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Concessione della cittadinanza: requisito reddituale è condizione indefettibile

Tar Lazio-Roma, Sentenza n.14163 del 25/09/2023

Il requisito reddituale rappresenta una condizione indefettibile per la concessione della cittadinanza in quanto funzionale non solo per prevenire che l'accoglienza di un nuovo membro senza risorse adeguate possa avere ripercussioni sulla pubblica sicurezza o sul bilancio dello Stato, ma anche per assicurare che il richiedente possa contribuire al benessere economico e sociale attraverso le tasse e apportare un valore aggiunto alla Comunità che desidera integrare.

È quanto ribadito dal Tar del Lazio, sez. V-bis, con la sentenza n. 14163 del 25 settembre 2023.

I giudici sottolineano che la valutazione del requisito reddituale deve essere basata non solo sul periodo trascorso nei tre anni antecedenti alla presentazione della domanda, ma anche su quello successivo. Questo significa che l'immigrante deve mostrare di avere una situazione economica stabile e continua, e questo stato finanziario deve persistere fino al momento del giuramento.

Il T.a.r. chiarisce inoltre che, da un punto di vista funzionale, il requisito reddituale è essenziale, date le molteplici responsabilità che caratterizzano lo status della cittadinanza. Quando uno straniero ottiene la naturalizzazione, infatti, acquisisce una vasta gamma di diritti, come i diritti politici, ma anche importanti doveri. Tra questi, in tempi di guerra, c'è il "sacro dovere di difendere la Patria", come prescritto dall'art. 52 Cost., e, in tempi di pace, il dovere di contribuire al progresso socio-economico del Paese.

Infine, i giudici ricordano che il principio di attualizzazione del reddito, che consente all’istante al richiedente di dimostrare miglioramenti nella sua situazione economica, non può essere inteso nel senso di ammettere che i requisiti previsti per l'ottenimento della cittadinanza vengano ad essere maturati nel corso del procedimento, in deroga ai principi generali che improntano i procedimenti ad istanza di parte, secondo cui i requisiti debbano essere già posseduti all'atto della presentazione dell'istanza, oltre che mantenuti sino al momento della decisione sulla stessa da parte dell'autorità procedente. 

Concessione della cittadinanza, requisito reddituale, condizione indefettibile, insufficienza del reddito, diniego di cittadinanza

Il requisito reddituale costituisce una condizione indefettibile per la concessione della cittadinanza in quanto funzionale non solo ad evitare che l’ammissione del nuovo membro privo di adeguate fonti di sussistenza possa comportare inconvenienti sul piano della pubblica sicurezza, considerata la naturale propensione a deviare del soggetto sfornito di adeguata capacità reddituale ovvero finisca per gravare sul pubblico erario, ma anche ad assicurare che sia in grado di concorrere allo sviluppo economico-sociale mediante la partecipazione al gettito fiscale e fornisca un proprio contributo alla Comunità di cui entra a far parte
Di conseguenza l’insufficienza del reddito dichiarato può costituire causa ex se di diniego di cittadinanza, anche nei confronti di un soggetto che risulti sotto ogni altro profilo bene integrato nella collettività, con una regolare situazione di vita familiare e di lavoro, e titolare di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro ovvero della carta di soggiorno; anche in questi casi, infatti, si tratta di titoli che possono essere rilasciati e rinnovati solo previa dimostrazione del possesso dei requisiti reddituali espressamente prescritti art. 9 e 29 d.lgs n. 286/1996.

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Pubblicato il 25/09/2023

N. 14163/2023 REG.PROV.COLL.

N. 09120/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9120 del 2020, proposto da
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato Veronica Panarotto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del decreto n. -OMISSIS- del 26.06.2020, notificato in data 28.08.2020, con cui è stata respinta la domanda di concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell'art. 9, comma 1, lettera F), legge 5 febbraio 1992, n. 91, presentata in data 05.05.2015

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 luglio 2023 la dott.ssa Floriana Rizzetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

La ricorrente espone di essere residente in Italia da più di 10 anni, di essere stata sin dall’inizio a carico del marito, con cui ha formato una famiglia composta ora da 5 figli, di aver presentato la domanda di concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell'art. 9, comma 1, lettera F), legge 5 febbraio 1992, n. 91 in data 05.05.2015.

Con il ricorso in esame la predetta impugna il decreto del 26.06.2020 con cui il Ministero dell’Interno ha respinto la predetta domanda per carenza dei requisiti reddituali nel triennio 2016-2018.

Il gravame è affidato ai seguenti motivi: 1) Violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990; 2) violazione dell’art. 9, comma 1, lett. f), l. 91/1992 e delle leggi 15/2005 e 80/2005 eccesso di potere per carenza di istruttoria e difetto di motivazione; 3) violazione degli artt. 8 e 9, comma 1, lett. f), l. 91/1992 - eccesso di potere per carenza di istruttoria e difetto di motivazione.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata depositando il fascicolo del procedimento conclusosi con l’atto impugnato, accompagnato da rapporto difensivo.

Con ordinanza n. 9705/20 è stata respinta l’istanza cautelare.

In prossimità dell’udienza di trattazione del merito la ricorrente ha depositato documentazione fiscale recente nonché una memoria conclusionale con cui ha ribadito quanto dedotto con l’atto introduttivo.

All’udienza pubblica dell’11.7.2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

Con il primo mezzo di gravame la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990 per non aver l’Amministrazione comunicato i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, impedendole, in tal modo, di difendere le proprie ragioni nella naturale sede procedimentale.

La doglianza è infondata.

Non sussiste la violazione delle garanzie di partecipazione procedimentale dato che l’Amministrazione ha provveduto ad effettuare la comunicazione del preavviso di rigetto per via telematica con l’inserimento sulla piattaforma online in cui vanno necessariamente inserite le domande di cittadinanza e mediante la quale sono gestiti i relativi procedimenti.

