LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIDONE Antonio – Presidente –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 21521/2014 r.g. proposto da:
***** s.r.l. unipersonale, (cod. fisc. *****), con sede in *****, in persona dell’amministratore unico e legale rappresentante pro tempore Z.A., rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Prof. Gianluca Contaldi e dall’Avvocato Mario Fogliotti, unitamente ai quali elettivamente domicilia presso lo studio del primo in Roma, alla via Pier Luigi da Palestrina n. 63;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO ***** s.r.l. unipersonale, (cod. fisc. *****), in persona del curatore Avv. C.P.; L.P. (*****);
CO.GEA.S. s.r.l., già Termoclima s.r.l. unipersonale (cod. fisc.
*****), con sede in *****, in persona del legale rappresentante pro tempore; SYSTEM SERVICE s.r.l. (cod. fisc.
*****), con sede in *****, in persona del legale rappresentante pro tempore;
– intimati –
avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO di TORINO depositata il 12/08/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 28/09/2018 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con sentenza depositata il 12 agosto 2014, la Corte d’appello di Torino respinse il reclamo proposto dalla ***** s.r.l. unipersonale contro la dichiarazione del proprio fallimento pronunciata dal Tribunale di Asti su istanza di L.P., della Termoclima s.r.l. (poi CO.GE.A.S. s.r.l.), e della System Service s.r.l..
1.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte ritenne: 1) infondata l’eccezione di nullità della sentenza reclamata per essere ancora pendente, alla data di quest’ultima, altro fallimento e per mancanza del requisito di svolgimento di attività commerciale, atteso che, al momento del deposito della seconda istanza di fallimento (gennaio 2014), era già stata pubblicata, e divenuta, in parte qua, cosa giudicata, non essendo stata ulteriormente impugnata sullo specifico punto, la sentenza di revoca del precedente fallimento, e che il fatto che la chiusura formale di esso fosse intervenuta solo il 9 aprile 2014 non appariva “rivestire particolare significatività, trattandosi di adempimento necessario in presenza di revoca”; 2) “totalmente infondate” le doglianze riguardanti la notificazione dell’istanza di fallimento depositata il 24 gennaio 2014, posto che l’ufficiale giudiziario si era recato all’indirizzo risultante quale sede legale, e, non avendovi rinvenuto il nominativo della società, non aveva alcun motivo di rivolgersi allo studio professionale ivi presente; 3) che la eccepita inattività nei tre esercizi anteriori all’istanza di fallimento, di per sè, non sarebbe stata sufficiente a respingere quell’istanza, in quanto ***** s.r.l., onerata della relativa prova, “non ha prodotto alcun documento o libro contabile o quant’altro – dichiarazioni dei redditi e/o dichiarazioni IVA -… da cui poter trarre riscontro sull’effettiva entità – o eventuale inesistenza – dell’attivo patrimoniale nel periodo individuato, sul mancato superamento del limite di cui all’art. 2, lett. b), e sull’entità dei debiti”.
2. Avverso la riportata sentenza, ricorre la ***** s.r.l. unipersonale, affidandosi a quattro motivi, mentre non hanno spiegato difese L.P., la CO.GE.A.S. s.r.l. (già Termoclima s.r.l.), e la System Service s.r.l..
2.1. I formulati motivi prospettano, rispettivamente:
1) “Violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., art. 15, comma 3, circa la notifica dell’istanza di fallimento”, per avere la decisione impugnata erroneamente ritenuto perfezionatasi la notifica del ricorso per la dichiarazione di fallimento alla società debitrice mediante deposito presso la casa comunale malgrado l’ufficiale giudiziario non avesse relazionato sulla chiusura e/o sull’abbandono della sede legale della stessa, nè sul suo eventuale trasferimento di fatto, nè sulla presenza, o meno, in loco, di legali rappresentanti o di personale incaricato al ritiro, essendosi limitato a riportare che “il nominativo non risulta al citofono”. Si rappresenta, inoltre, che, in occasione della notificazione della precedente istanza di fallimento al medesimo indirizzo, l’ufficiale giudiziario allora incaricato aveva ivi regolarmente reperito la sede predetta, sicchè, a suo dire, “con un minimo di diligenza, anche in tale seconda notifica si doveva pervenire allo stesso risultato” (cfr. pag. 15 del ricorso);
