LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –
Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –
Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –
Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –
Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 20308/2009 proposto da:
D.B. (*****) elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SALARIA 332, presso lo studio dell’avvocato DE MAJO GABRIELE, rappresentato e difeso dall’avvocato PETTINELLI Carlo, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
PREFETTO DELLA PROVINCIA DI TERAMO;
– intimati –
avverso l’ordinanza n. 78/2008 del GIUDICE DI PACE di TERAMO del 21/09/09, depositata il 2^/09/2008;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 12/01/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;
è presente il P.G. in persona del Dott. ANTONIETTA CARESTIA.
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO p. 1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è del seguente tenore: “1.- D.B. ha proposto ricorso per cassazione – affidato a sei motivi – contro il decreto in data 25.9.2008 con il quale il Giudice di pace di Teramo ha respinto il suo ricorso avverso il decreto di espulsione emesso dal Prefetto di Teramo.
Il Prefetto intimato non ha svolto difese.
2. – Con i sei motivi di ricorso il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione formulando i seguenti quesiti:
A) E’ tenuto il Giudice di Pace ai sensi dell’art. 738 c.p.c., in relazione all’art. 213 c.p.c., nonchè in relazione all’art. 115 c.p.c. a porre a fondamento della propria decisione solo le prove proposte dalle parti … nelle forme previste dal codice di procedura civile e a non escludere l’assunzione di tutte quelle prove richieste dalle parti . .. che possono in qualche modo contribuire ad una più completa, valida ed esauriente decisione finale senza con ciò potervi derogare ammettendo forme di costituzione irrituale in giudizio derogando così alle disposizioni di cui al capo 6^ codice di procedura civile per i procedimenti in Camera di Consiglio e di quelli di cui al titolo 2^ stesso codice per i procedimenti dinanzi al Giudice di Pace.
B) Ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 3, vi è l’assoluto ed inderogabile obbligo di motivazione degli atti amministrativi in difetto del quale l’atto emanato dalla Pubblica Amministrazione è da considerarsi nullo.
C) Ai sensi della L. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, è da considerarsi nullo il decreto di espulsione che, pur presentando una traduzione nelle lingue inglese, francese e spagnola, sia privo della traduzione nella lingua conosciuta dallo straniero senza alcuna valida motivazione o alcun valido riferimento alla impossibilità di tale traduzione.
D) Ai sensi del D.P.R. n. 445 del 2000, art. 18, è da considerarsi conforme all’originale solo l’atto la cui attestazione di conformità all’originale sia stata apposta dal Pubblico Ufficiale dal quale è stato emesso l’atto o presso il quale è depositato l’originale dovendo considerarsi viziata da nullità o addirittura da inesistenza qualsiasi attestazione di conformità all’originale apposta da soggetto diverso da quello che ha emanato l’atto in originale o presso il quale è depositato l’originale.
E) Vi è, per il Giudice chiamato a decidere, l’inderogabile obbligo di pronunciarsi su tutti i punti o su tutte le questioni proposte in giudizio dalle parti con la conseguenza che la mancata pronuncia del Giudice su una o su tutte le dette questioni rende irrimediabilmente ed insanabilmente viziata di nullità la decisione finale del Giudice.
F) E’ insanabile il vizio della nullità allorquando il decreto espulsivo presenti nella traduzione in lingua inglese, francese e/o spagnola l’identificazione della frontiera attraverso la quale l’espulso deve lasciare il territorio nazionale con il solo numero senza alcun riferimento alla città da cui lasciare il territorio nazionale.
2.1.- Va premesso che secondo la giurisprudenza della S. Corte il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico- giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. In altri termini, il quesito di diritto di cui all’art. 3 66 bis cod. proc. civ. deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito;
b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (Sez. 3^, ordinanza n. 19769 del 17/07/2008). E’, pertanto, inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge perchè, ponendosi in violazione di quanto prescritto dal citato art. 366 bis, si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie (Sez. U, Sentenza n. 26020 del 30/10/2008).
Nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, poi, si richiede che l’illustrazione del motivo venga corredata da un momento di sintesi dei rilievi attraverso il quale poter cogliere la fondatezza della censura (v. sentenza, S.U., n. 16528/2008). Ciò posto, il quesito sub a) appare affatto generico e tale da rendere persino incomprensibile il tipo di censura formulato.
Il quesito sub b) appare meramente assertivo e ripetitivo del contenuto di una normativa che, peraltro, la giurisprudenza della Corte ritiene inapplicabile al decreto di espulsione. La stessa genericità del quesito sub a) sembra inficiare il quesito sub d) e quello sub e), il quale non indica quali domande nel caso concreto siano state pretermesse.
I corrispondenti motivi, dunque, appaiono manifestamente inammissibili.
Appare manifestamente fondata, per contro, la censura correttamente sintetizzata nel quesito sub c) (con assorbimento del motivo sub f) perchè costituisce principio consolidato nella giurisprudenza della S. Corte quello secondo cui l’obbligo previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, di traduzione della copia del decreto di espulsione nella lingua conosciuta dall’interessato, è derogabile tutte le volte in cui l’autorità procedente attesti e specifichi nell’atto le ragioni per le quali sia impossibile la traduzione e si imponga, per l’effetto, la traduzione nelle lingue predeterminate dalla citata disposizione (francese, inglese, spagnolo), tale attestazione essendo, nel contempo, condizione non solo necessaria, ma anche sufficiente a che il decreto di espulsione risulti immune da vizi di nullità, restando, per ciò solo, escluso che il giudice possa sindacare nel merito la fondatezza delle ragioni addotte (v., tra le più recenti, Cass., n. 7323 del 2005, n. 7666 del 2005, n. 17657 del 2005). Per contro, dal provvedimento impugnato non emerge che nel decreto di espulsione fossero attestate le ragioni per le quali era stata impossibile la traduzione, avendo il giudice di pace affermato che nel caso in esame il verbale di notifica del provvedimento di espulsione risulta tradotto nelle lingue francese, inglese e spagnolo e, sembra contenere tutti gli elementi essenziali dell’atto notificato.
Il ricorso, dunque, può essere deciso in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.”.
p. 2.- Il Collegio condivide e fa proprie le conclusioni della relazione e le argomentazioni sulle quali esse si fondano e che conducono alla declaratoria di inammissibilità del primo, del quarto e del quinto motivo di ricorso, all’accoglimento del terzo motivo e all’assorbimento del sesto.
Il decreto impugnato, dunque, deve essere cassato in relazione al motivo accolto con rinvio al Giudice di pace di Teramo, in persona di diverso magistrato, per nuovo esame e per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili il primo, il quarto e il quinto motivo di ricorso, accoglie il terzo motivo e dichiara assorbito il sesto; cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia al Giudice di pace di Teramo, in persona di diverso magistrato, per nuovo esame e per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 gennaio 2011.
Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2011