Come chiarito dalla giurisprudenza in materia tale adempimento si deve ritenere rispettato ove effettuato mediante la comunicazione del preavviso di rigetto in via telematica con inserimento nell’area riservata del portale del Ministero dell’Interno – istituito, ai sensi dell’art. 33, comma 2-bis del decreto-legge n. 69/2013, convertito nella legge n. 98/2013 - che, ai sensi del Codice dell’amministrazione digitale, d. lgs. n. 82/2005, art. 3-bis, rappresenta una modalità ordinaria di comunicazione delle pubbliche amministrazioni con il privato, quindi valida da un punto di vista giuridico (Cons. Stato, sez. III, n. 8030/2022; TAR Lazio, sez. V bis, n. 2914/2022, cfr,, tra tante, da ultimo, n. 13377/2023, ove è ribadito che “la piattaforma informatica, sebbene istituita ai sensi del richiamato art. 33 per consentire agli uffici pubblici coinvolti nei procedimenti di rilascio della cittadinanza, l'acquisizione e la trasmissione di dati e documenti in via esclusivamente informatica, viene utilizzata anche per interagire con gli istanti ai sensi delle norme generali dettate dal d. lgs. n. 82/2005 (Codice dell’amministrazione digitale).

A tal proposito, si consideri che, stanti le esigenze rappresentate dalla p.a. di tipo organizzativo - che hanno imposto l’adozione di soluzioni, volte ad implementare l’informatizzazione del procedimento, le quali, a fronte dell’esponenziale aumento delle istanze di cittadinanza, garantissero progressivamente una maggiore efficienza – dal 18 giugno 2015 l’unica modalità di presentazione delle istanze ammessa è costituita dalla compilazione e dall’invio della domanda in modalità telematica attraverso l’apposito sito internet, dal quale le domande, così acquisite, confluiscono in un applicativo informatico che ne consente la trattazione in formato esclusivamente digitale.

La descritta modalità di gestione del procedimento permette di coniugare il rispetto delle prescrizioni imposte dalla legge n. 91/1990 e dai relativi regolamenti esecutivi con i principi in materia di “amministrazione digitale” dettati dal Codice dell’amministrazione digitale, il quale all’art. 41 (Procedimento e fascicolo informatico) prevede che le “[l]e pubbliche amministrazioni gestiscono i procedimenti amministrativi utilizzando le tecnologie dell'informazione e della comunicazione” e che “[l]a pubblica amministrazione titolare del procedimento raccoglie in un fascicolo informatico gli atti, i documenti e i dati del procedimento medesimo da chiunque formati” nonché che detto fascicolo informatico sia “costituito in modo da garantire l'esercizio in via telematica dei diritti previsti dalla citata legge n. 241 del 1990 e dall'articolo 5, comma 2, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, nonché l'immediata conoscibilità … , sempre per via telematica, dello stato di avanzamento del procedimento, del nominativo e del recapito elettronico del responsabile del procedimento”.

A fronte dell’esistenza del domicilio digitale e del riconoscimento normativo delle comunicazioni in via telematica ai sensi rispettivamente dell’artt. 3-bis e 41 del d. lgs. n. 82/2005, sussiste l’onere, nonché l’interesse, del soggetto richiedente di consultazione e accesso costante al portale per la verifica dello stato di avanzamento della pratica e di monitoraggio e lettura in tempo reale delle notifiche di recapito di corrispondenza sulla mail associata al portale on line (cfr. Tar Lazio, sez. V bis, n. 2914/2022), ciò da cui è possibile dedurre che nel caso di specie non solo la notifica, ma anche la piena conoscenza della comunicazione erano da ritenere integrate sin dal momento dell’inserimento sul portale”.

Con il secondo motivo lamenta la violazione dell’art. 9, comma 1, lett. f) della legge 91/1992, per non aver l’Amministrazione, nonostante il lungo tempo trascorso dalla presentazione dell’istanza (5 anni circa), consentito all’interessata di rappresentare gli intervenuti miglioramenti della propria condizione economica negli anni 2018, 2019 e 2020 – asseritamente superiori alla soglie prescritte – fruendo del principio di attualizzazione dei redditi, impedendole di dimostrare il possesso del requisito reddituale, incorrendo in tal modo nell’eccesso di potere per carenza di istruttoria e difetto di motivazione. Inoltre oppone che, in ogni caso, tale requisito non sarebbe indispensabile per l’acquisto della cittadinanza.

Il motivo in esame risulta infondato innanzitutto nella parte in cui contesta, in generale, che la cittadinanza possa essere negata per il solo motivo della carenza del requisito reddituale.

