Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.30466 del 23/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CORRENTI Vincenzo – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7858/2016 proposto da:

M.R., MA.MA., M.V. e M.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PANAMA n. 86, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO PETILLO, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati PASCAL CORRADO e ANDREA MELUCCO;

– ricorrenti –

contro

G.P.D.C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA APPIANO n. 40, presso lo studio dell’avvocato MARIA MARTIGNETTI, che lo rappresenta e difende;

MI.AN. e N.C.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA A. CHINOTTO n. 1, presso lo studio dell’avvocato LILIA GRENGA, rappresentati e difesi dall’avvocato CLAUDIO SANTINI;

LLOYD’S OF LONDON, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA n. 278, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO MARIA BAGNARDI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCO FERRARO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4239/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 15/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 12/09/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 2.12.2003 M.P. conveniva in giudizio innanzi il Tribunale di Roma i coniugi N.G.C. e Mi.An., insieme al notaio P.A., esponendo che con atto a rogito di quest’ultimo in data 4.3.2003 l’attore aveva venduto alla convenuta N., con l’intervento in atto del marito Mi. ai fini della comunione legale, un fabbricato con corte pertinenziale. Per consentire al venditore di conservare un accesso sulla *****, la vendita era stata preceduta da un frazionamento della corte, che in parte era stata mantenuta in capo al venditore, il quale si era pure riservato il diritto di servitù di passaggio sulla restante porzione alienata. L’attore esponeva altresì che la convenuta gli aveva negato l’accesso alla corte di cui si discute, allegando di esserne unica proprietaria in base alla compravendita ed alla relativa nota di trascrizione. Di conseguenza, l’attore aveva dovuto risolvere il contratto di locazione che aveva nel frattempo stipulato con terzi per i restanti terreni di sua proprietà, a cagione del diniego all’accesso oppostogli dalla convenuta.

Si costituivano in giudizio i coniugi N. e Mi. contestando la domanda, allegando che nel contratto di vendita erano state correttamente individuate le consistenze oggetto del trasferimento e spiegando riconvenzionale per la riduzione del prezzo e il risarcimento del danno conseguenti alla scoperta della natura abusiva del cespite, all’esito della quale le parti avevano pattuito il trasferimento del fabbricato con l’intera corte pertinenziale.

Si costituiva il notaio P. contestando a sua volta la pretesa e deducendo di aver avuto rapporti solo con gli acquirenti, avendo incontrato il venditore solo in occasione del rogito definitivo, e chiamando comunque in manleva i Lloyd’s di Londra.

La compagnia assicurativa, a seguito di rituale chiamata in giudizio, si costituiva a sua volta eccependo il difetto di legittimazione dell’attore per non aver mai avuto alcun rapporto professionale con il notaio, l’inoperatività della polizza, l’assenza di profili di responsabilità professionale e comunque l’esistenza di una franchigia di Euro 5.000,00.

Il Tribunale respingeva la domanda principale osservando che essa aveva ad oggetto la rettifica del rogito del 4.3.2003, poichè in esso – secondo l’attore – erano state comprese particelle che non avrebbero dovuto essere trasferite. A tal fine, secondo il primo giudice, sarebbe stata necessaria la querela di falso, che tuttavia l’attore non aveva proposto. Respingeva poi la riconvenzionale valorizzando il fatto che l’attore avesse prodotto la concessione in sanatoria prima del rogito di compravendita e per l’assenza di pregiudizio apprezzabile in capo ai convenuti.

Interponevano appello gli eredi di M.P., allegando che per correggere l’erronea indicazione in atto di vendita di un bene non compreso nel sinallagma voluto dalle parti non è necessaria la proposizione della querela di falso; che sia dal contratto preliminare che da altri elementi emergeva la volontà di escludere dal trasferimento la porzione della corte di cui è causa; che a tal fine era stato eseguito il previo frazionamento della corte predetta. Si costituivano, per resistere al gravame, tutte le altre parti e la Corte di Appello di Roma, con la sentenza oggi impugnata n. 4239/2015 rigettava il gravame, sia pure con motivazione in parte difforme da quella resa dal primo giudice. La Corte infatti affermava che per la ricostruzione della reale volontà delle parti non è necessaria la querela di falso; riteneva tuttavia, in base all’interpretazione letterale delle espressioni utilizzate in atto di vendita per descrivere il compendio alienato, che le parti avessero inteso modificare gli originari accordi nel senso di comprendere nella vendita l’intera corte.

