Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.1915 del 27/01/2011

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10206/2005 proposto da:

R.M. C.F. *****, G.C. C.F.

*****, R.C. C.F. *****, R.

F. C.F. *****, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA VIGLIENA 10, presso lo studio dell’avvocato GRAZIANI Giovanni, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

R.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUIGI LUCIANI 1, presso lo studio dell’avvocato MANCA BITTI Daniele, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MINA ANDREA;

– controricorrente –

e contro

R.L.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 635/2004 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 24/08/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 13/12/2010 dal Consigliere Dott. VINCENZO MAZZACANE;

udito l’Avvocato Manca Bitti Daniele con delega dell’Avv. Mina Andrea depositata in udienza difensore del resistente che si riporta agli atti scritti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 13-11-1995 R.G. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Brescia il fratello R.L. e G.C., R.C., R.M. R. e R.F., gli ultimi quattro quali eredi dell’altro fratello premorto R.A., chiedendo disporsi lo scioglimento della comunione incidentale tra di essi esistente in ragione di un terzo ciascuno relativamente ad alcun immobili siti in *****.

Si costituivano in giudizio tutti i convenuti assumendo che tra le parti era intervenuta una divisione convenzionale degli immobili oggetto di comunione con scrittura privata del 1-2-1994 di cui chiedevano accertarsi giudizialmente l’efficacia.

Con sentenza dell’8-3-2000 il Tribunale adito approvava e dichiarava esecutivo il progetto divisionale redatto dal CTU relativamente all’ipotesi delle relazione tecnica del 13-2-1997 con i correttivi apportati nella relazione integrativa del 23-1-1998, e con separata ordinanza rimetteva la causa in istruttoria per l’estrazione a sorte dei lotti.

Proposto gravame dai suddetti eredi di R.A. cui resisteva R.G., nella contumacia di R.L., la Corte di Appello di Brescia con sentenza del 24-8-2004 ha rigettato l’impugnazione, rilevando che la menzionata scrittura del 1-2-1994, sottoscritta dal solo R.C. “per eredi R.A.” senza essere munito di procura conferita da parte degli altri coeredi nella necessaria forma scritta, comportava la nullità dell’atto di divisione ivi contenuto.

Per la cassazione di tale sentenza R.C., R.M. R., R.F. e G.C. hanno proposto un ricorso basato su di un unico motivo cui R.G. ha resistito con controricorso; R.L. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo articolato i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione di norme di diritto ed insufficiente motivazione, censurano la sentenza impugnata per non aver considerato che la menzionata scrittura del 1-2-2004 era stata sottoscritta da R. C. “per eredi R.A.”, in qualità quindi di rappresentante della madre G.C. e delle sorelle F. e R.M.R., consentendo così il perfezionamento della convenzione; ciò era confortato dal fatto che queste ultime non avevano avuto nulla da opporre in proposito, e che anzi successivamente avevano addirittura confermato la procura sottoscrivendo la suddetta scrittura privata.

I ricorrenti rilevano che, qualora si fosse voluto ritenere R. C. un “falsus procurator”, il negozio da lui concluso non sarebbe stato nè nullo nè annullabile ma semplicemente inefficace fino alla ratifica da parte del “dominus”, fatto nella specie verificatosi sia in precedenza oralmente sia successivamente per iscritto da parte degli altri eredi di R.A.; pertanto si sarebbe dovuto tenere conto che l’eccezione di inefficacia del contratto concluso dal “falsus procurator” non è deducibile dall’altro contraente, ma soltanto dallo pseudo rappresentato.

Infine i ricorrenti sostengono che, contrariamente all’assunto del giudice di appello, la lettera inviata l’8-5-1995 da R.G. a R.C. quale rappresentante degli eredi di R. A. del seguente tenore “con la presente sono a chiederle un incontro formale per addivenire ad un accordo sulla suddivisione degli immobili intestati ai sig. R.G., R.L., eredi R.A.”, avrebbe dovuto essere considerata come una semplice richiesta di giungere alla effettiva divisione degli immobili così come previsto in data 1-2-1994, e non una manifestazione della volontà di revocare il proprio consenso prestato nella scrittura privata dell’anno precedente.

La censura è infondata.

La sentenza impugnata, premesso che gli appellanti intendevano far valere la scrittura del 1-2-1994 con la quale essi avrebbero di comune accordo con L. e R.G. proceduto alla divisione degli immobili in comunione, e considerato che per un atto di divisione immobiliare è prevista la forma scritta “ad substantiam”, ha rilevato che anche la procura rilasciata a colui che intende stipulare un negozio divisorio in nome di altri deve rivestire la forma scritta ai sensi dell’art. 1392 c.c., ed esistere al momento della stipula; nella fattispecie, invece, nella quale R.C. aveva sottoscritto l’atto “per gli eredi R.A.”, mancava la procura nella necessaria forma scritta, considerata la sua mancata produzione a fronte di una specifica contestazione; pertanto l’assunto del ricorrente in ordine al fatto che R.C. avrebbe sottoscritto l’atto di divisione suddetto anche in qualità di rappresentante della madre G.C. e delle sorelle Franca e R.M.R. sono del tutto irrilevanti in presenza della corretta e comunque non censurata statuizione sopra enunciata.

Quanto poi alla asserita ratifica dell’atto sottoscritto da R. C. da parte degli altri eredi di R.A., la Corte territoriale ha anzitutto affermato – senza censure specifiche in proposito – che tale questione non era stata mai dedotta in precedenza, e che comunque la ratifica avrebbe dovuto intervenire in forma scritta prima della domanda giudiziale introdotta da R. G., circostanza in realtà non verificatasi.

Il giudice di appello, inoltre, “ad abundantiam” ha osservato che alla inesistenza della procura proveniente da una delle parti necessarie di un contratto da stipulare per iscritto, da ritenere equivalente al difetto di sottoscrizione, si sarebbe potuto ovviare con la produzione in giudizio dell’atto ad opera di colui che non lo aveva sottoscritto; e tuttavia tale eventualità era estranea alla fattispecie, dove la domanda giudiziale formulata da R.G. con la quale si chiedeva la divisione dei beni senza alcun riferimento alla scrittura del 1-2-1994 era incompatibile con la permanenza di una sua volontà di far salvo quanto da lui dichiarato nel suddetto documento; a tale riguardo la sentenza impugnata ha ritenuto di incerto significato la lettera dell’8-5-1995, in base ad un accertamento di fatto sorretto da logica motivazione alla luce della lettura di quella parte del suo contenuto trascritta nel ricorso, dove in realtà non è contemplato alcun richiamo all’accordo divisionale del 1-2-1994.

In definitiva quindi la Corte territoriale ha aderito al convincimento del giudice di primo grado secondo cui la scrittura del 1-2-1994 poteva equivalere ad una mera proposta contrattuale (da parte di R.G.), suscettibile di revoca (come in effetti era avvenuto con la domanda introduttiva del giudizio di primo grado) fino al momento in cui l’accettazione non fosse pervenuta a conoscenza del dichiarante, momento non anteriore alla produzione in giudizio della scrittura suddetta con la costituzione dei convenuti;

tale impostazione quindi, non oggetto di specifiche censure in questa sede, secondo cui nella fattispecie non si sarebbe mai giunti alla conclusione dell’accordo divisionale previsto nella menzionata scrittura, consente di ritenere che correttamente il giudice di appello ha escluso rilevanza giuridica ad essa in quanto di per sè inidonea a produrre effetti giuridici in capo alla G. ed a F. e R.M.R..

Il ricorso deve quindi essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 3500,00 per onorari di avvocato.

Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2011

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