Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.16221 del 20/06/2018

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In tema di associazioni non riconosciute, la responsabilità dell'ente sussiste, ai sensi dell'art. 38, primo comma, cod. civ., per le obbligazioni ed i rapporti assunti dai soggetti che ne sono rappresentanti di diritto ed anche di fatto e che, spendendo la ragione sociale, determinano con i loro atti ed in concreto l'oggetto sociale, a prescindere dalle possibili indicazioni formali; ne consegue che tale regola, di carattere generale, si applica anche ai debiti tributari.

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CORTE DI CASSAZIONE

Ordinanza 20 giugno 2018, n. 16221

Rilevato che

1. l'Associazione S. ricorre con tre motivi contro l'Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 59/26/10 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, sez. 26, del 15/2/2010, depositata il 22/3/2010 e non notificata, che ha respinto l'appello della contribuente, confermando la sentenza della C.T.P. di Roma, che aveva rigettato il ricorso introduttivo della società, in controversia concernente l'impugnativa dell'avviso di accertamento n. 369641/1996 per Irpeg, Ilor e sanzioni relativo all'anno di imposta 1991;

2. esponeva l'Associazione di essere un ente operante, dal 1981, nel settore, non commerciale, del recupero dei soggetti tossicodipendenti, farmacodipendenti ed alcooldipendenti, e di aver avuto successivamente la qualifica di Onlus;

rilevava, inoltre, che l'avviso di accertamento, relativo ad IRPEG, ILOR e sanzioni dovuti per il 1991, era stato emesso, previa riqualificazione dell'ente da non commerciale a commerciale, a seguito di rideterminazione in via induttiva del reddito imponibile, ex art. 39 comma 2° DPR 600/1973;

secondo la ricorrente, il comportamento illegittimo dei soci ed amministratori non era riferibile all'associazione, di conseguenza non era corretta la qualificazione dell'attività dell'ente come "commerciale" ed era comunque indimostrato il collegamento di essa a determinati periodi di imposta;

l'Associazione aveva, quindi, impugnato gli avvisi di accertamento emessi per le diverse annualità (nella specie l'avviso di accertamento riguarda l'annualità 1991), evidenziando la circostanza secondo cui i due operatori (E.R., socia amministratrice, e F.C., amministratore di fatto, sottoposti anche a processo penale) avrebbero agito nell'esclusivo proprio interesse (acquistando barche, aerei, terreni...);

3. la C.T.P. di Roma aveva rigettato il ricorso e, sotto il profilo normativo, aveva ritenuto applicabili gli artt. 20 bis D.P.R. n. 600/73 e dell'art. 25 D.Lgs. n. 460/97;

tale applicabilità era stata contestata dall'Associazione con i motivi di appello (insieme alla riproposizione delle altre doglianze), dovendosi ritenere che la normativa istitutiva delle ONLUS fosse entrata in vigore solo in data 1/1/1998;

3. con la sentenza impugnata, la C.T.R. del Lazio riteneva che, anche sotto il vigore della disciplina previgente all'istituzione delle ONLUS, gli artt. 5, 88 e 111 D.P.R. n. 917/86 prevedevano che l'esercizio di attività commerciale, ancorché statutariamente esclusa dallo scopo sociale dell'associazione, era il presupposto per la formazione di redditi tassabili in forma associata , come tali imputabili a ciascun socio;

inoltre la C.T.R. riteneva irrilevante, ai fini della riferibilità dell'attività commerciale all'ente, le sentenze penali di condanna a carico degli amministratori, con le quali la S., che si era costituita parte civile, asseriva di aver ottenuto in suo favore il risarcimento dei danni;

4. a seguito del ricorso della S., l'Agenzia delle Entrate si costituisce e resiste con controricorso;

6. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 26 aprile 2018,

ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n. 168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n. 197;

7. il P.G. ha fatto pervenire conclusioni scritte, con cui ha chiesto il rigetto del ricorso;

