LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ARMANO Uliana – Presidente –
Dott. CIGNA Mario – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6013-2016 proposto da:
S.C., L.N. in proprio e in qualità di genitori e legali rappresentanti della minore L.V., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DI PIETRALATA 320-D, presso lo studio dell’avvocato GIGLIOLA MAZZA RICCI, rappresentati e difesi dall’avvocato VINCENZO ANTONUCCI giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
ASL ***** LANCIANO VASTO CHIETI, in persona del Direttore Generale e Legale rappresentante Dott. F.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. PAISIELLO 40, presso lo studio dell’avvocato DAVID MORGANTI, che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 354/2015 del TRIBUNALE di LANCIANO, depositata il 24/08/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/02/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.
FATTI DI CAUSA
1. L.N. e S.C. (in proprio e nella qualità di genitori esercenti la potestà sulla figlia minore L.V.), ricorrono, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 354/15 del 24 agosto 2015 del Tribunale di Lanciano, che rigettando il gravame proposto dagli odierni ricorrenti contro la sentenza n. 228/13 del 18 luglio 2013, resa dal Giudice di pace di Lanciano – ha confermato la declaratoria di improponibilità, per “ne bis in idem”, della domanda risarcitoria dagli stessi proposta avverso l’Azienda Sanitaria Locale n. ***** di Lanciano, Vasto e Chieti (d’ora in poi, “ASL n. *****”).
2. Riferiscono i ricorrenti, in punto di fatto, che, dopo la nascita della loro figlia – in data ***** – presso l’Ospedale di *****, venivano convocati il 19 ottobre dello stesso anno dal Primario del reparto di pediatria del suddetto nosocomio, il quale rendeva noto che, nel periodo di ricovero della neonata, era in servizio presso la struttura un’operatrice sanitaria, successivamente risultata affetta da malattia tubercolare.
Immediatamente ricoverata la piccola V., la stessa veniva sottoposta ad una profilassi antitubercolare su base antibiotica, che veniva, però, interrotta solo il 25 ottobre, a fronte di una persistente alterazione delle transaminasi, peraltro già manifestatasi tre giorni prima, in aggiunta ad altri problemi come disturbi del sonno, calo di appetenza e mancata crescita fisica. Trasferita la piccola il 29 ottobre presso l’Ospedale *****, per essere sottoposta a nuovi controlli, gli specialisti ivi operanti sconsigliavano – in presenza di ulteriori alterazioni transaminatiche – la ripresa del trattamento antibiotico. Sospeso, dunque, il trattamento, i disturbi iniziavano a scemare, come confermato dalle analisi effettuate presso l’Ospedale di ***** dapprima il 4 e poi il 29 novembre. Infine, risultato negativo il 3 dicembre 2004 lo screening per “mycobacterium tuberculosis”, in data 14 marzo 2005 veniva eseguito – su indicazione formulata dal Primario del reparto di pediatria dell’ospedale abruzzese il 13 dicembre 2014 – un follow up delle ipertransaminasi che evidenziavano risultati clinici finalmente nella norma.
Ciò premesso, deducono gli odierni ricorrenti di aver convenuto in giudizio, innanzi al Tribunale di Lanciano, la predetta ASL n. *****, chiedendo il risarcimento del danno biologico e non patrimoniale sofferto dalla minore e da essi genitori, previo accertamento della responsabilità extracontrattuale della convenuta.
L’adito Tribunale, dopo aver istruito la causa, tra l’altro, attraverso l’esame di alcuni testi ed il licenziamento di CTU, rigettava la domanda in quanto la responsabilità era da qualificarsi in termini contrattuali e non aquiliani.
Radicato, pertanto, dai predetti L. e S. un nuovo giudizio innanzi al Giudice di pace frentano, perchè fosse dichiarata la responsabilità contrattuale della ASL n. *****, per non aver garantito un ambiente salubre alla piccola V. al momento della nascita, con conseguente obbligo di risarcire il danno patrimoniale e non patrimoniale arrecato alla minore (che gli attori quantificano sulla base delle risultanze della CTU espletata nel corso del precedente giudizio), l’esito dello stesso consisteva nell’accoglimento della eccezione di giudicato esterno, sollevata dalla convenuta, compensando integralmente le spese di lite.
Proposto gravame innanzi al Tribunale di Lanciano, lo stesso veniva rigettato in base al rilievo che il giudicato copre il dedotto e il deducibile, ponendo il giudice di appello le spese del grado a carico degli appellanti soccombenti.
3. Avverso tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione il L. e la S., sulla base di due motivi.
3.1. Con il primo motivo – formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), – si deduce “violazione dell’art. 2909 c.c.”.
Si contesta l’affermazione del Tribunale di Lanciano secondo cui il giudicato “si estende, oltre a quanto dedotto dalle parti, anche a quanto esse avrebbero dovuto dedurre”, ovvero a quelle ragioni “che rappresentano un antecedente logico necessario della pronuncia”, impedendo, così, l’introduzione di “una nuova controversia con lo stesso oggetto ma con nuove ragioni, che ben si potevano far valere nel primo giudizio, o comunque in sede di gravame, che è la sede naturale per la revisio prioris istantiae”, come sarebbe avvenuto nel caso di specie, visto che la vicenda in esame è stata oggetto di una precedente decisione “nel corpo della quale si dà atto dell’insussistenza di un danno ingiusto, ovvero di un danno meritevole di risarcimento”.
