LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –
Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –
Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –
Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
M.B. e MO.CA., rappresentati e difesi, per procura speciale in calce al ricorso, dagli Avvocati Del Curto Franco e Giunio Rizzelli, ed elettivamente domiciliati presso lo studio del secondo in Roma, piazza Verbano n. 22;
– ricorrenti –
contro
DELLA MINA MARINO & C. s.n.c., in persona del socio amministratore D.M.M., rappresentata e difesa dagli Avvocati Mancini Claudio e Massimo Pozzi per procura in calce al controricorso, elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Roma, via Valadier n. 52;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 208/07, depositata in data 29 gennaio 2007;
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30 novembre 2009 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;
è presente il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. SORRENTINO Federico.
FATTO E DIRITTO
Ritenuto che il Tribunale di Sondrio, pronunciando sulla domanda proposta da D.M.M., quale amministratore della Della Mina Marino & C. s.n.c, nei confronti di M.B. e Mo.Ca. per il pagamento di somme relative all’esecuzione di lavori in favore dei convenuti, nonchè sulla domanda riconvenzionale proposta da questi ultimi, che chiedevano l’accertamento dei vizi delle opere e il risarcimento dei relativi danni, ha condannato la società attrice al pagamento della somma di L. 12.340.400, oltre rivalutazione monetaria e interessi, come meglio specificato in sentenza;
che la Corte d’appello di Milano, con sentenza depositata il 29 gennaio 2007, pronunciando sull’appello principale proposto dalla Della Mina s.n.c. e sull’appello incidentale proposto dagli appellati, in riforma della sentenza di primo grado, ha condannato il M. e la Mo. al pagamento, in favore della Della Mina Marino & C. s.n.c., della somma di Euro 20.141,81, con interessi legali dal 30 aprile 2004 al saldo, ed ha altresì condannato l’impresa al pagamento, in favore degli appellati, della somma di Euro 102,13, confermando, per il resto la sentenza di primo grado;
che la Corte d’appello, rilevato che il contratto di appalto intercorso tra le parti aveva avuto esecuzione in due fasi, sulla base della documentazione in atti e della deposizione, assunta in sede di gravame, del direttore dei lavori, scelto dai committenti, ha escluso che il saldo del dovuto per i lavori relativi alla prima fase fosse stato versato in data 4 settembre 1993, e ha quindi accertato che risultava per detti lavori un ulteriore credito dell’impresa di L. 39.000.000, pari ad Euro 20.141,81;
che, quanto alla seconda fase, residuava, invece, un credito di L. 250.000 a favore dei committenti;
che la Corte d’appello dava altresì atto che l’impresa non aveva contestato la valutazione effettuata dal ctu in primo grado dei vizi riscontrati nelle opere, mentre escludeva che i committenti avessero provato, con riferimento ai lavori della seconda fase, la presenza di ulteriori vizi;
che, per la cassazione di questa sentenza, ricorrono M. B. e MO.CA. sulla base di un unico motivo;
che ha resistito, con controricorso, la Della Mina Marino & C. s.n.c.;
che, con l’unico motivo di ricorso, i ricorrenti deducono vizio di motivazione in quanto l’iter logico seguito dal giudice di appello “denota una chiara violazione delle norme sulla valutazione del materiale probatorio in relazione alla valenza delle prove legali”;
che, in particolare, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per avere disatteso la confessione stragiudiziale riferibile al legale rappresentante della impresa Della Mina, in assenza delle condizioni che consentono la revoca di tale confessione;
che, inoltre, la Corte avrebbe erroneamente imputato un pagamento di L. 15.000.000 ai lavori della seconda fase, laddove questo andava riferito alla prima fase;
che, essendosi ritenute sussistenti le condizioni per la decisione con il procedimento di cui all’art. 380-bis cod. proc. civ. , è stata redatta relazione ai sensi di tale norma, che è stata notificata alle parti e comunicata al pubblico ministero.
Considerato che il precedente relatore designato, nella relazione depositata il 23 giugno 2009, ha formulato la seguente proposta di decisione:
“… Il ricorso può essere deciso in camera di consiglio, dovendo lo stesso essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5). Ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 applicabile alle sentenze pubblicate dal 2 marzo 2006, i motivi del ricorso per cassazione devono essere accompagnati, a pena di inammissibilità (art. 375 c.p.c., n. 5) dalla formulazione di un esplicito quesito di diritto nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), e, qualora il vizio sia denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione. Nella specie, il motivo del ricorso non è conforme alle prescrizioni dettate dalla citata norma, posto che mancano sia il quesito di diritto in ordine alla violazione di legge denunciata nella formulazione del mezzo sia la separata e specifica indicazione del fatto controverso relativamente al dedotto vizio denunciato anche ex art. 360 c.p.c., n. 5: in proposito la doglianza sollecita un riesame delle risultanze istruttorie, inammissibile in sede di legittimità”;
che i ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., opponendosi alla proposta di decisione contenuta nella relazione;
che il Collegio non ritiene che le doglianze dei ricorrenti possano essere condivise, in quanto la deduzione della conformità del ricorso alle prescrizioni dell’art. 366-bis cod. proc. civ. si fonda su argomentazioni che, al contrario di quanto sostenuto dai ricorrenti, denotano la sussistenza dei vizi nella formulazione del motivo già evidenziati nella richiamata relazione;
che, in particolare, deve qui rilevarsi come i ricorrenti ritengano assolto l’onere di formulazione del quesito di diritto e della indicazione del fatto controverso, facendo riferimento alla dedotta presenza, nel ricorso, di un quesito avente ad oggetto la “valutazione del materiale probatorio in relazione alla valenza delle prove legali con i fatti controversi analiticamente e specificamente nonchè separatamente formulati”;
che, peraltro, quand’anche si volesse ritenere che nel ricorso sia stato indicato il fatto controverso, il motivo non si sottrarrebbe alla inammissibilità, dal momento che le censure proposte si risolvono nella richiesta di una nuova valutazione del materiale probatorio piuttosto che nella evidenziazione di lacune argomentative o illogicità nella motivazione della sentenza impugnata;
che, inoltre, deve rilevarsi che la Corte d’appello ha ampiamente motivato le ragioni per le quali ha ritenuto che, nel caso di specie, non fosse configurabile la pretesa confessione del legale rappresentante della società resistente, e tali ragioni non sono state specificamente censurate dai ricorrenti;
che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna dei ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2010