2) “Violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., art. 1, comma 1, circa la pendenza di precedente fallimento”. Si assume che la seconda istanza di fallimento, e la sentenza che l’aveva decisa, erano entrambe intervenute in pendenza del precedente fallimento di ***** s.r.l., all’epoca non ancora formalmente chiuso (il relativo provvedimento, infatti, era stato reso solo il 9 aprile 2014), e che l’assunto della corte territoriale, che, rigettando la corrispondente eccezione di nullità della decisione reclamata, aveva sostenuto che la sentenza recante la revoca di quel fallimento era stata pubblicata L. Fall., ex art. 17, ed era passata in giudicato, violava la L. Fall., art. 1, che consente la dichiarazione di fallimento degli imprenditori, sprovvisti dei requisiti dimensionali di cui al comma 2 della medesima disposizione, “che esercitano un’attività commerciale”. Nella specie, si sostiene che, al momento del deposito della seconda istanza di fallimento, la ***** s.r.l. non poteva esercitare alcuna attività imprenditoriale, nè essere cancellata dal registro delle imprese, essendo ancora fallita presso il Tribunale di Asti: solo con la formale chiusura di detto fallimento e la definitiva cessazione delle funzioni da parte del curatore nominato, la società fallita avrebbe potuto riavere la disponibilità formale di tutte le scritture contabili, nonchè dei libri sociali, necessari per la riattivazione dell’attività;
3) “Violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., art. 1, comma 2, circa il superamento dei limiti dimensionali per la dichiarazione di fallimento”, censurandosi la decisione impugnata nella parte in cui aveva ritenuto sussistenti i requisiti dimensionali per la dichiarazione del fallimento della menzionata società malgrado la sua sostanziale inattività nel triennio anteriore alla corrispondente istanza;
4) “Violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 18, in rapporto con l’art. 347 c.p.c., comma 3, circa la mancata acquisizione del fascicolo di ufficio di primo grado contenente l’istruttoria prefallimentare”, posto che da detto fascicolo il giudice di appello avrebbe potuto e dovuto trarre elementi decisivi su uno o più punti controversi della causa, in particolare, in rapporto ai requisiti dimensionali di cui alla L. Fall., art. 1, comma 2, circa l’inattività della società intimata nei tre esercizi precedenti l’istanza di fallimento e l’ammontare complessivo dei suoi debiti.
3. Il primo motivo è infondato.
3.1. Costituiscono circostanze incontroverse: a) il non avere documentato la ***** s.r.l. unipersonale di essere munita di indirizzo di posta elettronica certificata, tanto meno risultante dal registro delle imprese e dall’Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica; b) il non essere andata a buon fine (“omessa notifica in quanto sconosciuto all’indirizzo; il nominativo non risulta al citofono”. Cfr. pag. 13 del ricorso) la notificazione del ricorso per la dichiarazione di fallimento del 24.1.2014 e del decreto L. Fall., ex art. 15, tentata dall’ufficiale giudiziario, richiestone dai creditori L.P., Termoclima s.r.l. (poi Cogeas s.r.l.), e System Service s.r.l., presso la sede di quella società: in particolare, l’ufficiale suddetto, recatosi al corrispondente indirizzo risultante dal registro delle imprese, non aveva ivi rinvenuto il nominativo della menzionata società, sicchè aveva proceduto con il deposito dell’atto presso la casa comunale giusta la L. Fall. art. 15, comma 3.
3.2. E’ utile, poi, ricordare che ogni imprenditore, individuale o collettivo, iscritto al registro delle imprese è tenuto a dotarsi di indirizzo di posta elettronica certificata, del D.L. n. 185 del 2008, ex art. 16, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 2 del 2009 (come novellata dalla L. n. 35 del 2012. Per gli imprenditori individuali analogo obbligo è stato introdotto dal D.L. n. 179 del 2012, art. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 221 del 2012), e che, come già chiarito da questa Corte, tale indirizzo costituisce l’indirizzo “pubblico informatico” che i predetti hanno l’onere di attivare, tenere operativo e rinnovare nel tempo sin dalla fase di iscrizione nel registro delle imprese (per il periodo successivo alla entrata in vigore delle disposizioni da ultimo citate), – e finanche per i dodici mesi successivi alla eventuale cancellazione da esso – la cui responsabilità, sia nella fase di iscrizione che successivamente, grava sul legale rappresentante della società, non avendo al riguardo alcun compito di verifica l’Ufficio camerale (cfr. Cass. n. 31 del 2017; Cass. n. 16864 del 2018).
3.3. E’ noto, infine, che la L. Fall., art. 15, comma 3 (come sostituito dall’art. 17, comma 1, lett. a), del già menzionato D.L. n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 221 del 2012, qui applicabile ratione temporis) stabilisce che il ricorso per la dichiarazione di fallimento ed il relativo decreto di convocazione devono essere notificati, a cura della cancelleria, all’indirizzo di posta elettronica certificata del debitore (risultante dal registro delle imprese o dall’indice nazionale degli indirizzi PEC delle imprese e dei professionisti). Solo quando, per qualsiasi ragione, la notificazione via PEC non risulti possibile o non abbia esito positivo, la notifica andrà eseguita dall’Ufficiale Giudiziario che, a tal fine, dovrà accedere di persona presso la sede legale del debitore risultante dal registro predetto, oppure, qualora neppure questa modalità sia attuabile a causa dell’irreperibilità del destinatario, depositerà l’atto nella casa comunale della sede iscritta nel registro.
