un grosso quantitativo di sostanza stupefacente, condizionata al gradimento della merce,  ha sostenuto come “la varietà di condotte alternative previste dall'art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 esclude il concorso formale quando un unico fatto integri contestualmente più azioni tipiche alternative, nel qual caso si verifica l'assorbimento, in un unico reato, delle condotte illecite minori che si presentano come prodromiche rispetto alle ulteriori ipotesi”.

[55]Cass. pen. Sez. IV, 16/06/2005, n. 22588 (rv. 232094) Volpi ed altro “..L'assenza di contiguità temporale tra le condotte di detenzione e cessione di sostanza stupefacente impedisce l'assorbimento dell'una condotta nell'altra, con la conseguenza che le due condotte danno luogo a più violazioni della stessa disposizione di legge e quindi a distinti reati, eventualmente legati dal vincolo della continuazione criminosa, ed ambedue previsti dalla norma a più fattispecie tra loro alternative di cui all'art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990. (Fattispecie in cui uno stesso soggetto aveva ceduto a terzi la sostanza stupefacente almeno due giorni dopo da quando aveva iniziato a detenerla). In Riv. Pen., 2006, 9, 1000

[56] Pubblicata in Cass. Pen., 2000, 3137

[57]“In materia di reati concernenti sostanze stupefacenti, in presenza di più condotte riconducibili a quelle descritte dall'art. 73 del d.P.R n.309 del 1990, quando unico è il fatto concreto che integra contestualmente più azioni tipiche alternative, le condotte illecite minori perdono la loro individualità e vengono assorbite nell'ipotesi più grave; quando invece le differenti azioni tipiche sono distinte sul piano ontologico, cronologico e psicologico, esse costituiscono distinti reati concorrenti materialmente”.

[58]Le diverse condotte previste dall'art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, sono alternative tra loro, e perdono la loro individualità quando si riferiscano alla stessa sostanza stupefacente e siano indirizzate ad un unico fine, talché, se consumate senza un'apprezzabile soluzione di continuità, devono considerarsi come condotte plurime di un unico reato e, al fine della determinazione della competenza per territorio, deve farsi riferimento al luogo di consumazione della prima di esse.Studium juris, 2020, 11, 1430”

[59]Dir. Pen. e Processo, 2019, 5, 679 nota di CATERINI, ROMANO

[60]Cass. Sez. IV, 12/01/1996 Caparco, Cass. Pen., 1997, 870

[61]In Riv. Pen., 1985, 1146 e  Cass. Pen., 1986, 1416“... l'assorbimento delle fattispecie minori, da parte di quelle di maggiore gravità si verifica solo in presenza di queste circostanze: a) che si tratti dello stesso oggetto materiale; b) che le attività illecite minori siano compiute dallo stesso soggetto che ha commesso quelle maggiori o dagli stessi soggetti che ne rispondono a titolo di concorso; c) che le condotte siano contestuali e cioè si verifichi il susseguirsi di vari atti, sorretti da un unico fine, senza apprezzabili soluzioni di continuità”.

[62] Pubblicata in Cass. Pen., 1995, 2703, Mass. Pen. Cass., 1995, fasc.1, 86, la Corte “..premette come in relazione alla possibilità di concorso fra le ipotesi di acquisto e di tentativo di importazione, l'art. 73 elenchi una serie di condotte tipiche, con la previsione della detenzione in funzione di chiusura rispetto agli altri comportamenti illeciti descritti, tutti puniti allo stesso modo e costituenti, perciò, ipotesi criminose equivalenti che si pongono in rapporto di alternatività formale”.

[63]La detenzione simultanea di droghe pesanti e droghe leggere, se nella vigenza della L. n. 46/2006 integrava un reato unico, a seguito della declaratoria di incostituzionalità della predetta legge e con la reviviscenza della distinzione, agli effetti sanzionatori, fra le condotte inerenti alle c.d. droghe pesanti e quelle concernenti "droghe leggere", integra gli estremi non di un unico reato, ma di un concorso formale di reati. Peraltro, ai sensi degli artt. 136 Cost. e 30, L. n. 87/1953, che sanciscono la caducazione retroattiva della legge dichiarata incostituzionale, è preclusa la possibilità di applicare la disciplina della L. n. 49/2006 ai fatti commessi durante la sua vigenza, anche là dove fosse ritenuta più favorevole per il reo”. In Giur. It., 2014, 12, 2842 nota di MAGNINI

[64] Cass. pen., Sez.VI, 28/01/1999, Aletto, in Cass. Pen., 1999, 2362,

[65] Cass. pen., 18/01/1990, Berera, Riv. Pen., 1991, 333

[66]Pubblicata in CED Cassazione, 2000

[67] Alcune puntualizzazioni in tema di concorso di reati in materia di stupefacenti, in Riv.It.Dir.Proc.Pen., 1987, 711

[68] In relazione a tale concetto va segnalata a conferma la posizione di Cassazione Sez. VI, 22 Maggio 1992, Vassallo  secondo la quale l'affermazione di responsabilità per concorso formale o per continuazione è ipotizzabile solo in presenza di concrete condotte frazionate e distinte; non è, di conseguenza, ipotizzabile né il concorso formale né la continuazione nei confronti di persona imputata di acquisto, detenzione e trasporto di sostanze stupefacenti relativamente ad episodio svoltosi in unico contesto.

[69] La droga. Controllo del traffico e recupero dei drogati, Milano, 1982, 217

[70] Sez. VI, 22 Maggio 1992, Vassallo, cit. infatti, afferma “L'affermazione di responsabilità per concorso formale o per continuazione è ipotizzabile solo in presenza di concrete condotte frazionate edistinte; non è, di conseguenza, ipotizzabile né il concorso formale né la continuazione nei confronti di persona imputata di acquisto, detenzione e trasporto di sostanze stupefacenti relativamente ad episodio svoltosi in unico contesto”. In Mass. Cass. Pen., 1992, fasc.10, 80

[71] La produzione e il traffico illecito di stupefacenti, cit. pg. 92

[72]Cass. pen., Sez.VI, 30/06/1998, Contini, Giust. Pen., 1999, III, 432

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