La prospettazione di parte ricorrente va disattesa alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale in materia - la cui solidità non è inficiata da qualche isolato precedente in senso contrario, quale quello invocato dalla ricorrente (Cons St., sez. II, 1175/2009 che, peraltro, costituisce un caso di specie, in cui il provvedimento impugnato era affetto da gravi carenze istruttorie) - che ha costantemente ritenuto il requisito reddituale una condizione indefettibile per la concessione della cittadinanza in quanto funzionale non solo ad evitare che l’ammissione del nuovo membro privo di adeguate fonti di sussistenza possa comportare inconvenienti sul piano della pubblica sicurezza - “considerata la naturale propensione a deviare del soggetto sfornito di adeguata capacità reddituale” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 766/2011 e n. 974/2011) ovvero finisca per gravare sul pubblico erario, ma anche ad assicurare che sia in grado di concorrere allo sviluppo economico-sociale mediante la partecipazione al gettito fiscale e fornisca un proprio contributo alla Comunità di cui entra a far parte (vedi, tra tante, da ultimo, Cons. St., sez. III, n. 3143, 4754, 4767 del 2023; n. 8042/2022; Cons. Stato Sez. I, parere n. 240/2021; id., n. 2152/2020; Sez. III, n. 1726/2019: Cons. Stato, sez. VI, n. 766/2011 e 974/2011; n. 8421/2009; Cons. St., sez. VI, 3213 e 3907 del 2008; 6063/2002; 1474/1999; 3145/1998, 2254/1996; TAR Liguria, sez. II, n. 68/2004, 1752/2004; /2005; e 1586/2003; TAR Lazio, sez. I, n. 2377/2006; TAR Lazio, sez. II quater n. 832/2009; TAR Lazio, sez. II quater, n. 4189/2012; è fatta salva la possibilità di prescindere da tale requisito nel caso in cui il richiedente sia un portatore di handicap - TAR Lazio, sez. I ter, n. 7846/2020 - altrimenti il requisito è richiesto anche nei confronti di altri soggetti meritevoli, per il resto, di tutela, quali i richiedenti asilo, come ribadito da Cons. Stato sez. III, n.1726/2019, osservando che “la radicale differenza fra lo status di cittadino a pieno titolo e quello di "asilante" spiega e rende pienamente ragionevole la diversità degli elementi di fatto che sono sufficienti al riconoscimento della protezione internazionale, rispetto a quelli che concernono invece la concessione della cittadinanza”).

A ben vedere si tratta delle stesse ragioni per cui è stata già da tempo risalente ritenuta legittima la prescrizione di soglie reddituali minime già solo al fine di autorizzare l’ingresso ed il soggiorno sul territorio nazionale, come prescritto dal D.lgs. 286/1998, per cui “il possesso di un reddito minimo – idoneo al sostentamento dello straniero e del suo nucleo familiare – costituisce un requisito soggettivo non eludibile ai fini del rilascio e del rinnovo del permesso di soggiorno, in quanto attinente alla sostenibilità dell’ingresso dello straniero nella comunità nazionale, al suo inserimento nel contesto lavorativo e alla capacità di contribuire con il proprio impegno allo sviluppo economico e sociale del paese al quale ha chiesto di ospitarlo; il requisito reddituale è infatti finalizzato ad evitare l’inserimento nella comunità nazionale di soggetti che non siano in grado di offrire un’adeguata contropartita in termini di lavoro e, quindi, di formazione del prodotto nazionale e partecipazione fiscale alla spesa pubblica e che, in sintesi, finiscono per gravare sul pubblico erario come beneficiari a vario titolo di contributi e di assistenza sociale e sanitaria, in quanto indigenti; d’altro canto la dimostrazione di un reddito di lavoro o di altra fonte lecita di sostentamento è garanzia che il cittadino extracomunitario non si dedichi ad attività illecite o criminose” (cfr. di recente, tra tante, Cons. Stato, sez. II, n. 4026/2021; cfr. Cons. Stato, Sez. III, n. 3141/2020, n. 8839/2019, Cons. Stato, sez. I, parere n. 2176/2016 su affare 377/2016; Cons. St., sez. III, n. 2645/2015 e 2335/2015; Cons. Stato, sez. VI, n. 5994/2010).

Quindi, se la fissazione del requisito economico e delle relative soglie reddituali minime è necessaria per consentire allo straniero il semplice ingresso ed il temporaneo soggiorno sul territorio nazionale, a maggior ragione si richiede che tali condizioni siano soddisfatte per conseguire la cittadinanza dello Stato ospite già solo sulla base della mera considerazione che “il più contiene il meno”: a tale riguardo è appena il caso di ricordare che la naturalizzazione attribuisce, tra l’altro, il cd. diritto di incolato.

In tale prospettiva è stato perciò chiarito che “Il parametro su riferito costituisce, dunque, un requisito minimo indefettibile, ragion per cui l’insufficienza del reddito dichiarato può costituire causa ex se di diniego di cittadinanza, anche nei confronti di un soggetto che risulti sotto ogni altro profilo bene integrato nella collettività, con una regolare situazione di vita familiare e di lavoro, e titolare di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro ovvero della carta di soggiorno; anche in questi casi, infatti, si tratta di titoli che possono essere rilasciati e rinnovati solo previa dimostrazione del possesso dei requisiti reddituali espressamente prescritti art. 9 e 29 d.lgs n. 286/1996 (sicché il requisito reddituale risulta implicitamente incluso nel requisito della ‘residenza legale’)” (vedi, tra tante, di recente, TAR Lazio, sez. V bis, n. 1698/2022, n. 10972/22, 11028/22, da ultimo, n. 9588/2023).