3.4. La norma, di cui la Corte costituzionale ha sancito la legittimità (cfr. C. Cost. n. 146 del 2016; C. Cost. n. 162 del 2017) escludendone il contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., ha, dunque, introdotto un procedimento speciale, sotto il profilo della sua maggiore semplicità rispetto al corrispondente regime ordinario codicistico, per la notificazione del ricorso di fallimento – che fa gravare sull’imprenditore le conseguenze negative derivanti dal mancato rispetto dei già descritti obblighi di dotarsi di indirizzo PEC e di tenerlo operativo – così intendendo positivizzare e rafforzare il principio secondo cui il tribunale, pur essendo tenuto a disporre la previa comparizione in camera di consiglio del debitore fallendo e ad effettuare, a tal fine, ogni ricerca per provvedere alla notificazione dell’avviso di convocazione, è esonerato dal compimento di ulteriori formalità allorchè la situazione di irreperibilità di questi debba imputarsi alla sua stessa negligenza e/o ad una condotta non conforme agli obblighi di correttezza di un operatore economico (cfr. Cass. n. 602 del 2017; Cass. n. 23728 del 2017; Cass. n. 6836 del 2018).
3.4.1. Questa Corte, peraltro, ha già ripetutamente chiarito – con argomentazioni pienamente condivise da questo Collegio – che “la L. Fall., art. 15, comma 3 (nel riprodotto testo novellato dalla L. n. 221 del 2012) stabilisce che il ricorso per la dichiarazione di fallimento ed il relativo decreto di convocazione devono essere notificati, a cura della cancelleria, all’indirizzo di posta elettronica certificata del debitore (risultante dal R.I. o dall’indice nazionale degli indirizzi PEC delle imprese e dei professionisti). Solo quando, per qualsiasi ragione, la notificazione via PEC non risulti possibile o non abbia esito positivo, la notifica andrà eseguita dall’Ufficiale Giudiziario che, a tal fine, dovrà accedere di persona presso la sede legale del debitore risultante dal R.I., oppure, qualora neppure questa modalità sia attuabile a causa dell’irreperibilità del destinatario, depositerà l’atto nella casa comunale della sede iscritta nel registro. La norma ha, dunque, introdotto in materia una disciplina speciale, del tutto distinta da quella che, nel codice di rito, regola le notificazioni degli atti del processo: va escluso, pertanto, che residuino ipotesi in cui il ricorso di fallimento e il decreto di convocazione debbano essere notificati, ai sensi degli artt. 138 e segg. o art. 145 c.p.c. (a seconda che l’impresa esercitata dal debitore sia individuale o collettiva), nei diretti confronti del titolare della ditta o del legale rappresentante della società” (cfr. Cass. n. 16864 del 2018; Cass. n. 6378 del 2018; Cass. n. 5080 del 2018; Cass. n. 602 del 2017; Cass. n. 17946 del 2016), successivamente precisando che l’utilizzo, negli arresti appena citati, della locuzione verbale “va escluso che…debbano” deve intendersi nel senso che le modalità notificatorie ex art. 138 e segg. o art. 145 c.p.c., “possono” essere utilizzate, esclusivamente nelle ipotesi specifiche suddette, in alternativa a quella del mero deposito presso la casa comunale senza altri avvisi, come sarebbe previsto, in tali casi, dalla L. Fall., novellato art. 15, comma 3, perchè comunque più garantiste per il destinatario dell’atto da notificare (cfr. Cass. n. 16864 del 2018).
3.5. Fermo quanto precede, l’infondatezza del motivo in esame deriva dal fatto che, non avendo la ***** s.r.l. unipersonale documentato di essere munita di indirizzo di posta elettronica certificata, tanto meno risultante dal registro delle imprese e dall’Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica, il mancato buon esito, presso la sua sede legale, del tentativo di notificazione del ricorso per la dichiarazione di fallimento del 24.1.2014 e del decreto L. Fall., ex art. 15, tentata dall’ufficiale giudiziario, richiestone dai creditori L.P., Termoclima s.r.l. (poi CO.GE.A.S. s.r.l.) e System Service s.r.l., per non essere stato rinvenuto, al corrispondente indirizzo risultante dal registro delle imprese, il nominativo della menzionata società, aveva legittimamente indotto l’ufficiale suddetto a procedere con il deposito dell’atto presso la casa comunale, senza altri avvisi, giusta la L. Fall., art. 15, comma 3.
