LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –
Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –
Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –
Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –
Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 13731/2009 proposto da:
C.E.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BERTOLONI 1/E, presso lo studio dell’avv. TOMMASO GUALTIERI, rappresentato e difeso dall’avv. BARBERA Franco, giusta mandato in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
PREFETTURA DELLA PROVINCIA DI MESSINA;
– intimata –
avverso la sentenza R.G. 534/09 del GIUDICE DI PACE di MESSINA del 25.3.09, depositata il 27/03/2009;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 12/01/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. ANTONIETTA CARESTIA.
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO p. 1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. è del seguente tenore: “1.- C.E.M. ricorre per cassazione, formulando cinque motivi, contro il decreto del 27.3.2009 con il quale il Giudice di pace di Messina ha rigettato la sua opposizione contro il decreto di espulsione emesso il 27.1.2009 dal Prefetto di Messina e contro l’ordine in pari data del Questore.
Il Prefetto intimato non ha svolto difese.
Considerato in diritto:
2. – Con i cinque motivi di ricorso il ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 13 e 14, della L. n. 241 del 1990, art. 21 septies e vizio di motivazione, formulando i seguenti quesiti:
1) dica la Corte se la mancata pronunzia su un motivo di opposizione, ritualmente formulato nel giudizio di primo grado, comporti la violazione dell’art. 112 c.p.c. e – conseguentemente – la nullità della sentenza.
Dica inoltre la Corte se la mancata traduzione del decreto di espulsione in una lingua conosciuta dallo straniero comporti la nullità assoluta del provvedimento prefettizio e del conseguente decreto del Questore per violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, e per violazione del diritto di difesa.
Dica ancora la S.C. se la traduzione del solo verbale di notificazione del decreto prefettizio di espulsione (e del provvedimento del Questore) possa sanare la mancata traduzione del provvedimento stesso (e di quello questorile) e se occorra che il verbale di notificazione sia completo in ogni sua parte (con esclusione dei c.d. puntini di sospensione).
2) dica la Corte se la compiuta ed esatta identificazione dello straniero sia o meno elemento essenziale del decreto di espulsione e, quindi, se la mancata corrispondenza dei veri dati anagrafici rispetto a quelli vergati nel provvedimento comporti la mancata individuazione del destinatario dell’atto nei modi previsti dalla legge e la nullità del provvedimento del Prefetto e di ogni altro che a quello consegua.
3) dica la Corte se la mancata pronunzia su un motivo di opposizione, ritualmente formulato nel giudizio di primo grado, comporti la violazione dell’art. 112 c.p.c. e – conseguentemente – la nullità della sentenza;
dica inoltre la Corte se il provvedimento del Prefetto e quello conseguente del Questore avrebbero dovuto indicare correttamente la data della contestata trasgressione del T.U. sull’immigrazione da parte dello straniero.
4) dica la Corte se la mancata pronunzia su uno specifico motivo di opposizione, ritualmente formulato nel giudizio di primo grado, comporti la violazione dell’art. 112 c.p.c. e quindi la nullità della sentenza;
dica inoltre la Corte se il provvedimento del Prefetto e quello conseguente del Questore avrebbero dovuto specificare le ragioni per le quali quelle Autorità escludono la sussistenza di motivi ostativi all’espulsione o se sia sufficiente, a tal fine, la tautologica riproduzione del dettato normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 13 e 14.
5) dica la Corte se la mancata pronunzia su un motivo specifico di opposizione, ritualmente formulato nel giudizio di primo grado, comporti la violazione dell’art. 112 c.p.c. e quindi la nullità della sentenza;
Dica la Corte se il rilascio della carta di soggiorno sia subordinato perfezionamento dell’iter imposto dall’art. 5 T.U. sull’immigrazione, che ne costituisce pertanto il presupposto inderogabile.
Dica pure la Corte se il Giudice di Pace possa omettere la valutazione anche delle condizioni di vita personali del ricorrente e – in particolare – se lo straniero si sia integrato o meno nel territorio dello Stato e nella rete lavorativa e produttiva.
p. 3. – Il ricorso sembra inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c..
Infatti, il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie. E’, pertanto, inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge (Sez. 3^, n. 19769 del 17/07/2008).
Quanto alla formulazione dei motivi nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, la censura di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (sentenza S.U. n. 20603/2007) e deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenerlo rispettato quando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366 bis, che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea sorreggere la decisione (ordinanza n. 16002/2007).
Nella concreta fattispecie i cinque motivi del ricorso si concludono con quesiti non rispettosi dei principi innanzi enunciati.
Ove si condividano i rilievi innanzi esposti, il ricorso potrà essere deciso in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c.”.
p. 2.- Il Collegio condivide e fa proprie le conclusioni della relazione e le argomentazioni sulle quali esse si fondano e che conducono alla declaratoria di inammissibilità del ricorso.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 gennaio 2011.
Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2011