Propongono ricorso per la cassazione di tale decisione M.V., M.G., Ma.Ma. e M.R. affidandosi a due motivi. Resistono con separati controricorsi N.C.G. e Mi.An.; il notaio G.P.d.C.A.; la compagnia assicurativa Lloyd’s di Londra. I ricorrenti ed il notaio hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano la nullità della sentenza per violazione degli artt. 115,116,118,210 c.p.c. e art. 94 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, perchè la Corte di Appello avrebbe confermato la sentenza di primo grado pur avendone totalmente sconfessato la motivazione. Ad avviso dei ricorrenti il giudice di appello, avendo ritenuto non necessaria la querela di falso, avrebbe dovuto esaminare la questione nel merito, e quindi valutare l’ammissibilità dei mezzi di prova allegati dai ricorrenti in prime cure e non ammessi dal Tribunale, che avrebbero consentito di estendere l’indagine, al di là del dato letterale dei due contratti preliminare e definitivo, anche alle condotte precedenti, coeve e successive dei paciscenti e quindi di ricostruire la loro effettiva intenzione.

Con il secondo motivo, connesso al primo, i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1366 e 1367 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto la Corte di Appello avrebbe dovuto procedere alla più ampia valutazione di cui anzidetto, valorizzando in particolare l’anomala rappresentazione grafica contenuta in atto di vendita: il notaio avrebbe infatti inserito un rientro a capo nel testo del definitivo, dando in tal modo l’errata impressione che le particelle corrispondenti alla porzione contestata della corte pertinenziale fossero comprese nella vendita, e di ciò il venditore non si sarebbe potuto avvedere dalla semplice lettura dell’atto.

Inoltre, i ricorrenti evidenziano la contraddittorietà della sentenza impugnata, che dapprima affermerebbe la coincidenza tra le previsioni contenute nel preliminare e nel definitivo, e poi il contrario, ovverosia che nel secondo contratto non sarebbe stata riprodotta la previsione circa la servitù di passaggio.

Ancora, i ricorrenti si dolgono del fatto che la Corte romana, avendo interpretato la sequela preliminare-definitivo alla luce delle sole espressioni letterali usate dalle parti, non avrebbe adeguatamente indagato la effettiva volontà dei paciscenti ed avrebbe finito per fornire una motivazione solo apparente; in proposito, la Corte di secondo grado avrebbe dovuto considerare che l’indicazione catastale dei beni contenuta nei relativi atti di trasferimento non rappresenta espressione della volontà delle parti circa l’estensione e i limiti dell’oggetto della cessione, dovendosi piuttosto prediligere la descrizione dei confini, che nel caso di specie erano indicati come “proprietà M. per due lati”.

Infine i ricorrenti lamentano la mancata considerazione, da parte del giudice di appello, del fatto che il diritto di passaggio non avrebbe avuto alcun senso se la compravendita avesse avuto ad oggetto, come sostenuto dagli acquirenti, l’intera corte pertinenziale.

Le due censure, tra loro connesse, meritano un esame congiunto.

In primo luogo, non è decisiva la circostanza che la Corte di Appello sia pervenuta al medesimo risultato reiettivo del giudice di primo grado, sia pure mediante un percorso logico-argomentativo differente. Al giudice di appello, infatti, è devoluta la cognizione piena della vicenda, con il solo limite dei motivi di gravame; nel caso di specie, avendo gli appellanti, odierni ricorrenti, proposto impugnazione per la complessiva revisione della decisione di prima istanza, del tutto legittimamente il giudice di secondo grado ha proceduto ad un apprezzamento complessivo della fattispecie, fornendo una motivazione solo in parte difforme da quella del Tribunale e ritenendo, in particolare, non necessaria la querela di falso ai fini della contestazione della corrispondenza del contenuto del rogito di compravendita rispetto all’effettiva volontà delle parti. Non appare pertinente la censura che da ciò viene fatta derivare da parte ricorrente, secondo cui la Corte territoriale avrebbe dovuto prendere in esame le istanze istruttorie già formulate in prime cure e riproposte in appello. Nè può essere censurata in questa sede la mancata espressa pronuncia del giudice di appello sulle predette istanze istruttorie, posto che al riguardo dal tenore complessivo della motivazione si configura un rigetto implicito, avendo la Corte romana ritenuto (come si dirà infa, in modo corretto) di poter decidere la controversia sulla sola base del testo letterale della sequela preliminare-definitivo.