3.5.1. Invero, il passaggio dalla notifica presso la sede della società a quella presso la casa comunale presuppone che la società non sia reperibile presso la sede risultante dal registro delle imprese. La sussistenza di tale presupposto di irreperibilità, peraltro, può ricorrere anche in una situazione nella quale si accerti che la società sia stata in concreto rintracciata in altre precedenti occasioni presso la sede risultante dal registro suddetto; ciò, tuttavia, richiede che l’ufficiale giudiziario abbia svolto ricerche e chiesto informazioni in modo adeguato, così da consentire di presumere che i diversi esiti di altre notificazioni siano riconducibili non ad una doverosa e diligente attività di ricerca dei destinatari, ma a circostanze fortunate non sempre ripetibili; inoltre, è necessario che, come previsto dall’art. 148 c.p.c., di tale attività si dia atto specificamente nella relazione di notifica (arg. da Cass. n. 6761 del 2004).
3.5.2. Nella specie, pertanto, affatto condivisibilmente la corte territoriale ha considerato decisiva, al fine di valutare l’irreperibilità dell'***** s.r.l. (desumibile dal già riportato tenore della relata di notificazione, idoneo, sebbene nella sua sinteticità, a dare contezza dell’attività ivi concretamente svolta) all’indirizzo risultante come sua sede legale, la circostanza che l’ufficiale giudiziario non aveva “alcun motivo di rivolgersi allo studio professionale che si assume essere ivi presente atteso che la sede legale della indicata società non risulta essere ubicata presso studio legale alcuno” (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata). E’ certamente vero, poi, che l’indicazione del nome o della denominazione sociale sui citofoni o sulla cassetta postale o in altro modo non è oggetto di un obbligo di legge (cfr. Cass. n. 11138 del 2003) e rappresenta soltanto un onere configurabile quando la situazione dei luoghi non consente di rintracciare il destinatario, malgrado doverose e diligenti ricerche sul posto, ma proprio quest’ultimo presupposto, tuttavia, è qui mancato alla stregua dell’appena riportata affermazione della corte torinese e dell’assoluta genericità del riferimento ad uno studio legale (privo di ulteriore specificazione) cui, a dire della ricorrente, l’ufficiale giudiziario avrebbe, in tesi, dovuto rivolgersi.
3.6. In definitiva, la semplificazione dell’iter del procedimento notificatorio oggi sancito dalla L. Fall., art. 15, comma 3, come novellato dal D.L. n. 179 del 2012 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 221 del 2012), ha evidentemente inteso porre un argine al fatto che la notifica del ricorso prefallimentare richiedeva spesso tempi lunghi, incompatibili con le esigenze di celerità del procedimento. Ciò, soprattutto, quando presso la sede legale non vi fosse più alcun soggetto abilitato a ricevere l’atto, oppure quando la notifica fosse eseguita a mezzo del servizio postale, con conseguente necessità di attendere la ricezione dell’avviso di ricevimento. Capitava, inoltre, che nemmeno fosse reperibile il legale rappresentante della fallenda, sicchè frequente era la necessità di disporre il differimento dell’udienza prefallimentare.
3.6.1. Il vigente testo della menzionata disposizione ha, dunque, introdotto la notificazione a mezzo posta elettronica certificata, secondo uno schema già previsto dall’art. 149-bis c.p.c., per l’atto introduttivo del processo, adattando, tuttavia, la norma alla forma dell’atto introduttivo del procedimento, qui rappresentato dal ricorso, già nella diretta disponibilità della cancelleria. Si è, quindi, opportunamente posta a carico del cancelliere la comunicazione a mezzo posta certificata, seguendo un’esperienza già praticata nei procedimenti di opposizione a sanzione amministrativa (L. n. 689 del 1981, art. 23, comma 2; ora, del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6, comma 8).
3.6.2. Questa modalità particolarmente agevolata di comunicazione del ricorso per la dichiarazione di fallimento si applica a tutti i debitori-imprenditori (sia individuali che societari), atteso quanto si è precedentemente detto circa l’obbligo per questi ultimi di munirsi di indirizzo PEC, e si è altresì già precisato che, ove non risulti possibile la notificazione per via telematica, ovvero essa non abbia esito positivo, la notifica del ricorso e del decreto è previsto che sia eseguita di persona, a norma del D.P.R. n. 1229 del 1959, art. 107, escludendo, così, il possibile ricorso alla notificazione a mezzo posta. Se neppure tali modalità possono essere attuate, la notifica si perfeziona con il mero deposito dell’atto nella casa comunale della sede dell’impresa risultante dal registro delle imprese.