In una prospettiva funzionale il requisito reddituale risulta indefettibile in considerazione del complesso intreccio di diritti/doveri pubblici che caratterizzano detto status. Conseguendo la naturalizzazione lo straniero acquisisce tutta una ulteriore serie di diritti (i cd. diritti politici) e si assumendosi al contempo i correlativi doveri (pubblici) che ne costituiscono la contropartita. Questi ultimi, infatti, gravano solo sul cittadino e sono costituiti, in primis, in tempo di guerra, dal “sacro dovere di difendere la Patria” solennemente sancito, a carico del solo cittadino, dall’art. 52 Cost (con conseguente divieto dello straniero naturalizzato di allontanarsi dal Paese in caso di mobilitazione generale, mentre lo straniero non naturalizzato resta libero di andare all’estero per mettere in salvo sé e la propria famiglia), nonché, in tempo di pace, dal dovere di contribuire al progresso socio-economico del Paese. Non serve rievocare le origini storiche del costituzionalismo moderno, scaturito dall’affermazione del principio “no taxation without representation”, riconvertendolo nel suo reciproco “no representation without taxation”, per comprendere i termini di quel rapporto di scambio, che, dopo la Rivoluzione Francese, caratterizza il contratto sociale che lega il cittadino allo Stato di “appartenenza”, in virtù di quella “frazione di sovranità” che viene a questi l’attribuita con il riconoscimento del potere di partecipare all’autodeterminazione della vita della Nazione che lo ospita, mediante il conferimento dei cd. diritti politici, che costituiscono, a tutt’oggi, il nucleo essenziale della nozione di cittadinanza. In tale prospettiva è stato chiarito che l’assegnazione di tale potere allo straniero che chiede di essere ammesso in una Comunità politica non è un “atto gratuito”, una conseguenza automatica della semplice sua presenza protratta sul territorio di quello Stato “senza creare particolari problemi”, ma richiede da questi un “contributo” personale e materiale per il progresso di quella collettività di cui entra a far parte. Peraltro, siccome il conferimento della cittadinanza, come “completamento e coronamento del percorso di integrazione” consiste sostanzialmente nell’attribuire il diritto di voto alle elezioni politiche nazionali (giacché il diritto alla partecipazione alla vita politica locale - in cui, data la dimensione territoriale degli effetti, l’interesse nazionale del Paese di appartenenza dello straniero non ha alcuna influenza - proclamato dall’art. 7 Patto internazionale diritti civili e politici adottato dall’Assemblea Generale ONU a New York il 16.12.1966 e dall’art. 6 della Convenzione di Strasburgo del Consiglio d’Europa del 5.2.1992, è già riconosciuto dall’art. 2 dgs. 286/1998), la condizione di poter disporre di un reddito minimo di livello adeguato è altresì volta a scongiurare richieste strumentali della cittadinanza da parte di soggetti interessati a sfruttare il fenomeno (crescente) del cd. “voto di scambio”. Anche sotto tale profilo il requisito reddituale risulta funzionalmente connesso alla verifica “dell’autenticità dell’interesse” al conseguimento della nazionalizzazione, oltre che rispondere alle esigenze di tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico sopra rappresentate.

La prospettazione della ricorrente pertanto non può essere condivisa, essendo ormai pacificamente riconosciuto che “l'amministrazione deve effettuare una valutazione delle ragioni che inducono il richiedente a scegliere la nazionalità italiana e delle sue possibilità di rispettare i doveri che derivano dall'appartenenza alla comunità nazionale, ivi compresi quelli della solidarietà economica e sociale, posti dalla Costituzione, per cui l'insufficienza dei mezzi economici, ostando alla realizzazione di tali finalità, può costituire causa idonea "ex se" a giustificare il diniego di cittadinanza” (Consiglio di Stato sez. IV, n.1474/1999; sez. I, n. 3145/98 e n. 2254/96), e ciò vale “anche nei confronti di un soggetto che risulti sotto ogni altro profilo bene integrato nella collettività, con una regolare situazione di vita familiare e di lavoro, dato che la persistenza di tale situazione è comunque assicurata dalla carta di soggiorno” (cfr. tra tante, Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 3213/2008; Tar Liguria, sez. II, n. 4767/2005; TAR Lazio, sez. II quater, n. 4189/2012; TAR Lazio, sez. II quater, n. 5565/2013).

La Sezione ha da subito condiviso con convinzione tale orientamento (TAR Lazio, sez. V bis, n.1590/2022, 1698/2022, 1724/2022, 2945/2022, nonché, tra tante, di recente, n. 11028/2022, 11187/2022, 8273/2023, 9570/2023, 9582/2023, 11964/2023, 12386/2023), evidenziandone la validità anche dal punto di vista storico-comparatistico, ricordando che “il requisito dell’autonomia reddituale costituisce una condizione prescritta dalla legislazione in materia dei diversi Stati membri dell’Unione Europa, configurandosi come principio comune ai diversi ordinamenti giuridici” (TAR Lazio, sez. V bis, n. 11028/2022; 16321/2022, 1993/2023, 4268/2023, 10747/2023).

A tale riguardo va peraltro osservato che il possesso del requisito in contestazione è prescritto anche dalla normativa comunitaria sulla cittadinanza dell’Unione per l’esercizio diritto di soggiorno delle persone nei territori degli Stati Membri, che, al fine di evitare il fenomeno del cd. “turismo sociale”, è sottoposto alla condizione “di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato Membro ospitante durante il periodo di soggiorno, e di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato Membro ospitante” (art. 7 direttiva 2004/38/CE), per la ragione che “i beneficiari non devono costituire un onere eccessivo per le finanze pubbliche dello Stato ospitante” (considerando n. 10 dir. 2004/38).

Un’ulteriore conferma, sul piano storico-evolutivo, è infine rinvenibile nel disegno di legge di riforma della normativa sulla cittadinanza, presentato dal Ministro dell’Interno Amato nell’agosto dell’anno 2006 – i cui contenuti l’impugnata Circolare del Ministero dell'Interno DLCI K.60.1 del 5 gennaio 2007 intendeva anticipare, come espressamente dichiarato nella premessa introduttiva della stessa circolare – che ribadisce l’indefettibilità del requisito reddituale persino per l’acquisizione della cittadinanza dei figli minorenni di stranieri legalmente residenti in Italia, di cui pure intendeva agevolare la naturalizzazione.

La tesi della ricorrente va perciò disattesa alla luce della consolidata giurisprudenza in materia, la cui validità è corroborata dall’analisi storico-comparatistica, non residuando ormai più alcun dubbio sulla necessità del possesso di adeguate risorse economiche quale condizione per l’acquisto della nazionalità del Paese in cui lo straniero risiede, per cui la carenza di tale requisito costituisce una ragione sufficiente per negare la cittadinanza, anche nei confronti di un soggetto che risulti sotto ogni altro profilo ben integrato nella collettività, con una regolare situazione di vita familiare e di lavoro (vedi, tra tante, da ultimo, Cons. St., sez. III, n. 8042/2022, n. 4412/2022; Cons. St., sez. VI, n. 3213/2008).