Per giurisprudenza consolidata “L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595: conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330; Cass. Sez. L, Sentenza n. 11933 del 07/08/2003, Rv. 565755; Cass. Sez. L, Sentenza n. 322 del 13/01/2003, Rv. 559636). Di conseguenza, non può essere utilmente richiesto alla Corte di Cassazione di procedere ad un riesame critico del compendio istruttorio acquisto agli atti del giudizio, nè di sindacare la scelta del giudice di merito di ammettere o non ammettere determinate fonti di prova, ovvero di privilegiarne alcune rispetto ad altre.

Il motivo di ricorso, infatti, non può mai risolversi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. S.U. n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790).

Sotto altro profilo, va osservato che l’interpretazione del dato contrattuale fornita in concreto dal giudice di merito è pienamente convincente, posto che per consolidata giurisprudenza di questa Corte “Ove alla stipula di un contratto preliminare segua ad opera delle stesse parti la conclusione del contratto definitivo, quest’ultimo costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto, in quanto il contratto preliminare, determinando soltanto l’obbligo reciproco della stipulazione del contratto definitivo, resta superato da questo, la cui disciplina, con riguardo alle modalità e condizioni, anche se diversa da quella pattuita con il preliminare, configura un nuovo accordo intervenuto tra le parti e si presume sia l’unica regolamentazione del rapporto da esse voluta. La presunzione di conformità del nuovo accordo alla volontà delle parti può, nel silenzio del contratto definitivo, essere vinta soltanto dalla prova – che deve risultare da atto scritto ove il contratto abbia ad oggetto beni immobili – di un accordo posto in essere dalle stesse parti contemporaneamente alla stipula del definitivo dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenuti nel preliminare, sopravvivono al contratto definitivo” (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 30735 del 21/12/2017, Rv. 646612; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9063 del 05/06/2012, Rv. 622654; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15585 del 11/07/2007, Rv. 598555; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 233 del 10/01/2007, Rv. 594827; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2824 del 25/02/2003, Rv. 560697).

L’orientamento sopra richiamato è pienamente conforme a quanto affermato, in linea generale, da questa Corte in materia di interpretazione dei contratti, posto che “In tema di interpretazione dei contratti, è prioritario il canone fondato sul significato letterale delle parole, di cui all’art. 1362 c.c., comma 1, sicchè, quando esso risulti sufficiente, l’operazione ermeneutica deve ritenersi utilmente, quanto definitivamente, conclusa” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5595 del 11/03/2014, Rv. 630563; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 28573 del 20/12/2013, Rv. 628950; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 9786 del 23/04/2010, Rv. 612651; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3823 del 25/06/1985, Rv. 441402).

Peraltro “La scelta da parte del giudice del merito del mezzo ermeneutico più idoneo all’accertamento della comune intenzione dei contraenti non è sindacabile in sede di legittimità qualora sia stato rispettato il principio del gradualismo, secondo il quale deve farsi ricorso (anche in caso di atti negoziali unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale ex art. 1324 c.c.) ai criteri interpretativi sussidiari… solo quando risulti non appagante il ricorso ai criteri di cui agli artt. 13621365 c.c., ed il giudice fornisca compiuta ed articolata motivazione della ritenuta equivocità ed insufficienza del dato letterale” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12721 del 30/05/2007, Rv. 599213; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11278 del 27/05/2005, Rv. 581652).

Infine, con riferimento specifico all’argomento esposto a pag. 25 del ricorso, secondo cui “il diritto di passaggio non avrebbe avuto alcun senso se veniva ceduto anche il terreno in favore del quale era previsto tale diritto” occorre evidenziare che esso costituisce in sostanza una censura logica alla motivazione fornita dal giudice di appello, che non può essere ritenuta ammissibile alla luce del limite previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, per la deduzione del vizio motivazionale in sede di legittimità (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830). Nè può essere utilmente censurata sotto il profilo dell’omesso esame la valutazione che il giudice di merito ha fornito circa un determinato elemento della fattispecie, qualora il fatto storico sia stato comunque preso in considerazione ed ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie ovvero abbia omesso di pronunciarsi specificamente su tutti gli argomenti difensivi, il cui rigetto comunque può implicitamente ravvisarsi dal tenore complessivo della motivazione.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio di Cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1-quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, tra loro in solido, al pagamento delle spese del presente giudizio di Cassazione, che liquida in Euro 4.600 di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15%, iva e cassa avvocati come per legge, in favore di G.P.d.C.A.; in Euro 3.800 di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15%, Iva e cassa avvocati come per legge, in favore di Mi.An. e N.C.G., tra loro in solido; in Euro 3.800 di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15%, iva e cassa avvocati come per legge, in favore degli Assicuratori dei Lloyd’s di Londra.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 12 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2018

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