LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUPI Fernando – rel. Presidente –
Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –
Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –
Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 27688/2009 proposto da:
F.E. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VINCENZO UGO TABY 19, presso il Sig. PIETRO PERNARELLA, rappresentato e difeso dall’avvocato TAMMETTA Walter, giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 524/2008 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di ROMA, SEZIONE DISTACCATA di LATINA del 26/09/08, depositata il 10/11/2008;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/12/2010 dal Presidente Relatore Dott. VERNANDO LUPI;
udito l’Avvocato TAMMETTA WALTER, difensore del ricorrente che si riporta agli scritti;
è presente il P.G. in persona del Dott. TOMMASO BASILE che conferma la relazione scritta.
FATTO E DIRITTO
La Corte, ritenuto che è stata depositata in cancelleria la seguente relazione a sensi dell’art. 380 bis c.p.c.: “La CTR del Lazio, con sentenza 524/40/08 ha accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate di Formia nei confronti di F.E.. Ha motivato la decisione ritenendo che la prova dei maggiori ricavi, derivanti dalla istallazione di macchine da gioco nel bar del contribuente, derivasse dal lettura dei contatori elettromeccanici che indicavano il numero delle giocate moltiplicato per l’incasso per ogni giocata.
L’ammontare così calcolato era ripartito proporzionalmente per la durata di utilizzo nell’anno di accertamento. Ha poi ritenuto che le circostanze dedotte dal contribuente che gli apparecchi fossero usati prima dell’installazione nel suo esercizio e che i contatori non fossero stati azzerati dovevano essere provati dal contribuente e che la prova non era stata fornita.
Ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi il F., l’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.
Con il primo motivo il contribuente contesta, deducendo violazione dell’art. 2697 c.c., e formulando idoneo quesito di diritto, che la prova che gli apparecchi non fossero nuovi o i contatori non fossero stati azzerati spetti al contribuente.
La censura è infondata. Il numero di giocate indicato dai contatori elettromeccanici istallati moltiplicato per il non controverso ricavo di spettanza del gestore fornisce la prova, al pari di un contatore di cassa, dell’ammontare complessivo dei ricavi del contribuente. Su questi dati, che costruiscono il fatto costitutivo dell’obbligazione tributaria, l’Amministrazione ha fornito la prova richiesta dall’art. 2697 c.c., al pari di una società, che somministrando energia elettrica, acqua o gas, fondi le proprie fatture sulle letture dei contatori.
La prova della circostanza impeditiva del fatto costitutivo dedotta al contribuente, che i contatori non fossero a zero o non fossero stati azzerati, incombe al debitore ex art. 2697 c.c., perchè, secondo l’id quod plerumque accidit, la circostanza il contatore all’inizio dell’utenza non fosse a zero, perchè il gestore subentrava ad altri nel suo uso, è normalmente documentata per iscritto per regolare i rapporti tra gestore e noleggiatore, così come per le utenze domestiche il contratto di fornitura indica la lettura iniziale del contatore.
Con il secondo motivo il contribuente censura, deducendo violazione di legge, la determinazione dei maggiori ricavi sulla base di presunzioni non aventi i requisiti della gravità precisione e concordanza.
La censura è infondata in quanto la prova non è fondata su presunzioni ma su macchine, quali i contatori, che forniscono piena prova a sensi dell’art. 2712 c.c., dei fatti che rappresentano, cfr.
Cass 16797/08 per i contatori telefonici.
Rilevato che la relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti costituite;
considerato che il Collegio, a seguito della discussione in Camera di consiglio, condividendo i motivi in fatto e in diritto della relazione, ritiene che ricorra l’ipotesi prevista dall’art. 375 c.p.c., n. 5, della manifesta infondatezza del ricorso e che, pertanto, la sentenza impugnata vada confermata.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese liquidate in Euro 3.600,00 oltre spese prenotate a debito ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2011