LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIDIRI Guido – Presidente –
Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –
Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –
Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –
Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 14333-2009 proposto da:
A.G., A.D., B.M.F., B.R., C.F., M.R., S.
M., B.L., B.D., B.
M., B.S., eredi di BI.RE., C.
M., F.M., tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G. PISANELLI 2, Presso lo studio dell’avvocato DI MEO STEFANO, rappresentati e difesi dall’avvocato BAREGI FRANCESCA, giusta mandato in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
– AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA PISANA – A.O.U.P., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RUGGERO FAURO 43, presso lo studio dell’avvocato PETRONIO UGO, rappresentata e difesa dall’avvocato MAZZOTTA ORONZO;
– UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 469/2009 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 16/04/2009 R.G.N. 1698/07;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/09/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;
udito l’Avvocato DI MEO STEFANO per delega FRANCESCO BAREGI;
udito l’Avvocato MAZZOTTA ORONZO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DESTRO Carlo che ha concluso per dichiarazione di inammissibilità.
Con separati ricorsi, successivamente riuniti, al Tribunale, giudice del lavoro, di Pisa, regolarmente notificati, A.G. e gli altri odierni ricorrenti, tecnici ospedalieri dipendenti dall’Università di Pisa e destinati da lungo tempo a svolgere la loro attività presso strutture del Servizio Sanitario Nazionale, premesso di aver chiesto ed ottenuto, all’esito di giudizi amministrativi conclusi con sentenze definitive del Consiglio di Stato, l’accertamento del diritto a percepire l’indennità perequativa di cui al D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31 nella misura determinata dalle tabelle di equiparazione vigenti all’epoca e di cui al D.M. 9 novembre 1982, e precisamente nella misura idonea a garantire l’equiparazione del personale inquadrato ne livello 7^ e 8^ universitario al ruolo unico della dirigenza sanitaria non medica, esponevano che dal novembre 2006 l’Università di Pisa aveva ridotto tale indennità perequativa in base ad una nuova tabella di equiparazione allegata al CCNL comparto università del 2005 con la quale si garantiva l’inquadramento giuridico ed economico dei dipendenti universitari svolgenti attività assistenziale presso la nuova costituita Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana.
Argomentavano il diritto a conservare il trattamento retributivo perchè riconosciuto da decisioni giudiziali definitive, perchè non c’era stato nessun mutamento del rapporto di lavoro, e perchè lo stesso disposto dell’art. 28 del CCNL 2005, al comma 6, salvaguardava le posizioni economiche di miglior favore acquisite a qualsiasi titolo dai lavoratori. Chiedevano pertanto la condanna dell’Università di Pisa alla corresponsione delle differenze fra il trattamento dovuto a seguito delle decisioni giudiziali definitive e quello erogato in esito al loro passaggio nella neo costituita Azienda ospedaliera.
Con sentenza in data 11.6.2007 il Tribunale adito accoglieva la domanda. In particolare il giudice di primo grado rilevava che la questione concernente il diritto dei ricorrenti a percepire la detta indennità perequativa nella misura reclamata era preclusa per essere intervenuta tra i lavoratori e l’amministrazione datoriale una decisione giudiziale definitiva con autorità di giudicato, che costituiva quindi la “legge” che regolava i rapporti di lavoro dedotti in causa in relazione al punto oggetto della controversia;
rilevava che l’organizzazione delle strutture di assistenza sanitaria nella nuova forma dell’azienda integrata ospedaliero – universitaria era un dato estraneo al rapporto negoziale controverso che non potrebbe ex se determinare una novazione dei rapporti di lavoro di cui è causa; ed evidenziava infine che l’art. 28 de CCNL 2005, dopo aver individuato le tabelle di equiparazione, al comma 6 faceva salve le posizioni giuridiche ed economiche comunque conseguite dal personale già in servizio.
Avverso tale sentenza proponevano appello l’Università di Pisa e l’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo il rigetto delle domande proposte da controparte con il ricorso introduttivo.