Considerato che

1.1. con il primo motivo, la ricorrente denuncia la nullità della sentenza per la violazione dell'art. 132, II comma, c.p.c., in relazione all'art. 360, 1 comma, n.4, c.p.c.;

con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la nullità della sentenza per la violazione dell'art. 132, II comma, c.p.c., in relazione all'art. 360, I comma, n. 4, nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 88, 11 (ndr 111) e 5 T.u.i.r., in relazione all'art. 360, comma 1, n.3, c.p.c., per la completa estraneità di tali norme alla fattispecie in esame;

deduce la ricorrente, l'inconferenza del richiamo agli artt. 88, 11 (ndr 111) e 5 T.u.i.r., che avrebbe reso solo apparente la motivazione, con conseguente nullità radicale della sentenza impugnata;

1.2. i motivi devono essere esaminati congiuntamente e sono complessivamente infondati;

1.3. ed invero, sia pure in maniera sintetica, il giudice di appello si è pronunciato sul ricorso della società contribuente, sostanzialmente ritenendo non applicabile la disciplina citata dal primo giudice in tema di ONLUS, entrata in vigore successivamente ai fatti di causa;

non sussiste, quindi, la lamentata omissione di pronuncia; inoltre, sebbene il richiamo agli artt. 5, 88 e 11 del T.u.i.r. (ndr 111 del T.u.i.r.) non sia pienamente conferente, egualmente la decisione appare nella sostanza conforme a diritto, poiché il giudice chiarisce che, anche prima dell'entrata in vigore dell'art. 20 bis D.P.R. n. 600/73 e dell'art. 25 D.Lgs. n. 460/97, istitutivo delle ONLUS, le associazioni mutualistiche o assistenziali che comunque ponevano in essere un'attività di tipo commerciale, ancorché non statutariamente prevista, dovevano ritenersi soggette ad IRPEG ed ILOR;

deve, infatti , ritenersi applicabile, ratione temporis, la disciplina del capo II del titolo II del d.P.R. n. 917/1986, in base alla quale, anche prima dell'entrata in vigore degli artt. 20 bis D.P.R. n.600/73 e dell'art. 25 D.Lgs. n. 460/97, risultava la tassabilità delle attività che presentavano i requisiti di commercialità, al di fuori delle ipotesi in cui siano rese agli associati in conformità alle finalità istituzionali dell'ente (commi 2 e 3 art. 111 Tuir, sugli enti di tipo associativo, vigente ratione temporis);

invero, "gli enti di tipo associativo non godono di una generale esenzione da ogni prelievo fiscale, potendo anche le associazioni senza fini di lucro - come si evince dall'art. 111, comma secondo, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (nel testo applicabile nella specie, ratione temporis)

- svolgere, di fatto, attività a carattere commerciale; il citato art. 111, comma primo - in forza del quale le attività a favore degli associati non sono considerate commerciali e le quote associative non concorrono a formare il reddito complessivo - costituisce, d'altro canto, deroga alla disciplina generale, fissata dagli artt. 86 e 87 del medesimo d.P.R., secondo cui l'IRPEG si applica a tutti i redditi, in denaro o in natura, posseduti da soggetti diversi dalle persone fisiche: con la conseguenza che l'onere di provare i presupposti di fatto che giustificano l'esenzione è a carico del soggetto che la invoca, secondo gli ordinari criteri stabiliti dall'art. 2697 cod. civ." (Cass. 3360/2013; 22598/06);

anche la denunciata violazione di legge, quindi, deve ritenersi insussistente;

2.1. con il terzo motivo (articolato in nove paragrafi con numerosi richiami di difficile intellegibilità), la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 112 e 277, comma 1, c.p.c. in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti decisivi e controversi, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.;

2.2. il motivo si articola in molteplici profili di doglianza, per la gran parte inammissibili o infondati;

