LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –
Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –
Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –
Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –
Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 29/2009 proposto da:
O.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso da se stesso;
– ricorrente –
contro
G.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FASANA 16, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO RAMPIONI, rappresentato e difeso da se stesso e dall’avvocato MUOIO FATIMA, giusta procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3433/07 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del 25/09/07, depositata il 07/11/2007;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 05/11/2010 dal Consigliere Relatore Dott. PASQUALE D’ASCOLA;
udito l’Avvocato O.L., difensore di se stesso (ricorrente) che si riporta agli scritti;
è presente il P.G. in persona del Dott. LIBERTINO ALBERTO RUSSO che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTO E DIRITTO
1) Alle parti costituite è stata comunicata relazione ex art. 380 bis c.p.c., che, emendata da imperfezioni formali, si riproduce di seguito.
2) “Il 20.12.2001 l’avv. G.L. notificava a E. C., B.G. e R.A. decreto ingiuntivo relativo al pagamento di proprie competenze professionali. Nel giudizio di opposizione intentato dagli ingiunti, che allegavano di non aver mai conferito alcun incarico al professionista, interveniva l’avv. O., il quale dichiarava di assumere su di sè ogni eventuale obbligazione verso il G..
Il tribunale di Napoli, con sentenza 26.11.2004, riduceva l’importo dovuto dagli opponenti. Nelle more decedeva E.C., cui succedevano i sette eredi E.A., An., G., Gi., L., M.A. e Co.. L’appello proposto da questi ultimi, dagli altri opponenti e dall’avv. O. veniva respinto dalla Corte di appello di Napoli con sentenza 7 novembre 2007.
L’avv. O. ha proposto ricorso per cassazione. L’avv. G. ha resistito con controricorso.
Preliminarmente va rilevata la mancata notifica del ricorso ai signori E., B. e R.. Ai fini dell’eventuale integrazione del contraddittorio la causa va trattata in Camera di consiglio.
Va inoltre in subordine rilevato che i motivi di ricorso si profilano inammissibili ex art. 366 bis c.p.c., giacchè il primo quesito si risolve in un interpello alla Corte circa la legittimità dell’applicazione della normativa sul mandato, senza compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (Cass. 19769/08). Pertanto il quesito non è stato formulato in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimitàdi enunciare una “regula iuris” suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata (SU 26020/08).
Quanto al secondo motivo, che prospetta violazione di legge relativa alla normativa sulle tariffe forensi e alla L. n. 794 del 1942, esso è incongruo, giacchè muove dal presupposto, indimostrato, della mancanza di prova delle pretese dell’ingiungente, perchè asseritamente fondato solo sul parere del Consiglio dell’Ordine. Nel corpo del motivo si legge però che risulta provata la partecipazione dell’avvocato ingiungente ad alcune udienze e la sentenza indici altri elementi presuntivi atti a ricondurre all’opposto lo svolgimento dell’attività professionale in contestazione. La sentenza doveva essere pertanto impugnata, su questi presupposti, per vizi di motivazione, non risultando (da essa) negato il presupposto normativo che viene fatto valere con il motivo di ricorso.
E’ per contro evidente che le doglianze sulla motivazione che traspaiono dalla censura non sono corredate dalla specifica indicazione del fatto controverso, indispensabile ex art 366 c.p.c..
Il Collegio valuterà l’applicabilità dei principi posti da SU n. 6826/10 (Nel giudizio di cassazione, il rispetto del principio della ragionevole durata del processo impone, in presenza di un’evidente ragione d’inammissibilità del ricorso (nella specie, per la palese inidoneità del quesito di diritto), di definire con immediatezza il procedimento, senza la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti di litisconsorti necessari cui il ricorso non risulti notificato, trattandosi di un’attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio)”.
3) Il Collegio condivide la relazione.
Il quesito posto al termine del primo motivo reca infatti: “Dica la SC se sia legittima l’applicazione della normativa sul mandato come sopra esposta ai rapporti tra i sette germani E., B. G., R.A., l’avv. O.L. da una parte e l’avv. G.L. dall’altra e se del caso vada annullata la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 3433/2007, la quale ha invece affermato che l’avv. G. ha anche sostanzialmente rappresentato in giudizio gli opponenti e appellanti”. In tal modo esso si limita a chiedere il controllo sulla sentenza impugnata, senza enucleare la questione giuridica sottoposta alla Corte, questione che doveva concernere la violazione dell’art. 1703, e segg., con particolare attenzione agli artt. 1711 e 1717, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Va inoltre rilevata la inammissibilità del primo motivo anche sotto altro profilo. La censura mira infatti a far valere la non sussistenza del debito per compensi professionali in capo ai germani E., ma costoro non sono ricorrenti, sicchè il ricorrente non può sostituirsi, in quanto carente di interesse, nel tutelare la posizione da essi vantata.
4) Da ultimo va disattesa l’istanza di riunione – formulata in calce al ricorso – ad altri ricorsi proposti nell’ambito di un “ampio contenzioso” tra l’avv. O. e gli avv. Muoio e G., giacchè si tratta di ricorsi afferenti a diverse cause e che coinvolgono parti diverse da quelle odierne. Discende da quanto esposto l’inammissibilità del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo, tenendo conto dell’esiguo valore della lite.
Superflua è, alla luce del citato orientamento delle Sezioni Unite (SU 6826/10) in caso di inammissibilità del ricorso principale, l’integrazione del contraddittorio ipotizzata dalla relazione.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente alla refusione al resistente G. delle spese di lite liquidate in Euro 600,00 per onorari, Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 5 novembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2011