La Corte di Appello di Firenze, con sentenza in data 24.3/16.4.2009, in accoglimento degli appelli, rigettava le domande proposte dai ricorrenti con gli atti introduttivi del giudizio.
In particolare la Corte territoriale rilevava che il nuovo accordo intervenuto fra i lavoratori ricorrenti e l’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana aveva determinato un mutamento delle condizioni di fatto e di diritto sottese ai dicta giudiziali per cui il giudicato sulla misura dell’indennità perequata al trattamento della dirigenza sanitaria non medica del SSN avrebbe arrestato i suoi effetti con la stipula dei nuovi contratti di lavoro decorrenti dal novembre 2006. Rilevava la Corte che il suddetto passaggio del personale tecnico amministrativo dalla Ausl alla nuova Azienda, se pur non omologabile ad un trasferimento d’azienda ex art. 2112 c.c., aveva avuto comunque l’effetto di costituire un nuovo e diverso regolamento contrattuale rispetto a quello precedentemente svoltosi, idoneo a superare la barriera costituita dal giudicato amministrativo. E rilevava altresì, posto che la costituzione dell’Azienda Ospedaliera Universitaria comportava il mutamento, sotto il profilo soggettivo, del precedente rapporto di lavoro intrattenuto dei dipendenti adibiti come assistenti tecnici nella struttura operativa del S.S.N., che il passaggio effettuatosi con l’accettazione della proposta contrattuale formulata dalla nuova Azienda imponeva una nuova determinazione dell’inquadramento economico, di talchè i lavoratori interessati, con la sottoscrizione nel novembre del 2006 di tale proposta, avevano accettato l’inquadramento economico nella categoria D3 del S.S.N., alla stregua della previsione contenuta nell’art. 28 del predetto CCNL 2005. Di conseguenza il giudicato formatosi arresterebbe i suoi effetti alla predetta data di novembre 2006.
Avverso questa sentenza propongono ricorso per cassazione i lavoratori interessati con tre motivi di impugnazione.
Resistono, con separati controricorsi, l’Università di Pisa e l’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana.
I ricorrenti e l’Azienda Universitaria Ospedaliera hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Col primo motivo del ricorso si lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5), nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3).
In particolare osservano i ricorrenti che erroneamente il giudice d’appello, pur rilevando che il passaggio del personale tecnico amministrativo dalla Ausl alla nuova Azienda non fosse omologabile ad un trasferimento d’azienda ex art. 2112 c.c., aveva ritenuto tuttavia che tale operazione di trapasso, non ulteriormente qualificata sotto il profilo giuridico, avesse avuto l’effetto di costituire un nuovo e diverso regolamento contrattuale rispetto a quello precedentemente svoltosi. Osservano per contro i ricorrenti che la nuova Azienda, costituitasi con la L.R. n. 72 del 2006 che aveva previsto una nuova organizzazione nella forma dell’azienda integrata con l’Università, era priva di autonomia sia formale che funzionale, nè aveva un autonomo contratto collettivo di lavoro rispetto a quello del comparto università e del comparto sanità, per cui essi ricorrenti continuavano ad essere dipendenti del Ministero dell’Università ed il loro rapporto di lavoro era regolato dal contratto collettivo del comparto università; pertanto le considerazioni della Corte fiorentina in merito alla qualificazione del nuovo rapporto di lavoro in termini di “trapasso”, figura riconducibile solo al trasferimento di ramo d’azienda, risultavano non corrette sotto il profilo giuridico, oltre che viziate per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, e di conseguenza erronee dovevano ritenersi le ulteriori conclusioni in ordine alla irrilevanza del giudicato amministrativo per effetto del nuovo regolamento contrattuale intervenuto con il soggetto “cessionario”.
Col secondo motivo del ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1230 e segg. c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3).
