Le immagini satellitari di Google Earth possono essere utilizzate come prova per accertare la data di costruzione di un immobile abusivo?
Il TAR Campania, con la sentenza n. 6059 del 5 settembre 2025, ha risposto positivamente, confermando l’ordine di demolizione di un edificio a Somma Vesuviana (NA). Nel caso concreto, le foto satellitari hanno mostrato che il fabbricato non esisteva nel 2017, smentendo la tesi della proprietà che lo dichiarava preesistente.
Secondo la giurisprudenza amministrativa e del Consiglio di Stato:
l’onere della prova sulla data di edificazione grava sul proprietario che contesta l’abusività;
per dimostrare la legittimità dell’opera servono documenti certi e oggettivi (mappe catastali, licenze edilizie, atti pubblici), mentre dichiarazioni sostitutive o testimonianze hanno valore marginale;
la verifica dell’abuso edilizio deve essere fatta in una visione complessiva delle opere (Cons. Stato, VI, 26 luglio 2018, n. 4568; VI, 15 febbraio 2021, n. 1350);
in aree vincolate è necessaria anche l’autorizzazione paesaggistica (d.lgs. 42/2004).
Il TAR ha ritenuto che:
le immagini storiche di Google Earth sono attendibili e tecnicamente precise per accertare la presenza o assenza di un manufatto in una determinata data;
la ricorrente non ha prodotto prove idonee a dimostrare che l’immobile fosse stato costruito prima della legge ponte del 1967 (l. n. 765/1967), che ha introdotto l’obbligo generalizzato del titolo edilizio;
le opere, considerate nel loro insieme (abitazione, muro di recinzione, cancello e pozzetti), configurano una nuova costruzione soggetta a permesso di costruire;
essendo l’area sottoposta a vincoli paesaggistici, la mancanza di autorizzazione comporta anche l’obbligo di ripristino dei luoghi ai sensi dell’art. 167 del Codice dei beni culturali.
La sentenza legittima l’uso delle prove satellitari nei procedimenti edilizi: un Comune può basarsi su Google Earth per accertare la datazione di un manufatto.
Per i Comuni, ciò significa disporre di uno strumento accessibile ed efficace per contrastare l’abusivismo.
Per i proprietari, invece, la soglia probatoria si alza: servono documenti ufficiali e verificabili, non semplici dichiarazioni.
Pubblicato il 05/09/2025
N. 06059/2025 REG.PROV.COLL.
N. 05639/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5639 del 2021, proposto da R.A., rappresentata e difesa dall’avvocato Marco Sasso Del Verme, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto in Napoli, via Andrea d’Isernia n. 59;
contro
Comune di Somma Vesuviana, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Geremia Biancardi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, e – successivamente – dall’avvocato Sabatino Rainone, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l’annullamento
a) dell’ordinanza di demolizione n. 110 del 30 settembre 2021, emessa dal Comune di Somma Vesuviana;
b) ove e per quanto occorra, di ogni altro atto premesso, connesso e/o consequenziale, e in particolare della “Relazione di personale tecnico di … P.O. n. 3, prot. gen. n. 22422 del 17/06/2021”, richiamata nel provvedimento impugnato e mai notificata né altrimenti conosciuta;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Somma Vesuviana;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 maggio 2025 la dott.ssa Valeria Ianniello e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue;
FATTO e DIRITTO
Con l’impugnata ordinanza n. 110 del 30 settembre 2021, il Comune di Somma Vesuviana ha ingiunto alla ricorrente la demolizione, ai sensi degli articoli 27 e seguenti del D.P.R. n. 380 del 2001, delle seguenti opere abusivamente realizzate:
“1. abitazione ultimata ed in uso costituita da un piano fuori terra, dimensioni di superficie in pianta di circa 45 mq (mt 5,00 x mt 9,00), per un’altezza circa mt 2,70 mt, su un volume di circa mc 121,50. Il manufatto si articola in una cucina, un wc, ed un locale deposito;
2. muro di recinzione a chiusura del lotto … in blocchi lapil-cemento intervallati da pilastri in c.a., per circa mt 280,00 altezza media circa 2,50 mt;
3. Cancello in ferro di accesso al lotto in esame, avente dimensioni di circa 3,00 mt x 2,50 mt;
4. Pozzetti di smaltimento acque reflue”.
Il provvedimento sanzionatorio si fonda – oltre che sulla mancanza del titolo abilitativo – sulla seguente motivazione:
- le opere sopra descritte ricadono in zona E Agricola del vigente P.R.G.;
- i manufatti abusivi determinano aumento di carico urbanistico;
- l’intero territorio comunale: ha classificazione sismica 2 (Media sismicità 5=9, giusta deliberazione di Giunta regionale n. 5447 del 7 novembre 2002); è stato dichiarato di notevole interesse pubblico con D.M. 26 ottobre 1961 ed è soggetto a tutela ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004; è soggetto ai vincoli di cui alla legge regionale n. 21 del 2003 (rischio vulcanico - zona rossa).