2.3. in particolare, alcune censure (quelle riguardanti le norme applicabili, ratione temporis, alle associazioni non riconosciute non aventi scopo di lucro; la qualifica dell'ente nell'ambito delle associazioni non riconosciute non aventi scopo di lucro; la riferibilità dell'attività commerciale svolta dall'amministratore e da altri soci di fatto all'associazione - paragrafo 3.1. e 3.2.del ricorso) risultano inammissibili sotto il profilo del vizio motivazionale della sentenza, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n.5, c.p.c., poiché non riguardano la motivazione in fatto, ma I 'iter logico argomentativo in diritto su cui è basata la decisione impugnata;

per quanto riguarda, poi, la censura relativa all'omessa pronuncia, essa è infondata, per quanto già rilevato al punto 1.3., e deve ritenersi comunque inammissibile, poiché la natura associativa e non lucrativa dell'ente (ove accertata), per quanto già detto, non esclude l'assoggettabilità ad IRPEG ed ILOR dei redditi derivanti dall'attività commerciale posta in essere;

risultano egualmente inammissibili i profili di doglianza contenuti in ricorso nei paragrafi 3.3. (sull'inconferenza di alcune circostanze evidenziate dal giudice di appello, quali l'omesso versamento delle quote sociali da parte dei soci, l'assenza tra i soci degli enti erogatori delle rette e degli utenti sottoposti a programma di recupero) e 3.4. (sull'inapplicabilità dell'art.108 Tuir , all'epoca vigente e relativo alla soggezione ad imposta degli enti non commerciali);

tali profili, per quanto non assorbiti dal rigetto dei primi due motivi di ricorso, risultano comunque inammissibili, perché vertono su circostanze non decisive ai fini della soggezione a tassazione dell'attività commerciale imputabile all'ente;

infondata è, invece, la doglianza di cui ai paragrafi 3.2.2. e 3.7., in relazione all'omessa pronuncia ed omessa motivazione, ai sensi dell'art. 360, comma 1, nn. 4 e 5, c.p.c., sulla riferibilità dell'attività illecita degli amministratori all'ente, che ne sarebbe, invece, danneggiato, come accertato in sede penale;

invero, la ricorrente non contesta la natura commerciale dell'attività svolta dall'amministratore e da altri soci di fatto, né che tale attività sia avvenuta in nome dell'associazione e con i suoi fondi, limitandosi a contestazioni che involgono la qualifica formale dell'ente;

come affermato da questa Corte nella sentenza n. 16344/08 (citata nel controricorso dell'agenzia e nelle conclusioni del P.G.), relativa all'accertamento per l'anno di imposta 1989 nei confronti della stessa S., l'attività di tali soggetti deve intendersi riferibile alla S., che all'epoca dei fatti era un'associazione non riconosciuta, costituita ai sensi dell'art. 36 c.c.; nella citata sentenza, la Corte ha affermato che alla fattispecie in esame risulta applicabile il primo comma dell'art. 38 c.c., secondo cui le obbligazioni ed i rapporti assunti dai soggetti che rappresentano l'associazione fanno capo all'associazione stessa che ne risponde, sempre che gli amministratori abbiano "speso" la ragione sociale, circostanza questa non contestata;

la Corte ha anche chiarito che l’art. 38 cod. civ. è espressione di un modo di essere delle associazioni non riconosciute; in ordine alle quali l'opera dei rappresentati plasma e determina in concreto l'oggetto sociale, a prescindere dalle possibili indicazioni formali (del resto scarsamente rilevanti anche nell'ambito delle società di persone e di capitali). E ben può accadere che un'associazione nata con scopi di assistenza e beneficenza divenga in concreto un operatore commerciale. Questa trasformazione operativa produce poi logicamente i suoi effetti anche ai fini tributari (Cass. 12 marzo 2007, n. 5746), cioè in un ambito ove ancora maggiore è l'attenzione dell'ordinamento alla realtà economica operativa rispetto a denominazioni o sigle apparenti" (Cass. sent. n. 16344/08);

la responsabilità dell'ente sussiste, ai sensi dell'art. 38, primo comma, cod. civ., per le obbligazioni ed i rapporti assunti dai soggetti che ne sono rappresentanti di diritto ed anche di fatto e che, spendendo la ragione sociale, determinano con i loro atti ed in concreto l'oggetto sociale, a prescindere dalle possibili indicazioni formali;

ne consegue che tale regola, di carattere generale, si applica anche ai debiti tributari (Cass. sent. n. 16344/08);