Rilevano in particolare i ricorrenti che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto che nel caso di specie si fosse verificata una novazione soggettiva ed oggettiva del rapporto di lavoro dei dipendenti transitati alla neo costituita Azienda Ospedaliera Universitaria, per cui il giudicato arresterebbe i suoi effetti al novembre 2006.
Ed invero, ai sensi dell’art. 1230 c.c., si ha novazione oggettiva quando le parti sostituiscono all’obbligazione originaria una nuova obbligazione con oggetto e titolo diversi, purchè la volontà di estinguere l’obbligazione precedente risulti in modo non equivoco. Di siffatto contratto sono pertanto elementi essenziali, oltre i soggetti e la causa, anche l’animus novandi che consiste nella inequivoca comune intenzione di estinguere l’obbligazione sostituendola con una nuova, nonchè l’aliquid novi, inteso come mutamento sostanziale o dell’oggetto della prestazione o del titolo del rapporto. Orbene, nel caso di specie deve ritenersi insussistente il predetto animus novandi, ove si osservi che l’oggetto della prestazione era rimasto assolutamente il medesimo, come pure non erano cambiate le mansioni assistenziali svolte, le modalità esecutive delle stesse ed il luogo in cui l’attività professionale era esercitata. Ne consegue che la proposta di ricollocazione dell’ottobre 2006 non può configurare una novazione del rapporto di lavoro, in assenza degli elementi normativamente previsti, e pertanto gli effetti del giudicato amministrativo non possono ritenersi cessati per effetto del nuovo regolamento contrattuale.
Col terzo motivo del ricorso si lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 1362 e segg. c.c., dell’art. 2077 c.c., dell’art. 28 del CCNL Università del 27.1.2005 (art. 360 c.p.c., n. 3).
In particolare i ricorrenti rilevano che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto che con il nuovo accordo contrattuale le parti avessero inteso modificare l’assetto economico rinunciando al trattamento di miglior favore derivante dal precedente giudicato, avendo in tal modo la Corte non correttamente interpretato il disposto di cui all’art. 28, comma 6 del CCNL 2005 che faceva salve le posizioni giuridiche ed economiche del personale già in servizio nelle aziende ospedaliere universitarie, svalutando totalmente il tenore letterale di tale norma che costituisce lo strumento di interpretazione fondamentale e prioritario del negozio.
Il ricorso è improcedibile.
Ha eccepito invero l’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, tra l’altro, che parte ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, pur facendo riferimento a numerose fonti documentali decisive ai fini del giudizio, aveva omesso di operare la trascrizione delle stesse nel proposto gravame.
Il rilievo è fondato.
Osserva il Collegio che il punto fondamentale, intorno a cui ruota tutta la vicenda in esame, è quello relativo alla valutazione della incidenza del giudicato amministrativo, formatosi a seguito di pronuncia del Consiglio di Stato in esito ai giudizi amministrativi precedentemente incoati dai ricorrenti, in relazione al contratto dagli stessi stipulato con l’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana nel novembre del 2006 (in ordine al quale di disquisisce se sia ravvisabile o meno un’ipotesi di novazione oggettiva rispetto al precedente regolamento pattizio che regolava il rapporto lavorativo degli stessi), nonchè alla valutazione dell’incidenza sul predetto accordo del novembre 2006 della norma di salvaguardia delle posizioni giuridiche ed economiche già acquisite, contenuta nel comma 6 dell’art. 28 del CCNL comparto università del 2005, e quindi, in buona sostanza, l’interpretazione di tale articolo.
Orbene, come è noto, per il principio di specificità e autosufficienza del ricorso, è necessario che nello stesso siano indicati con precisione tutti quegli elementi di fatto che consentano di controllare l’esistenza del denunciato vizio senza che il giudice di legittimità debba far ricorso all’esame degli atti.