3.6.3. Il sistema appena delineato consente, dunque – come sottolineato anche dalla Corte costituzionale (cfr. le già citate C. Cost. n. 146 del 2016; C. Cost. n. 162 del 2017) – di coniugare l’esigenza di assicurare all’imprenditore l’effettivo e concreto esercizio del diritto di difesa, con quelle di celerità e speditezza cui deve essere improntato il procedimento concorsuale, sicchè il tribunale è stato, di fatto, esonerato dall’adempimento di ulteriori formalità quando la situazione di irreperibilità deve imputarsi all’imprenditore medesimo (così recependosi l’insegnamento della Suprema Corte che, nella vigenza della norme del codice di procedura civile, aveva affermato che “il tribunale, anche dopo la modifica dell’art. 111 Cost., ed ai fini del rispetto del contraddittorio, resta esonerato dall’adempimento di ulteriori formalità, ancorchè normalmente previste dal codice di rito, allorquando la situazione di oggettiva irreperibilità dell’imprenditore debba imputarsi a sua stessa negligenza ed a condotta non conforme agli obblighi di correttezza di un operatore economico”. Cfr. Cass. n. 32 del 2008).
3.7. Esigenze di completezza, infine, inducono a ricordare che questa Corte, con la recente sentenza n. 16864 del 2018 ha altresì chiarito, con riferimento ad una notificazione eseguita – in condizioni sostanzialmente analoghe a quella finora descritta – ex artt. 139,140 o 141 c.p.c., che tali forme alternative non possono considerarsi invalide, risultando palesemente più cautelative, sotto il profilo della conoscibilità, rispetto ad una notifica mediante il mero deposito alla casa comunale, senza altri avvisi, come sarebbe prevista, in tali casi, dal novellato L. Fall., art. 15, comma 3. Fermo restando, però, che, nell’ipotesi in esame, tutte queste ultime forme alternative di notificazione sono affatto facoltative, in quanto il mero deposito presso la casa comunale non può considerarsi causa di nullità della notificazione e del procedimento che su di essa si regga: ciò per il rigore letterale e la ratio della L. Fall., art. 15, comma 3, nel riferirsi alla notifica presso la sede dell’impresa. Ove non sia stata possibile la notifica digitale, nè quella presso la sede risultante al registro delle imprese, ci si trova, infatti, in una condizione (legale) di irreperibilità, che giustifica il ricorso alla forma speciale, sancita dell’art. 15, citato comma 3, da eseguirsi mediante deposito dell’atto presso la casa comunale del luogo ove è collocata la sede formalmente iscritta a registro imprese e con notifica che si ha per perfezionata al momento stesso del predetto deposito.
4. Parimenti infondato è il secondo motivo.
4.1. Dalla stessa narrativa dell’odierno ricorso (cfr. pag. 4), oltre che dalla decisione impugnata (cfr. pag. 6-7), è agevolmente desumibile che la ***** s.r.l. unipersonale ebbe a proporre ricorso per cassazione della sentenza della Corte d’appello di Torino del 19 giugno 2013 – che, in accoglimento del reclamo della menzionata società, sancì la nullità della sentenza del Tribunale di Asti del 27 febbraio 2013 dichiarativa del primo fallimento della società stessa, compensando le spese e senza provvedere espressamente sulla richiesta di risarcimento danni proposta dalla ***** nei confronti dei creditori istanti Termoclima s.r.l. e L.P. dolendosi, esclusivamente, dell’avvenuta compensazione delle spese di lite e dell’omessa pronuncia sulla richiesta di risarcimento danni. Da ciò consegue che, per il resto, vale a dire quanto alla pronunciata nullità del suddetto (primo) fallimento della odierna ricorrente, la medesima sentenza doveva considerarsi passata in giudicato.
4.2. Va, poi, rilevato che questa Corte, nella normativa fallimentare anteriore alla riforma, si è espressa nel senso di ritenere che gli effetti della sentenza di fallimento, la cui esecutività in via provvisoria (L. Fall., art. 16, comma 3) non è suscettibile di sospensione (L. Fall., art. 18, comma 4), tenuto conto della finalità della disciplina diretta a privilegiare gli interessi generali dei creditori rispetto all’interesse del debitore, sono rimossi, sia per lo status di fallito sia per gli aspetti conservativi del patrimonio, solo con il passaggio in giudicato della sentenza che, accogliendo l’opposizione, revoca il fallimento, mentre, anteriormente a tale momento, può provvedersi in via discrezionale alla sospensione dell’attività liquidatoria (cfr., ex anis, Cass. n. 4707 del 2011; Cass. n. 4632 del 2009, Cass. n. 16505 del 2003).