Per quanto invece riguarda il periodo in cui tale condizione deve essere soddisfatta – nonché la modalità di dimostrazione della sua sussistenza - la giurisprudenza in materia ha sin da tempo risalente chiarito che la valutazione del requisito reddituale va effettuata tenendo conto sia di quello già maturato nel triennio precedente al momento della presentazione della domanda (vedi, tra tante, Cons. St., sez. III, n. 8042/2022, TAR Lazio, sez. V bis, n. 9588/2023, 9573/2023; 7385/23, 7155/23, 11188/2022, 11185/2022, 8693/22, 7890/22, 1590/2022 e. 1724/2022; TAR Lazio, sez. I ter, n. 705/2021; n. 13690/2021; 8554/2019) – che, a tal fine, deve essere corredata dalla dichiarazione dei redditi dell'ultimo triennio, come prescritto dal DM 22.11.1994, adottato in attuazione dell'art. 1 co. 4 del DPR 18 aprile 1994, n. 362 – sia di quello successivo, in quanto lo straniero deve dimostrare di possedere con una certa stabilità e continuità nel tempo il requisito in parola, che va mantenuto fino al momento del giuramento, come previsto dall’art. 4, co. 7, DPR 12.10. 1993, n. 572 (Consiglio di Stato sez. I, parere n. 240/2021; TAR Lazio, sez. V bis, n. 1724/2022; sez. I ter, n. 507/2021, n. 13690/2021, n. 10750/2020, n. 2234/2009; cfr. sez. II quater n. 1833/2015; n. 4959/2014, n. 2450/2014, n. 1956/2014; n. 10647/2013; n. 8226/2008).

L’osservazione della situazione reddituale si protrae lungo un arco temporale che è sufficientemente ampio proprio per poter valutare adeguatamente l’effettiva attitudine dell’aspirante alla naturalizzazione a far fronte agli impegni derivanti dal nuovo status (vedi, tra tante, TAR Lazio, sez. I ter, n. 507/2021 ove riconosce che “risponde a criteri di logica e di ragionevolezza desumere la sussistenza del requisito reddituale dalla capacità espressa dall’istante in un periodo che non solo deve necessariamente precedere la domanda, ma che deve anche abbracciare un lasso temporale sufficiente a conferire una certa stabilità a quel requisito), dato che è a tal fine che – come si è visto - si richiede allo straniero di dimostrare non solo di aver già raggiunto, ma anche di riuscire a mantenere, con una certa stabilità e continuità nel tempo, la capacità di adempiere ai doveri di solidarietà economica e sociale, contribuendo alla crescita socio-economica del Paese, senza rischio di diventare un onere per lo stesso.

Come chiarito dalla giurisprudenza in materia il carattere di stabilità e continuità del requisito in parola non viene meno in caso di flessioni meramente transitorie, di durata limitata (ad un solo anno), suscettibili di recupero in breve tempo, non in grado di compromettere anche per il futuro il possesso di mezzi di autosostentamento per cui, in tali casi, è illegittimo il rigetto della domanda di cittadinanza senza previamente valutare l’attitudine dell’istante a riacquisire il grado di stabilità economico-patrimoniale prescritto, la sua capacità di far fronte a periodi di difficoltà transeunti (Cons. Stato, sez. III, n. 60/2015; Cons. St., sez. I, n. 1791/2021 e 1959/20; TAR Lazio, sez. I ter, n. 6979/2021; vedi, tra tante, di recente, Tar Lazio, V bis, n. 7154/2023; n. 8190/2023; 10752/2023), purché tali periodi siano limitati nel tempo, non determinino una definitiva perdita della capacità di produrre reddito, (Cons. Stato, Sez I, par. 119/2022; Cons. Stato, sez. III, n. 2645/2015, 60/2015, 6069/2014; 3674/2014; 3596/2014).

In tale prospettiva l’Amministrazione, ove intervenga una diminuzione della capacità economica, può favorevolmente considerare la positiva evoluzione delle prospettive reddituali, tenendo conto delle potenzialità di recupero, ma solo “ove si riscontri il decorso dí un considerevole lasso di tempo tra la data di presentazione dell'istanza e quella di perfezionamento del relativo iter”, come espressamente precisato dalla Circolare Ministeriale n. K.60.1 del 5.1.2007, ove invita le Autorità periferiche di procedere “all’attualizzazione dei redditi dichiarati (…..) allo scopo di consentire che i tempi procedurali necessari per la concessione della cittadinanza operino, ove possibile, in senso favorevole al richiedente” (premessa-terzo capoverso), raccomandando che "ove sia riscontrabile il decorso di un considerevole lasso di tempo tra la data di presentazione dell'istanza e quella di perfezionamento del relativo iter, sarà possibile procedere, prima dell'eventuale diniego, ad una attualizzazione dei redditi dichiarati, dando modo al richiedente di indicare gli eventuali miglioramenti della propria posizione economica, ove in senso favorevole al richiedente” (ultimo capoverso).

In tal modo la CM mira ad evitare che gli eccessivi ritardi nella conclusione del procedimento (dovuti alla cd. esplosione delle domande di cittadinanza) finiscano per danneggiare lo straniero che, nelle more, avesse perso il requisito, e ciò intende fare operando un’inversione degli effetti negativi, in modo che il ritardo giochi a favore (anziché a danno) del richiedente.

