Violenza sessuale, connessione con reato perseguibile d'ufficio e procedibilità

Articolo di Anna Larussa del 24/11/2022

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Cosa accade quando la violenza sessuale è connessa a un reato procedibile d’ufficio e per quest’ultimo intervenga l’assoluzione?

Torna ad essere vincolante il requisito della querela di parte che, in difetto di connessione, avrebbe precluso la procedibilità d’ufficio?

A questi interrogativi risponde la Terza Sezione Penale della Cassazione con la sentenza n. 43598 depositata il 17 novembre 2022.

La risposta della Suprema Corte è affermativa sul presupposto della recisione ab origine del nesso fra i due reati e lo fa con una sentenza interessante anche nella parte in cui sottolinea l’equivalenza di valore fra la formula assolutoria c.d. piena e quella c.d. dubitativa.

Il fatto. La sentenza muove dal ricorso dell’imputato avverso la sentenza della Corte d'appello, che nell’assolverlo con formula dubitativa, dal reato di favoreggiamento della prostituzione, per insussistenza del fatto, confermava la condanna per il reato di violenza sessuale continuata, nei confronti di una donna affetta da disturbi psichici, in relazione a fatti commessi tra il maggio ed il giugno 2018.

Con il ricorso per cassazione, la difesa dell’imputato deduceva tre motivi e, in particolare, per quel che interessa ai fini dei quesiti posti in principio, il vizio di violazione di legge in relazione agli articoli 609-bis, c.p., 609-septies, n. 4, c.p. e 129, c.p.p.

Assumeva che la Corte territoriale, non risultando in atti alcuna querela della vittima, avrebbe dovuto pronunciare sentenza di proscioglimento per difetto di querela, in relazione al delitto di violenza sessuale, per mancanza di qualsivoglia connessione tra il delitto per cui era intervenuta sentenza assolutoria per insussistenza del fatto, sebbene con formula dubitativa, e quello di violenza sessuale. Sottolineava, peraltro, come nel caso di specie ricorresse un caso di connessione meramente probatoria ex art. 371 c.p.p., comma 2, lett. c), non idonea a consentire la procedibilità d’ufficio per connessione, essendo la norma dell'art. 609-septies, c.p., una norma di carattere sostanziale, insuscettibile di applicazione analogica in malam partem: tale ipotesi di connessione non rispecchierebbe, in tesi, un nesso sostanziale tra i reati, quanto un loro collegamento occasionale, o di mero rilievo investigativo - probatorio, non in grado di giustificare la procedibilità ufficiosa del delitto di violenza sessuale.

In ogni caso – sosteneva la difesa - la formula terminativa adottata per il reato connesso, ovvero l’assoluzione per insussistenza del fatto, avrebbe eliso a monte la stessa sopravvivenza del fatto storico, e a valle l’effetto attrattivo, con conseguente venir meno della procedibilità d'ufficio per il delitto di violenza sessuale.

Con ulteriore memoria, in replica alla requisitoria del PG che chiedeva il rigetto del ricorso, la difesa del ricorrente, rilevava come non poteva considerarsi ostativa all'accoglimento del ricorso la circostanza che l’improcedibilità per difetto di connessione non fosse stata dedotta davanti al giudice di appello, in quanto la questione della mancanza della condizione di procedibilità ben può essere dedotta per la prima volta davanti alla Corte di Cassazione.

La sentenza. La Corte ha ritenuto fondata ed assorbente la censura sopra sinteticamente illustrata, preliminarmente sottolineando come la questione attinente alla procedibilità dell'azione penale sia rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento e, quindi, anche davanti alla Corte di cassazione, sebbene non dedotta nel grado di appello, perché è lo stesso tenore delle norme contenute negli articoli 129 e  529 c.p.p. che lo prevede (“in ogni stato e grado del giudizio il Giudice che riconosce che manca una condizione di procedibilità lo dichiara d'ufficio con sentenza”).

Trattandosi peraltro di vitia in procedendo, l’accertamento è desumibile con immediatezza, e verificabile dalla Corte attraverso l'accesso diretto agli atti.   

Nel merito dell’enunciato motivo la Corte ha condiviso le argomentazioni della difesa 
in ordine all'assenza della condizione di procedibilità per il residuo reato di natura sessuale
, sul rilievo, tranciante, dell’intervenuta assoluzione dell’imputato dal reato procedibile d’ufficio con il quale era stata ipotizzata (senza peraltro specificare da parte della Procura l’ipotesi ricorrente nel caso in questione) una connessione.

La giurisprudenza di legittimità è pacifica nel ritenere che l’assoluzione con formula “perché il fatto non sussiste” faccia venire meno qualunque forma di connessione in quanto esclude in radice la circostanza del fatto storico che ha dato luogo alla connessione. In tali ipotesi viene meno, ex tunc, l'interesse pubblico alla perseguibilità del reato e, pertanto, deve rivivere la rilevanza dell'autodeterminazione della persona offesa del reato sessuale, nella specie mancante, poiché non era stata presentata alcuna querela.


A riguardo, ha sottolineato la Corte come nessuna incidenza possa avere il fatto che l’assoluzione  sia stata pronunciata ai sensi del comma 2 dell'art. 530 c.p.p.: ciò in quanto, nel vigente sistema processuale, l'assoluzione per insufficienza o contraddittorietà delle prove equivale a tutti gli effetti alla mancanza assoluta di prove, e, poichè nell'attuale ordinamento processuale penalistico l'onere della prova in ordine alla sussistenza del reato incombe solo sull'accusa, la regola di giudizio che si trae dal complesso della disciplina di cui ai primi due commi dell'art. 530 c.p.p. a seguito del mancato adempimento di tale onere probatorio impone al Giudice di pronunciare una sentenza di proscioglimento che ha comunque valore di assoluzione piena dal reato ascritto.

In altre parole, i primi due commi dell'art. 530 c.p.p. delineano canoni di giudizio il cui valore finale è equivalente.

La prassi di specificare, nel dispositivo assolutorio, il primo o il secondo comma dell'art. 530 c.p.p. corrisponde solo ad un'esigenza (non necessaria ex lege) di rendere esplicito al momento della decisione il canone di giudizio adottato dal Giudice,ma non attribuisce un valore giuridico diverso alla pronuncia assolutoria, che resta piena in entrambi i casi. Conseguentemente, nessun concreto pregiudizio può derivare all'imputato dalla specifica indicazione nel dispositivo del comma 2 dell'art. 530 c.p.p., la quale, come già più volte statuito dalla giurisprudenza di legittimità, “non comporta una minore pregnanza della pronuncia assolutoria, né segnala residue perplessità sull'innocenza dell'imputato, né tantomeno spiega minore valenza con riferimento ai giudizi civili come comprovato dal tenore letterale degli artt. 652 e 654 c.p.p.”.

Sulla scorta di tali argomentazioni, ritenuto assorbente il motivo relativo al difetto di procedibilità, la Corte ha disposto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.


Il testo del provvedimento:

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