4.2.1. Successivamente, Cass. n. 13100 del 2013 ha ritenuto tali principi validi anche dopo la riforma, risultando in vigore sia la L. Fall., art. 16, comma 2, che prevede l’esecutività immediata della sentenza, sia il principio della non sospensione per effetto del reclamo, come si evince dalla L. Fall., art. 19, che prevede che, in tal caso, il giudice possa disporre solo la sospensione della liquidazione dell’attivo, così assicurando ai creditori gli effetti dello spossessamento dei beni, e, quindi, la permanenza della garanzia di questi all’esito del giudizio di reclamo, ed al debitore, previa valutazione giudiziale, la possibilità di impedire la dispersione del patrimonio in una situazione di incertezza circa l’esito finale dell’impugnazione della sentenza di fallimento. Tale conclusione, è stata ulteriormente confermata da Cass. 17191 del 2014 e, più recentemente, da Cass. 1073 del 2018.
4.3. Alla stregua, dunque, di tale orientamento, nessuna litispendenza poteva concretamente configurarsi, al momento (24 gennaio 2014) del deposito dell’istanza di fallimento che ha provocato la pronuncia di cui oggi si discute, dopo che la sentenza di revoca del precedente fallimento era stata tempestivamente pubblicata L. Fall., ex art. 17, ed era, in parte qua, ampiamente passata in giudicato, atteso il limitato oggetto del ricorso per cassazione presentato, contro di essa, proprio da ***** s.r.l. unipersonale, solo in relazione alle pronunce sulle spese processuali e sul richiesto risarcimento dei danni (ricorso respinto da Cass. n. 10562 del 2016).
4.3.1. Affatto condivisibilmente, quindi, la corte torinese ha ritenuto privo di particolare significatività il fatto che quel (primo) fallimento fosse stato formalmente chiuso il 9 aprile 2014 (pendente cioè il ricorso di cui si è appena detto e solo dopo la pronuncia del secondo fallimento), “trattandosi di adempimento necessario in presenza di revoca, che prende titolo, appunto, dalla relativa sentenza – ormai definitiva – comunque immediatamente pubblicata L. Fall., ex art. 17,come conferma la visura CCIAA della società in data 15.1.2014, prodotta dai creditori istanti, nella quale non vi è traccia alcuna della dichiarazione di fallimento revocata” (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata).
4.4. L’ulteriore assunto della odierna ricorrente, secondo cui la non ancora avvenuta chiusura del precedente fallimento avrebbe dovuto comportare l’impossibilità di considerare ***** s.r.l. unipersonale “esercente” attività di impresa al momento del deposito della successiva istanza di fallimento, intervenuto anteriormente alla chiusura del primo, è destituito di fondamento perchè, in base al già riportato indirizzo giurisprudenziale di legittimità, tutti gli effetti sostanziali correlati alla precedente dichiarazione di fallimento sono venuti meno con la pronuncia che lo ha revocato, esecutiva e comunque passata in giudicato.
6. Il terzo motivo è, invece, inammissibile.
6.1. La corte territoriale, infatti, nel respingere la doglianza, formulata dalla ***** s.r.l. anche in sede di reclamo, circa l’asserita insussistenza dei requisiti di cui alla L. Fall., art. 1, per essere la società inattiva dal 2009, ha specificamente evidenziato (cfr. pag. 7-8 della sentenza impugnata) che “L’inattività asserita, di per sè, non basta, perchè, non essendo stata la società cancellata, nulla dice sulla situazione di passività e attività ancora in essere nel triennio antecedente l’istanza di fallimento (sia esso da considerare quello dal 2010 al 2012, oppure quello dal 2011 al 2013, le considerazioni che seguono rimangono comunque valide), in ipotesi possibile residuo dell’ultimo esercizio “attivo”: ***** s.r.l., onerata della prova, non ha prodotto alcun documento o libro contabile o quant’altro dichiarazioni dei redditi e/o dichiarazioni IVA: dalla documentazione prodotta risulta, anzi, che negli anni 2011/2013 la società non ha presentato dichiarazioni dei redditi, nè modelli IVA, come risulta dal doc. n. 10 di parte reclamante – da cui poter trarre riscontro sull’effettiva entità – o eventuale inesistenza – dell’attivo patrimoniale nel periodo individuato, sul mancato superamento del limite di cui all’art. 1, comma 2, lett. b), e sull’entità dei debiti, pacificamente peraltro superiori ad Euro 1.000.000,00 e già oltre la soglia di Euro 500.000,00 nel 2009, non essendo stata la sentenza dichiarativa di fallimento sul punto in alcun modo sottoposta a critica”.