Al riguardo è stato tuttavia osservato che all'eventuale ritardo dell'Amministrazione nel provvedere sull’istanza di naturalizzazione non può attribuirsi alcun effetto legittimante la presentazione dell’istanza da parte di soggetti che risultino ab origine privi dei requisiti prescritti (Vedi, tra tante, da ultimo, TAR Lazio, sez. V bis, n. 1949/2023; 7141/2023; 10868/2023, nel senso che il ritardo nel provvedere legittima piuttosto l'istante ad agire in giudizio contro l'inerzia della PA). Per cui tale CM deve essere interpretata “nel senso di prevedere una facoltà di attualizzazione in senso favorevole da parte dell’Amministrazione, che certo non esclude la potestà di valutare, fino al momento dell’emissione del provvedimento, la sussistenza di tutte le condizioni richieste per l’esito favorevole dell’istanza” (TAR Lazio, sez. I ter, n. 8554/2019).

In tal senso anche questa Sezione ha ripetutamente chiarito che il principio di attualizzazione del reddito, cui fa riferimento la circolare soprarichiamata, al fine di consentire all’istante di far valere eventuali miglioramenti della propria posizione economica, non può essere inteso nel senso di ammettere che i requisiti previsti per l'ottenimento della cittadinanza vengano ad essere maturati nel corso del procedimento, in deroga ai principi generali che improntano i procedimenti ad istanza di parte, secondo cui i requisiti debbano essere già posseduti all'atto della presentazione dell'istanza, oltre che mantenuti sino al momento della decisione sulla stessa da parte dell'autorità procedente (vedi, tra tante, di recente, TAR Lazio, sez. V bis, n.12092/23, 10881/2023, 9588/2023, 9573/2023; 7385/23, 7165/2023, 7155/23, 11188/2022, 11185/2022, 8693/22, 7890/22).

È stato al riguardo chiarito che non può essere applicato in via analogica al procedimento di concessione della cittadinanza per naturalizzazione l'opposto principio della rilevanza delle sopravvenienze favorevoli sancito dalla normativa che disciplina la (diversa) materia dell’immigrazione, osservando che l'art. 5 co. 5, D.lgs. 286/1998 – che prevede che il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno sono rifiutati "quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l'ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato ... sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio" – è una norma che ha natura derogatoria al principio generale che impronta i procedimenti ad istanza di parte - sopra richiamo - al fine di evitare che lo straniero, rimasto privo del titolo autorizzatorio al soggiorno, cada in situazioni di clandestinità– e quindi non può essere applicato al di fuori delle ipotesi espressamente previste (vedi, tra tante, da ultimo, TAR Lazio, sez. V bis, n. 13509/2023, 13374/2023, 9588/23, 9573/2023, 7385/23, 7174/23, 7166/23, 7165/23, 7155/23, 7141/23, 1949/23, 1190/23, 11188/22, 11185/22, 7980/2022, nel senso che nei procedimenti per la concessione della cittadinanza, trova applicazione il principio in cui il richiedente deve dimostrare di aver già maturato tutti i requisiti necessari per ottenere la naturalizzazione al momento della domanda, risultando inconferente il richiamo alle diverse norme dettate dal Testo Unico Immigrazione; cfr., TAR Lazio, sez. II quater, n. 832/2009, n. 5565/2012; Cons. St., sez. VI, n. 842/2009).

Ciò è confermato dalla stessa formulazione testuale della circolare ministeriale in parola, ove ribadisce che “Lo straniero è quindi tenuto a provare la propria posizione reddituale e il regolare assolvimento degli obblighi fiscali, per i periodi immediatamente antecedenti la presentazione dell'istanza, allegando alla stessa idonea documentazione”. I periodi cui si fa riferimento sono appunto, come sopra ricordato, “il triennio immediatamente antecedenti la presentazione della domanda”, come prescritto dal DM 22.11.1994, con cui il Ministro dell’Interno ha dettato disposizioni in attuazione dell’autorizzazione di cui all’art. 1 co. 4 del DPR n. 362/1994.

Pertanto la circolare ministeriale in parola non si presta alla lettura propugnata da parte ricorrente né sotto il profilo dell’interpretazione letterale, né sotto quello dell’interpretazione logico-sistematica. Ed anche se così non fosse, comunque, date la sua natura e valenza giuridica, la circolare ministeriale in parola andrebbe comunque interpretata in modo da renderla compatibile con i principi generali sopra richiamati e conforme alla normativa in materia. Questa, infatti, già regola la rilevanza delle sopravvenienze con espresse disposizioni, prevedendo che la sede in cui possono essere fatti valere i requisiti maturati successivamente non è quella del procedimento in corso, bensì quella del nuovo procedimento, che può essere instaurato dall’interessato, presentando una nuova domanda, già solo dopo un anno dal rigetto della precedente, come sancito dall’art. 5 DPR 572/1993 (Cons. St., sez. III, n. n.8421/2009 nel senso che la via da seguire, in caso di miglioramento della condizione reddituale, “è quella della proposizione, ad un anno dall'attuale diniego, di una nuova istanza di concessione della cittadinanza, in applicazione di una norma specifica, l'art. 5, comma 2, del d.p.r. 12 ottobre 1993, n. 572; (..) Ed infatti, la decisione sulla concessione della cittadinanza, attesa la situazione di durata su cui si innesta, è naturalmente espressa "allo stato degli atti" e quindi suscettibile di successiva revisione, a seguito dell'instaurazione di un nuovo e distinto procedimento da parte dell'interessato, in relazione all'eventuale subentrato maturare dei requisiti richiesti”; sulla natura dinamica delle valutazioni di tali circostanze, vedi, da ultimo, Cons. St., sez. III, n. 8042/2022); non potendosi ravvisare in ciò alcun contrasto con i principi di ragionevolezza e proporzionalità dato che, in ogni caso, anche in caso di diniego della cittadinanza, lo straniero può continuare a soggiornare e lavorare in Italia, conducendo la propria esistenza alle medesime condizioni di prima, sicché la preclusione è solo temporanea e non comporta alcuna "interferenza nella vita privata e familiare del ricorrente" ex art. 8 CEDU, art. 7 Patto internazionale diritti civili e politici, come ripetutamente chiarito dalla giurisprudenza in materia (vedi, tra tante, di recente, TAR Lazio, sez. V bis, n. 10748/23, 10742/23, 9588/23, 7385/23, 7165/23, 7161/23, 7155/23, 4268/23, 4262/23, 1589/23, 11918/22, 11285/22, 11188/22, 11187/22, 11185/22, 11028/22, 10972/22, 10970/22, 10096/22, 8706/22, 8220/22, 7890/22. 7888/22, 7887/22, 3692/22).

