LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –
Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Consigliere –
Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –
Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –
Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 24376/2009 proposto da:
RETE FERROVIARIA ITALIANA SPA ***** (già Ferrovie dello Stato Spa Società di Trasporti e Servizi per Azioni), in persona dell’institore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI RIPETTA 22, presso lo studio dell’avvocato VESCI Gerardo, che la rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
L.S. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AGRI 1, presso lo studio dell’avvocato NAPPI Pasquale, che lo rappresenta e difende, giusta mandato a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 905/2009 della CORTE D’APPELLO di BARI del 23/02/09, depositata il 03/03/2009;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 28/10/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO LAMORGESE;
udito l’Avvocato Colapinto Carlo, (delega avvocato Vesci), difensore della ricorrente che si riporta agli scritti;
è presente il P.G. in persona del Dott. MASSIMO FEDELI che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza depositata il 3 marzo 2009, la Corte di appello di Bari ha accolto, così riformando la decisione di primo grado, la domanda avanzata da L.S. nei confronti della società Rete Ferroviaria Italiana, alle dipendenze della quale costui lavorava, ed ha condannato l’appellata al pagamento in favore del L. della somma di Euro 2.379,70, oltre rivalutazione monetaria e interessi, per buoni pasto spettanti nel periodo 1 gennaio 1999/31 dicembre 1993.
La Corte territoriale ha ritenuto che le relative disposizioni del ccnl dovevano essere interpretate nel senso che i buoni pasti spettano ai dipendenti impegnati in turni rotativi, che a causa dei tempi di percorrenza non abbiano possibilità di rientrare a casa per il pranzo o la cena, come appunto si era verificato per l’appellante nel periodo dallo stesso indicato.
Per la cassazione della sentenza la società ha proposto ricorso con due motivi, cui il lavoratore ha resistito controricorso.
Ravvisati i presupposti per la decisione del ricorso in Camera di consiglio, è stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., poi ritualmente notificata alle parti e comunicata al Procuratore Generale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ., in relazione all’art. 27, comma 1, lett. C, nn. 1 e 2, ccnl 1996/99, e all’art. 19, comma 1, lett. c, ccnl 16 aprile 2003, nonchè vizio di motivazione. Deduce l’errore in cui è incorsa la sentenza impugnata nell’attribuire alle clausole pattizie un significato e una portata applicativa oggettivamente diversa dal suo tenore letterale, le quali invece per la comune intenzione delle parti contrattuali vanno intese nel senso di riconoscere il diritto del dipendente al buono pasto quando il turno lavorativo comprende interamente una delle fasce orarie concordate. Addebita inoltre al giudice del merito di non avere considerato i comportamenti successivi delle parti, posteriori alla conclusione del contratto, dai quali si possa evincere la volontà delle stesse di attribuire il buono pasto ogni qualvolta per ragioni di servizio il dipendente non può consumare il pasto presso la propria abitazione nelle ore concordate.
Prima dell’esame dei suesposti motivi, il Collegio deve riscontrare l’improcedibilità del ricorso – che è questione rilevabile di ufficio – in quanto la ricorrente non ha adempiuto all’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi, imposto, a pena di improcedibilità del ricorso per cassazione, dall’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, nella formulazione di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40. Tale onere può ritenersi soddisfatto solo con il deposito, in forma integrale, dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, non essendo sufficiente la trascrizione della clausola contrattuale che si assume violata, secondo l’orientamento della prevalente giurisprudenza di questa Corte (v. sentenze 11 febbraio 2008 n. 6432, 2 luglio 2009 n. 15495, 30 dicembre 2009 n. 27876, 23 febbraio 2010 n. 4373, 13 maggio 2010 n. 11614), che il Collegio condivide.
Resta così superata la proposta di risoluzione della controversia contenuta nella relazione ex art. 380 bis cod. proc. civ., ove si è fatto riferimento a precedenti pronunce (e precisamente alla n. 15496 del 2 luglio 2009 e alla n. 13067 del 17 giugno 2005) rese da questa Corte in fattispecie identiche, confermative delle decisioni dei giudici di merito, favorevoli alla tesi sostenuta dai lavoratori.
Relazione che è priva di valore vincolante e ben può essere disattesa dall’organo giudicante, ossia dal Collegio in camera di consiglio, che mantiene pieno potere decisorio (Cass. 27 marzo 2009 n. 7433).
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara improcedibile il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento in favore del resistente delle spese del presente giudizio, che, liquidate in Euro 30,00 (trenta/00) per esborsi e in Euro 2.000,00 (duemila/00) per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A., sono attribuite direttamente all’avv. Pasquale Nappi, per dichiarata anticipazione.
Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2010.
Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2011