6.2. L’odierna ricorrente assume oggi che quella corte non avrebbe “sufficientemente valutato che era stato lo stesso Tribunale di Asti, in fase di istruttoria prefallimentare, a riscontrare l’inattività della società in ordine agli ultimi tre esercizi antecedenti la dichiarazione di fallimento, come peraltro ribadito in sentenza dichiarativa di fallimento, laddove il medesimo Tribunale espressamente ha dichiarato: “tenuto conto inoltre che la società ***** s.r.l. è, di fatto, inoperativa dalla fine del 2009 ed è quindi impossibilitata a ricreare la liquidità sufficiente al saldo dei propri debiti… Pare quindi che la ***** s.r.l. non fosse tenuta a provare alcunchè, posto inoltre che avrebbe dovuto, nel caso, fornire, una prova negativa, e, dunque, impossibile e/o inammissibile” (cfr. pag. 19-20 del ricorso). Si sostiene, inoltre, che “risulterebbe non congrua e non razionale una interpretazione della norma (L. Fall., art. 1, Ndr) che consenta l’esonero dal fallimento dell’impresa ancora attiva che, negli ultimi tre esercizi, abbia avuto limiti dimensionali poco sotto quelli previsti dalla L. Fall., art. 1 e, dall’altro, sottoponga a fallimento altra impresa che – come nella specie nei tre esercizi antecedenti l’istanza di fallimento sia stata del tutto assente dal mercato (e, dunque, la cui scomparsa sarebbe incapace di generare allarme sociale o preoccupazione nel mercato medesimo, o comunque susciterebbe un livello di apprensione certamente inferiore all’insolvenza dell’impresa ancora attiva), solo perchè in un passato remoto, prima di cessare l’attività, abbia avuto limiti dimensionali superiori alle soglie di legge” (cfr. pag. 21 del ricorso).
6.3. Orbene, è noto che l’onere della prova del mancato superamento dei limiti di fallibilità previsti dalla L. Fall., art. 1,comma 2, nella formulazione, qui applicabile ratione temporis, derivante dal D.Lgs. n. 169 del 2007, grava sul debitore (cfr., ex multis, Cass. n. 25188 del 2017; Cass. n. 13746 del 2017; Cass. n. 24548 del 2016), atteso che la menzionata disposizione, anche prima delle modifiche ad essa apportate dal citato D.Lgs., già poneva come regola generale l’assoggettamento a fallimento degli imprenditori commerciali e, come eccezione, il mancato raggiungimento dei ricordati presupposti dimensionali (cfr. Cass. n. 625 del 2016). Nè osta a tale conclusione la natura officiosa del procedimento prefallimentare, che impone al tribunale unicamente di attingere elementi di giudizio dagli atti e dagli elementi acquisiti, anche indipendentemente da una specifica allegazione della parte, senza che, peraltro, il giudice debba trasformarsi in autonomo organo di ricerca della prova (cfr. Cass. n. 625 del 2016). Da tanto consegue che l’omesso deposito, da parte dell’imprenditore raggiunto da istanza di fallimento, della situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata (al pari dei bilanci relativi agli ultimi tre esercizi), in violazione della L. Fall., art. 15,comma 4, si risolve in danno dell’imprenditore medesimo, che, come si è già detto, è onerato della prova del non superamento dei limiti dimensionali quale causa di esenzione dal fallimento (cfr. Cass. n. 25188 del 2017; Cass. n. 8769 del 2012).
6.3.1. L’accertamento di fatto circa la fallibilità dell’imprenditore, da compiersi sulla scorta di tali documenti, compete, del resto, al giudice del merito: ciò in base alla regola per cui spetta a quest’ultimo il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 24679 del 2013; Cass. n. 27197 del 2011; Cass. n. 7921 del 2011; Cass. n. 20455 del 2006; Cass. n. 7846 del 2006). L’apprezzamento circa il valore probatorio attribuito dalla corte di appello ai documenti prodotti sfugge, dunque, al sindacato di legittimità, dovendosi parimenti escludere un analogo sindacato sulla correttezza logica della motivazione di idoneità probatoria di una determinata risultanza processuale, non avendo più autonoma rilevanza il vizio di contraddittorietà della motivazione (cfr. Cass. n. 25188 del 2017; Cass. n. 16300 del 2014; in tema anche n. 13928 del 2015, secondo cui oggi non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, che nemmeno sopravvive quale ipotesi di nullità della sentenza, e cioè quale error in procedendo).
6.4. Alla stregua dei suesposti principi, l’inammissibilità del motivo in esame appare evidente atteso che lo stesso, per come concretamente sviluppato, lungi dal contenere – come avrebbe imposto la corretta formulazione del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella decisione impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 24298 del 2016, secondo cui, diversamente, alla Corte sarebbe impedito di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione), si risolve, essenzialmente, in una critica (peraltro ripetitiva di quanto già dedotto in sede di reclamo, senza tener conto delle risposte fornite a tali doglianze dalla corte distrettuale) al complessivo giudizio espresso dalla corte a quo quanto alla fallibilità dell’odierna ricorrente.
