LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –
Dott. FIORETTI Francesco Maria – rel. Consigliere –
Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –
Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –
Dott. SALVATO Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 1444-2005 proposto da:
MALCOM S.R.L. (P.I. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI CASAL BOCCONE 110, presso l’avvocato VALLETTA GIUSEPPE, rappresentata e difesa dall’avvocato PASQUARIELLO FRANCO, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO MAGAZZINI DAVANZO S.N.C., in persona del Curatore dott.ssa C.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIETRO CASTRUCCI 13, presso l’avvocato DUO’ PIER LUIGI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALMANSI MARINO, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1663/2004 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 11/10/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/11/2009 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA FIORETTI;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato PIER LUIGI DUO’ che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione 1.7.97 la curatela del Fallimento Magazzini Davanzo s.n.c. (dichiarato il *****) conveniva dinanzi al Tribunale di Venezia la Malcom s.r.l. al fine di far dichiarare l’inefficacia ex art. 67, L. Fall. dei pagamenti eseguiti dalla fallita nel periodo compreso tra il 31.1.1993 ed il 10.6.93 ammontanti a complessive lire 163.491.275.
L’attore assumeva che la creditrice, in conseguenza dell’andamento del rapporto e delle reiterate dilazioni dei precedenti pagamenti della debitrice, anche con l’emissione di tratte su società del gruppo tornate insolute, o il rilascio di assegni bancari post- datati, era sicuramente consapevole, all’atto delle singole dazioni, dello stato di insolvenza della Davanzo. La Malcom si costituiva in giudizio negando la scientia decoctionis e rilevando che ogni segno esteriore della situazione di difficoltà della società dichiarata fallita, peraltro mai protestata, era successivo ai pagamenti revocandi; sottolineava, a dimostrazione della propria inscientia decoctionis, come la stessa relazione del commissario giudiziale del concordato preventivo (prima di essere dichiarata fallita la società Magazzini Davanzo era stata ammessa, in data 23.12.93, alla procedura di concordato preventivo) evidenziasse che la situazione era precipitata solo nel 1993.
Il Tribunale adito accoglieva la domanda del Fallimento.
Detta sentenza veniva impugnata dalla Malcom s.r.l. dinanzi alla Corte d’Appello di Venezia, che respingeva l’appello.
Avverso tale sentenza Malcom. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi illustrati con memoria. Il Fallimento della s.n.c. Magazzini Davanzo ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione delle norme di diritto di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 con riferimento agli artt. 67 e 5, L. Fall..
Deduce la ricorrente che la impugnata sentenza non distinguerebbe in ordine alla conoscibilità da parte di Malcom tra stato di insolvenza irreversibile e temporanea difficoltà reversibile dei Magazzini Davanzo, essendosi limitata ad evidenziare che gli insoluti relativi alle ricevute bancarie e la dazione di assegni post datati, che ne sostituirono altri tratti su altro istituto di credito, avrebbero dovuto rendere edotta la Melcom delle “difficoltà” in cui versava il proprio debitore.
L’utilizzazione del termine “difficoltà” da parte del giudice a quo porterebbe ad escludere che nell’animo di chi percepiva la somma fosse presente la consapevolezza della esistenza di uno stato di insolvenza, potendosi ipotizzare, a tutto concedere, la sola percezione di una situazione di temporanea difficoltà.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per omessa, insufficiente contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia con riferimento alla L. Fall., artt. 67 e 5 (stato di insolvenza) e art. 187, L. Fall.
(temporanea difficoltà).
Deduce la ricorrente di avere evidenziato nel corso del giudizio di secondo grado che la Melcom aveva sempre conseguito il pagamento degli interessi sulle dilazioni richieste e consentite, in misura discretamente rilevante; che chi nutre fondate preoccupazioni intorno allo stato di insolvenza del proprio debitore assume atteggiamenti più energici che non il semplice rilascio di un appunto anonimo esternante preoccupazione e si rivolge, secondo le regole dell’id quod plerumque accidit, ad un legale; che il primo degli atteggiamenti è tipico di chi si rende conto della temporanea difficoltà, il secondo dello stato di insolvenza; che l’imprenditore Melcom è naturalmente e professionalmente a conoscenza delle regole che disciplinano la revocatoria fallimentare; che se avesse supposto lo stato di insolvenza avrebbe preteso delle garanzie da parte di terzi, minacciando ove non le avesse ottenute il ricorso all’ingiunzione di pagamento o all’istanza di fallimento; che la dazione di assegni postdatati, sia pure in cambio di altri, tratti su diversi istituti di credito, allorquando esisteva ancora il reato di emissione di assegni a vuoto, stava ad indurre nel percipiente la ragionevole certezza che i Magazzini Davanzo si trovassero in temporanea difficoltà, non già in stato di insolvenza.
Se l’impugnata sentenza avesse dato una valutazione complessiva degli elementi in favore della non conoscibilità da parte di Malcom dello stato di insolvenza e degli elementi che portavano a ritenere detta conoscibilità, sarebbe emersa la prevalenza dei primi e la assoluta irrilevanza dei secondi, per cui sarebbe giunta a riconoscere che il creditore Malcom poteva essere consapevole di uno stato di temporanea difficoltà del debitore, ma non di una sua situazione di insolvenza.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione delle norme di diritto di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 con riferimento all’art. 2729 c.c. e L. Fall., 67 e conseguentemente omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5.
