LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –
Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –
Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –
Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –
Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
V.L., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dall’avv. Lojodice Oscar per procura in atti;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende per legge;
– controricorrente –
avverso il decreto della Corte d’appello di Lecce in data 25 novembre 2008, nella causa iscritta al n. 222/08 V.G.;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15 luglio 2010 dal relatore, cons. Dott. Stefano Schiro’;
alla presenza del Pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale, dott. DESTRO Carlo, che nulla ha osservato.
FATTO E DIRITTO
LA CORTE:
A) rilevato che e’ stata depositata in cancelleria, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. la seguente relazione comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti:
IL CONSIGLIERE RELATORE, letti gli atti depositati;
RITENUTO CHE:
1. V.L. ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di due articolati motivi, avverso il decreto in data 25 novembre 2008, con il quale la Corte di Appello di Lecce ha respinto il ricorso con il quale egli, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 aveva chiesto la condanna del Ministero della Giustizia alla corresponsione di un’equa riparazione per i danni sofferti in relazione alla irragionevole durata del processo da lui promosso in materia di lavoro, per il pagamento di differenze asseritamente dovute a titolo di indennita’ di disoccupazione agricola, con ricorso del 6 maggio 2003 e definito il 20 febbraio 2008;
1.1. il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso;
OSSERVA:
2. la Corte di appello di Lecce ha respinto ricorso, rilevando che la durata del giudizio doveva ritenersi congrua, anche perche’ giustificata dalla necessita’ di attendere, sulla questione di diritto dedotta nel giudizio presupposto, il pronunciamento della Corte di Cassazione, intervenuto solo con sentenza del maggio 2007, che aveva ritenuto infondata la pretesa; la Corte di merito affermava inoltre che, pur dovendosi prescindere dalla fondatezza o meno della domanda proposta nel giudizio presupposto, la durata del processo non aveva provocato alcuna ripercussione negativa nei confronti del ricorrente, tenuto conto “dell’assenza del diritto ad essere tutelato” e della esigua rilevanza, sotto il profilo economico, della pretesa azionata;
3. il ricorrente censura il decreto impugnato, proponendo due articolati motivi di ricorso, con i quali, da un lato, deduce che la Corte di merito ha respinto il ricorso, sebbene il Ministero della Giustizia non abbia mai eccepito la infondatezza della domanda sotto il profilo dell’”an debeatur”, limitandosi a richiedere una contenuta determinazione dell’ammontare dell’indennizzo, e, dall’altro, censura il decreto impugnato per avere la Corte territoriale ritenuta congrua la durata del giudizio presupposto ed escluso il danno non patrimoniale in considerazione della mancanza “del diritto ad essere tutelato” e della esigua rilevanza, sotto il profilo economico, della pretesa azionata;
4. esaminati congiuntamente i profili di censura sollevati, il ricorso appare manifestamente fondato, in quanto l’affermazione che il processo nella specie si e’ svolto in un arco temporale da ritenersi ragionevole non risulta conforme ai criteri stabiliti dalla giurisprudenza CEDU e da quella nazionale per la determinazione della ragionevole durata del processo, secondo i quali il limite massimo di ragionevole durata del processo di primo grado e’ di circa tre anni (Cass. 2008/14);
4.1. inoltre il danno non patrimoniale e’ conseguenza normale, ancorche’ non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, senza che l’entita’ della posta in gioco ne processo in cui si e’ verificato il mancato rispetto del termine ragionevole assuma rilevanza a fine di escludere il riconoscimento del danno, poiche’ l’ansia e il patema d’animo conseguenti alla pendenza del processo si verificano normalmente anche nei giudizi in cui sia esigua la posta in gioco, potendo tale aspetto rilevare solo nella determinazione del “quantum” del risarcimento spettante;
sicche’, pur dovendo escludersi la configurabilita’ di un danno non patrimoniale “in re ipsa” – ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito nell’accertamento della violazione – il giudice, una volta accertata e determinata l’entita’ della violazione relativa alla durata ragionevole del processo secondo le norme della citata L. n. 89 de 2001, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale ogniqualvolta l’altra parte non dimostri l’esistenza, nel caso concreto, di circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente (Cass. S. U. 2004/1338; Cass. 2005/3396; 2005/5992;
2005/7088; 2006/1047);
4.2. va altresi’ rilevato che il diritto all’equa riparazione prescinde dall’esito del giudizio irragionevolmente protrattosi nel tempo, e quindi anche dall’insussistenza del diritto di cui si chiede la tutela nel giudizio presupposto, e puo’ competere anche a chi, in quel giudizio, sia rimasto, o eventualmente sia destinato a rimanere, soccombente, pur non essendo da escludere che l’esito del processo possa, in taluni casi, avere un indiretto riflesso anche sull’identificazione, o sulla misura, del pregiudizio sofferto dalla parte in conseguenza della eccessiva durata della causa stessa (Cass. 2003/3410; 2003/6163; 2005/29000), come quando il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire l’irragionevole durata di esso, o comunque quando risulti la piena consapevolezza dell’infondatezza delle proprie istanze o della loro inammissibilita’; di tutte queste situazioni, comportanti abuso del processo e percio’ costituenti altrettante deroghe alla regola della risarcibilita’ della sua irragionevole durata, deve dare prova la parte che le eccepisce per negare la sussistenza dell’indicato danno, dovendo altrimenti ritenersi che esso si verifica di regola come conseguenza della violazione stessa, e che non abbisogna di essere provato neppure a mezzo di elementi presuntivi (Cass. 2005/21078);
4.3. restano assorbiti gli altri profili di censura sollevati dal ricorrente;
5. alla stregua delle considerazioni che precedono e qualora il collegio condivida i rilievi in precedenza formulati, si ritiene che il ricorso possa essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”;
B) osservato che non sono state depositate conclusioni scritte o memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso le argomentazioni esposte nella relazione;
ritenuto pertanto che, in base alle considerazioni che precedono, il ricorso meriti accoglimento e che il decreto impugnato debba essere annullato in ordine alla censura accolta;
che. non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa puo’ essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2;
che in particolare, determinati in quattro anni e nove mesi la durata complessiva del giudizio presupposto, protrattosi dal 6 maggio 2003 al 20 febbraio 2008, e in tre anni il termine ragionevole di durata di detto processo, secondo i parametri fissati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e di questa Corte, il periodo di durata non ragionevole va stabilito in un anno e nove mesi;
che il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito nel processo presupposto va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009;
secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, a condizione che le decisioni pertinenti siano coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato, e purche’ detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 idonea a garantire che la diversita’ di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata;
tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno (Cass. 2009/16086;
2010/819); nel caso di specie si deve, di conseguenza, riconoscere al ricorrente, in relazione ad una durata non ragionevole di un anno e nove mesi, l’indennizzo di Euro 1.312,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannata il Ministero soccombente;
B1) considerato che le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397; 2008/25352).
P.Q.M.
LA CORTE accoglie il ricorso. Cassa il decreto impugnato in ordine alla censura accolta e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 1.312.00, oltre agli interessi legali a decorrere dalla domanda.
Condanna il Ministero soccombente al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 775,00, di cui Euro 280,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, nonche’ di quelle del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 525,00 di cui Euro 425,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, con distrazione, per le spese di entrambi i giudizi, in favore del difensore del ricorrente, avv. Oscar Lojodice, dichiaratosi antistatario.
Cosi’ deciso in Roma, il 15 luglio 2010.
Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2011