6.4.1. La censura in questione, dunque, mira esclusivamente a rimettere in discussione il suddetto convincimento – che, come tale, è invece incensurabile – espresso da quella corte, da ciò conseguendone, pertanto, la sua inammissibilità, atteso che, pur denunciando, apparentemente, violazione di legge ad opera del provvedimento impugnato, mostra di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere le valutazioni compiute nel menzionato provvedimento, non condivise e, per ciò solo, censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).
7. Parimenti non meritevole di accoglimento, infine, è il quarto motivo.
7.1. La L. Fall., art. 18, invero, nel disciplinare il procedimento di reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, nulla sancisce (diversamente dall’art. 347 c.p.c., comma 3, in tema di appello, con riferimento al fascicolo di ufficio di primo grado) circa l’acquisizione del fascicolo d’ufficio dell’istruttoria prefallimentare. Il reclamo suddetto, peraltro, è giudizio che prosegue un accertamento a cognizione piena, benchè speciale, che, però, non solo non si sovrappone all’appello del codice di rito (come anche denominativamente chiarito dal D.Lgs. n. 169 del 2007), ma nemmeno di quello ospita le medesime cadenze, a cominciare dall’effetto devolutivo peculiare che lo connota: così, una parte che non si sia costituita avanti al tribunale anche per determinazione volontaria (come il debitore dichiarato fallito) o per assenza di previsione istituzionale dell’organo (come il curatore reclamato) o per insorgenza di una legittimazione posta dalla legge (come l’interessato, ai sensi della L. Fall., art. 18, comma 1), ben può introdurre fatti nuovi, assenti dal dibattito avanti al primo giudice ed idonei anche a sovvertire la prima decisione (cfr. Cass. n. 5520 del 2017; Cass. n. 12964 del 2016; Cass. n. 6835 del 2014; Cass. n. 6306 del 2014; Cass. n. 9174 del 2012; Cass. n. 22546 del 2010).
7.2. Va altresì rimarcato che, pur a voler qui applicare analogicamente l’art. 347 c.p.c., comma 3 – muovendo dalla natura pur sempre impugnatoria del procedimento di reclamo – non potrebbe certo obliterarsi il costante orientamento di legittimità secondo cui l’acquisizione del fascicolo di ufficio di primo grado, ai sensi della predetta norma, è affidata all’apprezzamento discrezionale del giudice dell’impugnazione, con la conseguenza che l’omessa acquisizione, cui non consegue un vizio del procedimento di secondo grado nè della relativa sentenza, può essere dedotta come motivo di ricorso per cassazione solo ove si adduca che il giudice di appello avrebbe potuto o dovuto trarre dal fascicolo stesso elementi decisivi su uno o più punti controversi della causa, non rilevabili aliunde, e specificamente indicati dalla parte interessata (cfr., ex aliis, Cass. n. 27691 del 2017; Cass. n. 1678 del 2016; Cass. n. 6207 del 2011; Cass. n. 688 del 2010).
7.2.1. Nella specie, però, da un lato, la corte distrettuale ha espressamente motivato le ragioni per cui ha ritenuto di poter decidere il reclamo pur in assenza del fascicolo dell’istruttoria prefallimentare (“la mancanza di critica avverso la pronuncia del Tribunale, nelle parti in cui evidenzia l’entità dell’esposizione debitoria della società, a partire quantomeno dal 2009, e l’esistenza dei crediti facenti capo ai creditori istanti, permette di valutare il reclamo proposto, anche in assenza del fascicolo d’ufficio di primo grado, non trasmesso dal Tribunale di Asti nonostante solleciti ripetuti”. Cfr. pag. 8 della sentenza impugnata); dall’altro, la doglianza della ricorrente, lungi dall’individuare specificamente gli elementi decisivi che da detto fascicolo quella stessa corte avrebbe potuto/dovuto trarre, si risolve in una censura affatto generica quanto alla sua mancata acquisizione (il giudice di appello avrebbe potuto e dovuto trarre elementi decisivi su uno o più punti controversi della causa, in particolare, in rapporto ai requisiti dimensionali di cui alla L. Fall., art. 1, comma 2, circa l’inattività della società intimata nei tre esercizi precedenti l’istanza di fallimento e l’ammontare complessivo dei suoi debiti. Cfr. pag. 25 del ricorso).
8. Il ricorso va dunque respinto, senza necessità di pronuncia sulle spese essendo rimaste le controparti solo intimate, e dandosi atto, altresì, in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (applicabile ratione temporis, essendo stato il ricorso proposto il 10 settembre 2014), in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, il comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2018