Pertanto nel caso di specie i ricorrenti, nel proporre le censure sopra indicate, avrebbero dovuto riportare nel ricorso (ovvero allegare allo stesso) il contenuto della non meglio individuata sentenza del Consiglio di Stato su cui si fonda l’assunto degli stessi concernente l’intangibilità del trattamento economico in quella sede riconosciuto, nonchè il contenuto dell’accordo stipulato con l’Azienda Ospedaliera Universitaria nel novembre del 2006, onde consentire a questa Corte di valutare l’esistenza del vizio denunciato senza dover procedere ad un (non dovuto) esame dei fascicoli – d’ufficio o di parte – che a tali atti facciano riferimento.
Osserva in proposito il Collegio, come già è stato fatto in altre decisioni (Cass. sez. 3, 4.9.2008 n. 22303), che il requisito dell’art. 366 c.p.c., n. 6, per essere assolto, postula che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato dal ricorso, risulta prodotto, poichè indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, dire dove nel processo è rintracciabile.
Ed invero, poichè la causa di inammissibilità prevista dal nuovo art. 366, n. 6, c.p.c, è direttamente ricollegata al contenuto del ricorso, come requisito che si deve esprimere in una indicazione contenutistica del ricorso medesimo (si veda, in termini, Cass. SS.UU. n. 23019 del 2007), allorchè il requisito della “specifica indicazione” riguardi un documento, è necessario che si individui dove e quando esso è stato prodotto nelle fasi di merito e, quindi, anche in funzione di quanto dispone l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il quale prevede un ulteriore requisito di procedibilità disponendo che unitamente al ricorso devono essere depositati i documenti ed i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, che esso sia prodotto in sede di legittimità.
Deve pertanto ritenersi che il ricorrente per cassazione, il quale fondi le sue doglianze sulla non corretta valutazione di un atto o documento da parte dei giudici di merito, ha in realtà il duplice onere – impostogli dall’art. 366, comma 1, n. 6 e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 – di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto. E tale onere è adempiuto, per un verso, mediante la esatta indicazione nel ricorso in quale parte del fascicolo di esso ricorrente si trovi il documento in questione e con la specificazione di dove e quando esso sia stato prodotto; per altro verso, mediante la trascrizione nel ricorso del contenuto del documento, o quanto meno degli specifici capi del documento cui si riferiscono le censure proposte.
Sul punto ha evidenziato questa Corte che “è evidente che là dove la legge prescrive che il documento sia indicato specificamente l’onere di specificazione non concerne solo il cd. contenente, cioè il documento o l’atto processuale come entità materiali, ma anche il cd. contenuto, cioè quanto il documento o l’atto processuale racchiudono in sè e fornisce fondamento al motivo di ricorso. Sotto questo secondo profilo l’onere di indicazione si può adempiere trascrivendo la parte del documento su cui si fonda il motivo o almeno riproducendola indirettamente in modo da consentire alla Corte di cassazione di esaminare il documento o l’atto processuale proprio in quella parte su cui il ricorrente ha fondato il motivo, si da scongiurarsi un inammissibile soggettivismo della Corte nella individuazione di quella parte del documento o dell’atto su cui il ricorrente ha inteso fondare il motivo” (Cass. sez. 3, 4.9.2008 n. 22303).
E tale conclusione trova ulteriore conferma alla stregua del contenuto dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.
ti ricorso proposto va pertanto dichiarato improcedibile ed a tale pronuncia segue la condanna dei ricorrenti al pagamento, in favore dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, delle spese di giudizio che si liquidano come da dispositivo. Nessuna statuizione in ordine a tali spese va adottata nei confronti dell’Università di Pisa, ove si osservi che il ricorso è stato alla stessa notificato in data 11.6.2009 ed il controricorso, recante la data del 24 settembre 2009, risulta consegnato all’Ufficiale Giudiziario per la notifica ben oltre i termini di cui all’art. 370 c.p.c..
P.Q.M.
La Corte dichiara improcedibile il ricorso; condanna i ricorrenti alla rifusione, nei confronti dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 60,00, oltre Euro 3.500,00 (tremilacinquecento) per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge. Nulla per le spese nei confronti dell’Università di Pisa.
Così deciso in Roma, il 21 settembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2011