LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –
Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –
Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –
Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 27663/2008 proposto da:
U.V., V.A., R.I., G.
M., N.L., B.R., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FLAMINIA 109, presso lo studio dell’avvocato BERTOLONE Biagio, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROCCELLA ARMANDO, giusta 2010 delega in atti;
– ricorrente –
contro
UNIVERSITA’ EGLI STUDI DI GENOVA, in persona del Rettore pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atto;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1198/2007 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 03/12/2007 r.g.n. 1111/05;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 14/12/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE MELIADO’;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza in data 24.10.2007/13.2.2008 la Corte di appello di Genova, in riforma della sentenza resa dal Tribunale di Genova il 17.5.2005, impugnata dall’Università degli Studi di Genova, accoglieva l’opposizione all’esecuzione e dichiarava l’inefficacia del precetto intimato da U.V. e dagli altri ricorrenti indicati in epigrafe sulla base di decreti ingiuntivi emessi da giudice funzionalmente incompetente, come accertato con sentenza passata in giudicato in giudizio successivamente non riassunto.
Per la cassazione della sentenza propongono ricorso U.V., G.M., N.L., V.A., B. R., R.I. con due motivi.
Resiste con controricorso l’Università degli Studi di Genova.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione degli artt. 645, 50, 310, 653, 38 e 353 c.p.c., ed, al riguardo, osservano che, pur ipotizzando l’annullamento implicito dei decreti ingiuntivi, a seguito della statuizione di incompetenza adottata, con sentenza irrevocabile, dal giudice di appello, doveva, nondimeno, riconoscersi che l’esecuzione si fondava pure sulla sentenza di merito di primo grado , che aveva rigettato l’opposizione proposta avverso i decreti ingiuntivi medesimi, sicchè doveva applicarsi il combinato disposto degli artt. 50 e 310 c.p.c., con riferimento a caso di estinzione del giudizio.
Con il secondo motivo i ricorrenti prospettano violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 50 c.p.c. e art. 111 Cost.) e vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) rilevando come costituisca principio generale dell’ordinamento processuale civile la possibilità di riassumere il giudizio davanti al giudice competente dopo la dichiarazione di incompetenza e che tale principio costituisce espressione della naturale tendenza del processo a concludersi con una sentenza di merito che decida sul bene della vita richiesto entro tempi ragionevoli.
I motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto connessi, e vanno rigettati.
Costituisce principio ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Suprema Corte che la sentenza con cui il giudice in sede di opposizione a decreto ingiuntivo dichiara l’incompetenza del giudice che ha emesso il decreto non comporta la declinatoria della competenza funzionale a decidere sulla opposizione, bensì contiene, anche implicita, la declaratoria di invalidità del decreto ingiuntivo con la conseguenza che la tempestiva riassunzione davanti al giudice dichiarato competente è da riferire non alla causa di opposizione al decreto ingiuntivo (che appartiene alla competenza funzionale del giudice che ha emesso l’ingiunzione e non tollera, quindi, la traslatio iudicii), ma a quella avente ad oggetto la domanda proposta dal creditore mediante il ricorso in sede monitoria siccome domanda soggetta alla decisione secondo le regole della cognizione ordinaria piena: sicchè ciò che trasmigra al giudice competente non è più propriamente una causa di opposizione ad un decreto che più non esiste, in ragione della declinatoria di incompetenza del primo giudice, ma una causa ordinaria, da decidersi a cognizione piena sulla domanda proposta dal creditore (v. ad es. da ultimo Cass. n. 16744/2009, Cass. n. 11748/2007; Cass. n. 14552/2005;
Cass. n. 21297/2004).
Ne segue che, riformata in appello la sentenza di primo grado di rigetto dell’opposizione a decreto per incompetenza del giudice che aveva emesso il decreto, la mancata riassunzione della causa dinanzi al giudice competente non comporta il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 338 c.p.c., non configurandosi estinzione rispetto all’esito di definizione del giudizio di opposizione ad opera del giudice funzionalmente competente, e tenuto conto che, per effetto dell’annullamento espresso o implicito del decreto, non è destinata a sopravvivere alcuna causa di opposizione (v in tal senso da ultimo Cass. n. 11748/2007).
A tale indirizzo interpretativo, che si riporta all’insegnamento del tutto prevalente della giurisprudenza di legittimità, la Corte ritiene di dover dare continuità con il conseguente rigetto del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese che liquida in Euro 10,00 per esborsi ed in Euro 2.500,00 per onorario di avvocato, oltre ad accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2011