Alla luce delle considerazioni e conclusioni sopra richiamate va disattesa la prospettazione della ricorrente, volta a contestare la rilevanza del requisito reddituale e ad interpretare la CM in parola nel senso di consentire la maturazione “tardiva” di tale requisito nel corso del procedimento.

Facendo applicazione dei principi sopra esaminati al caso di specie il ricorso risulta infondato anche in fatto, in quanto, allo stato degli atti, la condizione in parola non risulta soddisfatta.

Con il provvedimento impugnato l’istanza di naturalizzazione della ricorrente è stata rigettata a causa del deficit del requisito reddituale relativamente agli anni 2016, 2017 e 2018.

La ricorrente lamenta l’erroneità del presupposto, opponendo che la PA non aveva considerato il reddito prodotto dal marito, il quale “nell'anno 2018 percepiva un reddito di € 14.068,00; nell'anno 2019 percepiva un reddito di € 17.257,00; nell'anno 2020, prima della notifica del provvedimento di diniego oggi impugnato, percepiva un reddito di € 17.073,30”, sicché l’Amministrazione doveva ritenere maturato il requisito prescritto, facendo riferimento al parametro individuato dalla giurisprudenza – e recepito dalla Circolare Ministero dell'Interno n. K.60.1del 5.1.2007 – cioè al tetto per l'esenzione della spesa sanitaria (art.3 DL n.382/1989 conv. Legge n. 8/1990 che richiede un reddito non inferiore ad euro 8.263,31, incrementato ad euro 11.362,05 in presenza di coniuge a carico e con un'aggiunta di euro 516,00 per ogni figlio a carico, dato che era stato conseguito “il limite reddituale pari ad € 13.942,05, previsto per ottenere la cittadinanza italiana nel caso de quo, che vede la presenza di un coniuge e di cinque figli a carico del medesimo”.

Il Collegio osserva innanzitutto che l’arco di tempo considerato dalla ricorrente – cioè il triennio 2017-2019 - non coincide con quello preso a riferimento l’Amministrazione – cioè il triennio 2016-2018 – che contesta la carenza del requisito reddituale anche per l’anno 2016.

Tale circostanza è rimasta incontestata, non avendo la ricorrente neppure allegato il possesso del requisito in contestazione per quell’anno, e, tantomeno comprovato con il deposito della relativa dichiarazione dei redditi relativa all’anno di imposta 2017 o la produzione di altri mezzi atti a confutare l’esistenza del deficit reddituale per l’anno 2016, com’era suo onere.

Per quanto riguarda le altre due annualità oggetto di contestazione (2017 e 2018), il Collegio osserva che dalla documentazione reddituale relativa ai rispettivi periodi di imposta, versata in atti dalla ricorrente, si evince che il reddito dichiarato risulta inferiore alla soglia minima sopraindicata: dalla dichiarazione del 2018 risulta che nel 2017 è stato percepito un reddito di soli €. 5.613, di gran lunga inferiore alla soglia minima prevista; dalla dichiarazione del 2019 risulta che nel 2018 il reddito ammonta a €. 12.399, che risulta comunque inferiore al livello minimo prescritto, che, tenuto conto della composizione del nucleo familiare, composto da coniuge e cinque figli, avrebbe dovuto essere di almeno €. 13.942.

Ne consegue che per quanto riguarda gli anni successivi al 2016 – che sono gli unici su cui la ricorrente incentra le sue difese - la rilevata carenza del requisito reddituale negli anni in contestazione è comprovata dalla stessa documentazione fiscale prodotta dalla ricorrente.

Non solo, ma se anche nei due anni considerati avesse raggiunto tale soglia, comunque non si potrebbe ritenere soddisfatta la condizione della continuità e stabilità della situazione economica, che deve essere mantenuta “fino al momento del giuramento”, dato anche il reddito percepito nell’anno 2019 è pari a €. 12.710, per cui, anche per tale anno, il livello reddituale non risulta adeguato.

Né per scongiurare tali conclusioni la ricorrente può giovarsi dell’invocato principio di attualizzazione del reddito, introdotto dalla medesima circolare, per far valere eventuali miglioramenti della propria posizione economica per l’anno 2020, dato che, come chiarito sopra, il recupero della capacità reddituale non le avrebbe comunque consentito di superare il mancato possesso dei requisiti per tutto il triennio anteriore, dovendo tali sopravvenienze favorevoli farsi valere in un nuovo procedimento, che poteva ben essere avviato dalla ricorrente, già solo dopo un anno dal primo rifiuto (cioè nel 2021), come espressamente previsto dall’art. 5 DPR 572/1993.

Non può essere neppure seguito il metodo di calcolo prospettato dalla ricorrente ove pretende di cumulare al reddito indicato nella dichiarazione dei redditi –che, come si è visto, risulta inferiore alle soglie prescritte considerata la composizione del nucleo familiare - l'indennità di disoccupazione agricola, il bonus irpef. il rimborso per il coniuge a carico.