gli ultimi profili di doglianza (paragrafi 3.8 e 3.9 del ricorso) sono inammissibili, perché, contenendo continui richiami a precedenti motivi dello stesso ricorso in cassazione e dei ricorsi dei precedenti gradi di giudizio, riportati solo in parte ed in maniera alquanto confusa, risultano di difficile comprensione e comunque meramente riassuntivi delle doglianze precedenti;

inoltre (paragrafi 3.2.1. e 3.5. del ricorso), la ricorrente contesta l'omessa pronuncia in ordine alla circostanza della riferibilità dell'attività commerciale all'anno di imposta 1991, nonché la violazione delle norme di cui agli artt. 39, II comma, e 41 D.P.R. n. 600/73, per il difetto di motivazione dell'avviso di accertamento sui criteri di determinazione del reddito presunto;

tali ultimi profili di doglianza risultano in parte inammissibili ed in parte infondati;

non è infatti ravvisabile alcun difetto di motivazione dell'avviso di accertamento, in quanto lo stesso fa espresso richiamo al PVC della Guardia di Finanza, alle molteplici attività commerciali esercitate dai soci ed amministratori, per le quali era risultata completamente omessa la contabilità, nonché ai ricavi rilevati dagli accertatori e posti a base dell'accertamento induttivo;

inoltre, le doglianze della società risultano limitate ad alcune delle voci, tra quelle indicate nell'avviso di accertamento quali potenziali fonti di reddito, e non consentono di cogliere l'effettiva portata della censura, che per tale profilo è inammissibile;

unico motivo fondato risulta essere quello contenuto al paragrafo 3.6, con cui la ricorrente chiede l'applicazione alla fattispecie in esame della disciplina più favorevole del D.Lgs. n. 471 - 472/1997;

in particolare, l'art. 25, comma 2, D.Lgs. n. 472/97 prevede l'applicabilità degli artt. 3, 4, 5, 6, 8 e 12 anche ai procedimenti in corso;

l'art. 3, comma 3, D.Lgs. n. 472/97 dispone che, se la legge, in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione, stabilisce sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che l'irrogazione sia divenuta definitiva;

secondo la ricorrente nel caso in esame, per l'anno 1991 è stato applicato il regime sanzionatorio previsto dall'art. 46, comma 1, D.P.R. n.600/73 (da due a quattro volte il valore dell'imposta dovuta), mentre avrebbe dovuto trovare applicazione il più lieve regime di cui all'art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 471/97 (dal 120% al 240% dell'imposta dovuta), non sussistendo violazioni di gravità tali da discostarsi dal minimo;

invero, in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, il principio del favor rei, introdotto dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 3, è norma applicabile anche ai procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore, stante l’espressa previsione della norma transitoria dell'art. 25, commi 1 e 2, dello stesso Decreto;

inoltre, salvo il caso d'intervenuta definitività del provvedimento sanzionatorio - le più favorevoli norme sanzionatone sopravvenute devono essere applicate, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio;

ne consegue che - ove (come nel caso di specie), persistendo controversia sull'an della violazione tributaria, sussista ancora controversia sulla debenza delle sanzioni, di cui la violazione fiscale costituisce ineludibile presupposto - s'impone la necessità di applicare il sopravvenuto più favorevole regime sanzionatorio;

occorre quindi che il giudice del merito rinnovi la propria valutazione, al fine di verificare se, nella specifica fattispecie, l'entità della sanzione irrogata per le violazioni relative all'anno 1991 sia ricompresa tra il nuovo valore del minimo e del massimo edittale e se sia comunque adeguata in relazione al complessivo trattamento sanzionatorio favorevolmente modificato (Cass. 14406/2017, n. 13482/2001, n. 152/2002);

4.1. la sentenza va cassata, in relazione al solo motivo accolto e, per l'effetto, la causa va rinviata alla CTR del Lazio, in diversa composizione, perché decida anche sulle spese del presente giudizio di legittimità;

P.Q.M.

In accoglimento del terzo motivo, nei limiti di cui in motivazione, rigettati gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla C.T.R. del Lazio, in diversa composizione, cui demanda anche la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.

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