Avverso il provvedimento, la ricorrente muove le seguenti censure:
1) difetto d’istruttoria e di motivazione ed errore sui presupposti, atteso che si tratterebbe “di immobile di gran lunga preesistente”; violazione dei principi di proporzionalità e di economicità dell’azione amministrativa, corollari del più generale principio di buon andamento e imparzialità di cui all’articolo 97 della Costituzione; in ogni caso, si tratterebbe “di un modestissimo aumento di volume rispetto alla consistenza originaria dell’edificio, che non ha dato luogo a nuovi organismi edilizi autonomamente utilizzabili”;
2) si tratterebbe al più di “interventi di manutenzione straordinaria ex art. 3, lett. b), del D.P.R. n. 380/2001”; in via subordinata, le opere edilizie contestate “potrebbero essere eventualmente inquadrate nell’ambito degli interventi di restauro e di risanamento conservativo, di cui all’art. 3, lett. c), del D.P.R. n. 380/2001”;
3) le opere contestate rientrerebbero fra quelle soggette, in via residuale, alla segnalazione certificata di inizio di attività ai sensi dell’articolo 22 del D.P.R. n. 380 del 2001, sicché il regime sanzionatorio applicabile, in luogo della demolizione, “avrebbe dovuto essere quello della sanzione pecuniaria, alla luce dell’art. 37, comma 1, D.P.R. n. 380/2001”;
4) violazione dell’articolo 34, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001, relativo agli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, atteso che “l’Amministrazione ben avrebbe potuto legittimamente valutare che la demolizione della modesta volumetria realizzata in eccedenza avrebbe senza dubbio arrecato gravi ed inevitabili danni alla parte di fabbricato preesistente, e quindi pienamente legittima”;
5) difetto di motivazione sotto altro profilo, atteso che l’ordinanza non chiarirebbe quali siano le norme del codice dei beni culturali e del paesaggio nei confronti delle quali gli interventi edilizi contestati si porrebbero in contrasto;
6) violazione degli articoli 3, 6 e 10 del D.P.R. n. 380 del 2001, per essere il muro di recinzione e il cancello in ferro opere “non suscettibili di modificare o alterare sostanzialmente la conformazione del terreno, che assumono natura pertinenziale in quanto hanno esclusivamente la funzione di delimitare, proteggere o eventualmente abbellire la proprietà”; in ogni caso, il muro di recinzione rientrerebbe “nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria ex art. 3, lett. b), del D.P.R. n. 380/2001”.
Il ricorso è infondato.
Giova, in primo luogo, ribadire che “per giurisprudenza ormai consolidata la valutazione dell’abuso edilizio presuppone una visione complessiva e non atomistica delle opere realizzate, dovendosi valutare l’insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio e non il singolo intervento (Cons. Stato, Sez. VI, 26.7.2018, n. 4568; e, sempre Sez. VI, n. 5471 del 2017, p. 4., nel senso della necessità di vagliare i molteplici interventi abusivi eseguiti "in un quadro di insieme, e non segmentato"): non è dato, infatti, scomporne una parte per negare l’assoggettabilità ad una determinata sanzione demolitoria, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva non da ciascun intervento a sé stante bensì dall’insieme delle opere nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni; l’opera edilizia abusiva va dunque identificata con riferimento all’immobile o al complesso immobiliare, essendo irrilevante il frazionamento dei singoli interventi avulsi dalla loro incidenza sul contesto immobiliare unitariamente considerato (Cons. Stato, Sez. VI, 15.2.2021, n. 1350; Cons. Stato, Sez. II, 27.4.2020, n. 2670); peraltro, sempre secondo giurisprudenza, nel verificare l’unitarietà o la pluralità degli interventi edilizi, non può tenersi conto del solo profilo strutturale, afferente alle tecniche costruttive del singolo manufatto, ma deve prendersi in esame anche l’elemento funzionale, al fine di verificare se le varie opere, pur strutturalmente separate, siano, tuttavia, strumentali al perseguimento del medesimo scopo pratico (Cons. Stato, Sez. VI, 8.2.2022, n. 883; Sez. VI, 8.9.2021, n. 6235; Sez. VI, 1.3.2019, n.1434)” (T.A.R. Sardegna, sezione seconda, sentenza 5 ottobre 2023, n. 721).
Ne deriva, alla luce della necessità di valutare unitariamente (anche sotto il profilo funzionale) gli interventi, l’applicazione del regime edilizio sanzionatorio proprio del complesso delle opere realizzate e non di quello astrattamente applicabile per gli interventi atomisticamente considerati, così venendo a cadere le censure inerenti alla supposta irrilevanza di talune delle opere realizzate ai fini della necessità di conseguire il titolo abilitativo edilizio.
Ciò premesso, il Collegio rileva che la ricorrente – nonostante affermi che “trattasi di immobile di gran lunga preesistente, in relazione al quale nessun recente intervento che abbia aumentato la volumetria o la superficie dell’immobile è stato in realtà effettuato” – non produce nessuna prova in ordine all’epoca di realizzazione della costruzione, né allega titoli edilizi che ne dimostrino la legittimità.