La prospettazione della ricorrente va disattesa alla luce della consolidata giurisprudenza in materia.

In particolare, con specifico riferimento all’indennità di disoccupazione erogata dall'INPS, di cui si invocava l’equiparazione, ai sensi dell'art. 6, co. 2 del Tuir, al reddito perduto o sostituito, è stato chiarito che “quest'ultimo emolumento, anche se considerato ai fini fiscali reddito imponibile (che quindi deve essere dichiarato), ha, tuttavia, la natura di un sussidio, è una prestazione a sostegno del reddito concessa a quei lavoratori che hanno perso involontariamente la loro occupazione, che grava sulla finanza pubblica. Alla luce di tale inquadramento è evidente che una simile circostanza compromette l'esito del giudizio di autosufficienza reddituale e di capacità di adempimento con i propri mezzi dei doveri di solidarietà economica e sociale effettuato nei confronti del soggetto destinatario di detta indennità nell'ambito del procedimento concessorio” (TAR Lazio, sez. V bis, n. 1190/2023) per cui “non può essere conteggiato al fine del calcolo del reddito vero e proprio, perché, come già rilevato, ciò che conta, al fine della concessione della cittadinanza, è la continuità lavorativa, cioè la capacità del richiedente di mantenersi da solo” (TAR Lazio, sez. V bis, n. 10237/2022 e n. 1102/2023). In tale prospettiva è stato costantemente esclusa la possibilità di includere nel computo dei redditi alcune indennità e provvidenze, che, per loro stessa natura, sono chiaramente indicative della carenza di autonoma capacità del soggetto di mantenere sé e la propria famiglia, tanto da rendere necessario l’intervento pubblico di sostegno finanziario a carico del pubblico erario, quali il cd. "reddito di cittadinanza" (TAR Lazio, sez. V bis, n. 7888/2022) e persino l’assegno di invalidità Cons. Stato, sez. III, n.4767/2023).

Per le medesime ragioni non possono essere favorevolmente considerati, ai fini della valutazione della capacità reddituale e dell’autosufficienza economica, eventuali benefici fiscali, che possano essere riconosciuti all’istante a fini diversi (cfr. TAR Lazio, sez. V bis, n. 2945/2022 con riferimento allo straniero fiscalmente residente in Italia che abbia goduto di sconti sull'imposta sul reddito percepito dall’ente presso cui presta servizio, precisa che tale condizione “finisce inesorabilmente per condizionare la valutazione della situazione economica dell'istante, intesa nel significato di capacità di produzione di reddito, in grado di accrescere le risorse del Paese stesso sotto il profilo sia produttivo che contributivo e di concorrere alla copertura degli oneri di solidarietà sociale previsti per i soggetti indigenti”), potendo essere positivamente valutati unicamente quegli elementi atti a dimostrare la capacità di autosostentamento dell’interessato e della propria famiglia (cfr. TAR Lazio, sez. V bis, n. 1992/2023).

In sostanza, come chiarito con specifico riferimento alle detrazioni IRPEF, che “il parametro del reddito preso in considerazione dall'Amministrazione è quello finale risultante dalla dichiarazione, indipendentemente dalle modalità di calcolo di tale reddito mediante detrazioni o deduzioni di spese. È, infatti, il reddito finale che rileva ai fini del pagamento delle imposte e, anche, alla possibilità di usufruire di benefici ed esenzioni, come il contributo per la partecipazione alla spesa sanitaria o altri benefici economici” (TAR Lazio, sez. II quater, n. 2450/2014).

Facendo applicazione dei principi sopra richiamati al caso in esame, vanno disattese le censure dedotte con il secondo motivo di ricorso, dato che l’adozione del provvedimento di rifiuto della cittadinanza, costituiva per l’Autorità procedente, una volta riscontrata la carenza del requisito reddituale per il triennio in contestazione, un atto dovuto.

La riconosciuta legittimità di tale ragione ostativa è sufficiente a sorreggere l’atto di diniego impugnato, che risulta plurimotivato, e, di conseguenza a rigettare il ricorso, non essendo necessario, pertanto, esaminare le ulteriori doglianze, dedotte con il terzo mezzo di gravame, con cui la ricorrente contesta le ulteriori ed autonome ragioni di rifiuto della cittadinanza consistenti nei pregiudizi penali a carico del marito.

Solo per completezza vale precisare che l’accoglimento di tali doglianze non avrebbe condotto ad un esito diverso, dato che il principio della personalità della responsabilità penale, invocato dalla ricorrente, non esclude la possibilità della di prendere in considerazione, al fine di formulare il giudizio prognostico sull’utile inserimento dello straniero, anche dei comportamenti dei familiari, e dato che l’archiviazione della notizia di reato non impedisce alla PA di tener conto, quali “indicatori”, degli elementi desumibili anche dalle mere denunce, a prescindere dal loro esito, in particolare sia stata disposta per prescrizione (peraltro nel caso in esame non è stato dimostrato che l’archiviazione sia stata disposta per infondatezza della notizia di reato, essendosi la ricorrente limitata ad asserirlo labialmente, senza produrre il relativo provvedimento).

In conclusione il ricorso risulta anche sotto tale profilo infondato e va pertanto respinto.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quinta Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del Ministero dell’Interno, delle spese del giudizio, complessivamente liquidate in € 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre oneri ed accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 luglio 2023 con l'intervento dei magistrati:

Floriana Rizzetto, Presidente, Estensore

Enrico Mattei, Consigliere

Antonietta Giudice, Referendario

IL PRESIDENTE, ESTENSORE
Floriana Rizzetto

IL SEGRETARIO

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