Deduce la ricorrente che la impugnata sentenza non avrebbe considerato che le presunzioni non apparivano nè gravi, nè precise e soprattutto che non erano concordanti e che, anzi, erano contrastanti tra loro.
I tre motivi di ricorso, che essendo strettamente connessi possono essere esaminati congiuntamente sono tutti infondati.
La Corte d’Appello ha preso in considerazione una serie di elementi indiziari, già considerati dal Tribunale e dopo averne riconosciuto, a seguito di valutazioni logicamente corrette, il carattere di presunzioni gravi, precise e concordanti, effettuandone una valutazione complessiva e non atomistica, come invece sostenuto dalla ricorrente, è pervenuta alla coerente conclusione che la ricorrente, al momento dei pagamenti oggetto di revocatoria, sicuramente fosse consapevole non di una temporanea difficoltà, ma dello stato di insolvenza della società fallita.
Si legge nella impugnata sentenza, che “l’andamento del rapporto, così come analiticamente tracciato dal Tribunale, consente di presumere, attraverso indizi gravi, precisi e concordanti, che Malcom fosse sicuramente a conoscenza dello stato di insolvenza della Davanzo; al contrario le argomentazioni dell’impugnazione tentano di isolare ogni elemento offrendone una valutazione non solo singolarmente riduttiva ma, soprattutto, che non tiene conto del nesso che li lega e dunque della loro valenza complessiva.
Ora, il fatto che la Davanzo maturò, prima di provvedere ai pagamenti oggetto di revocatoria, un credito ingente, determinato da numerosi insoluti, anche e soprattutto per effetti emessi in sostituzione di altri già impagati, era chiaro sintomo delle sue difficoltà, sicuramente percepite dal F., che è anch’egli un imprenditore, il quale non solo manifestò tale sua convinzione con lo scritto menzionato, la cui valorizzazione appare del tutto corretta, ma sospese ogni fornitura. Di seguito la Malcom incassò assegni post-datati, cioè titoli immediatamente azionabili, anzichè le consuete ricevute, ben sapendo, peraltro, che alcuni di essi, per importi anche significativi, erano stati tratti, in precedenza, su altri istituti, quindi ritirati e sostituiti da quelli oggetto di revocatoria, a dimostrazione anche delle difficoltà della debitrice con il sistema bancario.
Si tratta dunque di plurimi indizi che consentono di risalire alla sicura conoscenza dello stato di insolvenza, tali da rendere del tutto superflua la (nuovamente) sollecitata acquisizione degli atti relativi alla proposta concordataria, atti che testimonierebbero il precipitare delle condizioni economiche della Davanzo solo nella imminenza della proposta; risulta difatti del tutto evidente come la decozione fosse già in atto al momento delle singole dazioni oggetto di causa”.
La motivazione della sentenza impugnata, come è dato constatare da quanto su riportato, appare, come già detto, adeguata, logica e giuridicamente corretta, mentre con il ricorso per cassazione si ripropongono questioni già sottoposte al vaglio del giudice di merito ed alle quali detto giudice aveva già dato esauriente e convincente risposta. Ciò porta a ritenere che la società ricorrente abbia denunciato il difetto di motivazione della impugnata sentenza al solo fine di ottenere una diversa (e non consentita in sede di legittimità) valutazione dei fatti di causa e del materiale probatorio offerto ed acquisito per il giudizio.
Con la memoria ex art. 378 c.p.c. la ricorrente ha rappresentato che dopo la proposizione del ricorso è entrata in vigore una nuova disciplina della revocatoria fallimentare, che ha ridotto i termini per la sua proposizione da un anno a sei mesi. Ala stregua di tale nuova disciplina il curatore fallimentare non avrebbe potuto esperire alcuna revocatoria nei confronti della attuale ricorrente, atteso che quest’ultima avrebbe conseguito l’ultimo dei pagamenti, oggetto di revocatoria, avvenuto il 10.6.1993, oltre sei mesi prima del momento al quale dovrebbe farsi risalire lo stato di insolvenza della società poi dichiarata fallita, verificatosi col decreto di ammissione alla procedura in data 23.12.1993.
La nuova normativa (introdotta con il D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni in L. 14 maggio 2005 n. 80), certamente più favorevole ai creditori, si applica, però, come statuito dall’art. 2, comma 2, soltanto alle azioni revocatorie proposte dopo l’entrata in vigore del citato D.L.. Con tale disposizione il legislatore avrebbe determinato una disparità di trattamento sulla base del solo elemento temporale tra coloro nei cui confronti la azione revocatoria è stata proposta prima e coloro nei cui confronti la revocatoria è stata proposta dopo l’entrata in vigore della legge, violando così il dettato dell’art. 3 Cost., il quale vuole che tutti i cittadini siano uguali davanti alla legge.
Tale tesi non appare condivisibile, atteso che più volte la Corte Costituzionale ha affermato che il fluire del tempo costituisce ragionevole giustificazione della diversificazione delle situazioni poste in comparazione, per cui la proposta questione di legittimità costituzionale devesi ritenere manifestamente infondata. Per quanto precede il ricorso deve essere respinto e la ricorrente, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., deve essere condannata a rimborsare al Fallimento resistente le spese del giudizio di legittimità, che, tenuto conto del valore della controversia, appare giusto liquidare in complessivi Euro 4.200,00 (quattromiladuecento), di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al resistente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.200,00 (quattromiladuecento), di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 4 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2010