A tal riguardo, in via generale, “va posto in capo al proprietario (o al responsabile dell’abuso) assoggettato a ingiunzione di demolizione l’onere di provare il carattere risalente del manufatto della cui demolizione si tratta, collocandone la realizzazione in epoca anteriore alla c. d. legge "ponte" n. 761 del 1967, che con l’art. 10, novellando l’art. 31 della l. n. 1150 del 1942, ha esteso l’obbligo di previa licenza edilizia alle costruzioni realizzate al di fuori del perimetro del centro urbano; … tale indirizzo giurisprudenziale si è consolidato non solo per l’ipotesi in cui si chiede di fruire del beneficio del condono edilizio, ma anche – in generale – per potere escludere la necessità del previo rilascio del titolo abilitativo, ove si faccia questione, appunto, di opera risalente ad epoca anteriore all’introduzione del regime amministrativo autorizzatorio dello ius aedificandi; … esso trova fondamento nella evidenza che solo il privato può fornire (in quanto ordinariamente ne dispone e dunque in applicazione del principio di vicinanza della prova) inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione del manufatto; mentre l’amministrazione non può, di solito, materialmente accertare quale fosse la situazione all’interno dell’intero suo territorio (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 6 febbraio 2019 n. 903)” (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 8 novembre 2023, n. 9612).
A ciò si aggiunga che “la prova deve essere rigorosa e fondarsi su documentazione certa e univoca e comunque su elementi oggettivi, "dovendosi, tra l’altro, negare ogni rilevanza a dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà o a semplici dichiarazioni rese da terzi, in quanto non suscettibili di essere verificate" (cfr., ad esempio, Cons. Stato, Sez. VI, 20 aprile 2020 n. 2524 nonché, nello stesso senso, Cons. Stato, Sez. VI, 4 marzo 2019 n. 1476, 9 luglio 2018 n. 4168 e 30 marzo 2018 n. 2020). Essendo l’attività edificatoria suscettibile di puntuale documentazione, "i principi di prova oggettivi concernenti la collocazione dei manufatti tanto nello spazio, quanto nel tempo, si rinvengono nei ruderi, fondamenta, aerofotogrammetrie, mappe catastali, laddove la prova per testimoni è del tutto residuale; data la premessa, da essa discende che la prova dell’epoca di realizzazione si desume da dati oggettivi, che resistono a quelli risultanti dagli estratti catastali ovvero alla prova testimoniale ed è onere del privato, che contesti il dato dell’amministrazione, fornire prova rigorosa della diversa epoca di realizzazione dell’immobile, superando quella fornita dalla parte pubblica. Ne deriva che nelle controversie in materia edilizia la prova testimoniale, soltanto scritta peraltro, è del tutto recessiva a fronte di prove oggettive concernenti la collocazione dei manufatti tanto nello spazio quanto nel tempo" (così, in termini, Cons. Stato, Sez. VI, 3 gennaio 2022 n. 4)” (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 8 novembre 2023, n. 9612, cit.).
Peraltro, dal verbale del sopralluogo in data 9 settembre 2021, emerge che nelle foto estratte da Google Earth risulta che il fabbricato oggetto della presente controversia non era presente nell’anno 2017.
L’odierna ricorrente non ha assolto l’onere probatorio circa la preesistenza del manufatto de quo e delle relative dimensioni; sicché non possono trovare accoglimento tutte le censure che tale legittima preesistenza presuppongono, anche solo con riferimento a una parte del manufatto (né, dunque, l’allegata violazione dell’articolo 34 del D.P.R. n. 380 del 2001).
In ordine alla qualificazione degli interventi – complessivamente considerati, per quanto sopra rilevato – non vi è dubbio che si tratti di nuova costruzione, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera e.1), del D.P.R. n. 380 del 2001, che contempla “la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l’ampliamento di quelli esistenti all’esterno della sagoma esistente”, per cui è richiesto il permesso di costruire, ai sensi del successivo articolo 10, comma 1, lettera a).
Inoltre, trattandosi di area vincolata ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004, sarebbe stata necessaria anche l’autorizzazione paesaggistica. La mancanza del titolo abilitativo in zona paesaggisticamente tutelata determina l’adozione del provvedimento di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi ai sensi dell’articolo 27 del D.P.R. n. 380 del 2001 e dell’articolo 167 del codice dei beni culturali e del paesaggio, per il quale “in caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti dal Titolo I [Tutela e valorizzazione] della Parte terza [Beni paesaggistici], il trasgressore è sempre tenuto alla rimessione in pristino a proprie spese”.
Infine, “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino” (Adunanza plenaria, sentenza 17 ottobre 2017, n. 9).
In conclusione, il ricorso dev’essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del Comune di Somma Vesuviana, liquidate in euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00), oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 7 maggio 2025 con l’intervento dei magistrati:
Michelangelo Maria Liguori, Presidente
Carlo Dell'Olio, Consigliere
Valeria Ianniello, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
Valeria Ianniello
IL PRESIDENTE
Michelangelo Maria Liguori
IL SEGRETARIO