Si censura la decisione impugnata, innanzitutto, per non avere tenuto in alcun conto il principio – al quale gli odierni ricorrenti si erano già richiamati in appello – secondo cui difetta l’interesse a proporre impugnazione in relazione a quella statuizione nel merito che il giudice compia solo “ad abundantiam”, giacchè contenuta in una sentenza con la quale esso si sia spogliato della “potestas iudicandi” per effetto di una pronuncia di inammissibilità in rito della domanda.
Nonostante, tuttavia, “la chiarezza del principio”, gli odierni ricorrenti reputano di dover “affrontare in modo più approfondito l’istituto del giudicato esterno”, affinchè si pervenga all’esito della cassazione della sentenza qui impugnata.
Orbene, osservano i ricorrenti, se è pur vero che il giudicato copre il dedotto ed il deducibile, siffatto principio “si riferisce a quelle ragioni non dedotte che rappresentano un antecedente logico necessario della pronuncia” e, quindi, da farsi eventualmente valere con l’impugnazione esperibile avverso di essa. Nella specie, tuttavia, sebbene il Tribunale di Lanciano, all’esito del primo giudizio intentato a carico della ASL n. *****, “dichiarava non esserci il danno ingiusto”, rendeva una “pronuncia di merito” che “non era più di alcun interesse” per gli odierni ricorrenti, e ciò “in quanto attinente ad una domanda, di accertamento della responsabilità extracontrattuale, rigettata in quanto inammissibile”. In altri termini, quella originaria decisione dichiarava non esserci “responsabilità extracontrattuale della struttura sanitaria”, ma non che non vi fosse “responsabilità tout court della convenuta”, sicchè, in ragione della diversità di “causa petendi” delle azioni di responsabilità aquiliana e contrattuale, la pronuncia intervenuta sulla prima non poteva precludere l’esame della seconda. Nessun dubbio potrebbe, del resto, sussistere proseguono i ricorrenti – in ordine al fatto che “la domanda di risarcimento danni da responsabilità contrattuale è diversa da quella di risarcimento danni per responsabilità extracontrattuale”, e ciò “dipendendo da elementi di fatto diversi, sia sotto il profilo oggettivo, sia sotto quello soggettivo, non solo per quanto attiene all’accertamento della responsabilità ma anche per quanto riguarda la determinazione dei danni”, senza tacere della “ulteriore distinzione in merito alla prova”. Del resto, a conferma della validità di tale assunto, i ricorrenti rilevano come essi non avrebbero certo potuto “riqualificare la domanda in appello in termini di domanda contrattuale”, sicchè “l’unica possibilità per gli stessi di vedere tutelato il proprio diritto era quella di formulare una domanda nuova, in un autonomo giudizio”.
3.2. Con il secondo motivo – formulato, nuovamente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – si denuncia “violazione dell’art. 111 Cost., commi 1 e 2 “.
Sul presupposto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il principio di durata ragionevole del processo deve ritenersi rivolto non solo al legislatore ma anche alle parti del processo ed al giudice, i ricorrenti sottolineano le conseguenze paradossali che, in relazione all’effettività di tale principio, deriverebbero dall’accoglimento della tesi prospettata dalla sentenza impugnata.
Se si ritenesse corretta l’applicazione dell’art. 2909 c.c. operata dal Tribunale di Lanciano si dovrebbe, allora, ritenere che, a fronte della prima pronuncia che ha dichiarato inammissibile l’azione di responsabilità contrattuale, sarebbe stato necessario impugnare la stessa, entrando nel merito di un diritto che non è stato riconosciuto, e, solo successivamente all’esito positivo del giudizio di impugnazione, “iniziare nuovamente la causa, con una diversa causa petendi” (ovvero l’accertamento della responsabilità contrattuale), “per ottenere ragione dei propri diritti”.
4. Ha resistito con controricorso la ASL, chiedendo la declaratoria di inammissibilità (soprattutto in relazione al difetto di autosufficienza del ricorso) o, in subordine, il rigetto dell’avversaria impugnazione, in ogni caso opponendosi – nella non creduta ipotesi di accoglimento del ricorso – alla decisione nel merito, rammentando essere la stessa possibile, a norma dell’art. 384 c.p.c., solo quando non siano necessari ulteriori accertamenti in fatto, nella specie, viceversa, indispensabili.
5. Entrambe le parti hanno presentato memorie, insistendo nelle rispettive argomentazioni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
6. Il ricorso non può essere accolto.
6.1. Il primo motivo non è fondato.
A confutazione dello stesso è sufficiente richiamare un recente arresto di questa Corte – tra l’altro, proprio relativo ad un caso in cui “all’esito del giudicato formatosi sul rigetto della domanda di responsabilità aquiliana” seguiva la citazione delle “medesime parti a titolo di responsabilità contrattuale” – secondo cui, qualora “due giudizi tra le stesse parti abbiano ad oggetto un medesimo rapporto giuridico e uno dei due pervenga al giudicato, l’accertamento di una situazione giuridica comune a entrambe le cause preclude il riesame del punto accertato e risolto con il suddetto giudicato, quand’anche il giudizio successivo sia instaurato per finalità diverse da quelle costituenti lo scopo e il petitum del primo” (Cass. Sez. 3, sent. 13 ottobre 2016, sent. 20629, Rv. 642917-01).
Perchè possa ipotizzarsi – in un caso siffatto – la ricorrenza di un giudicato esterno è, dunque, necessario “l’accertamento di una situazione giuridica comune a entrambe le cause”, ovvero (come, del pari, afferma la citata sentenza) “un accertamento”, quanto alla posizione del soggetto convenuto in qualità di responsabile civile, “incompatibile con una sua responsabilità anche contrattuale”.
Un simile accertamento ricorre anche nel caso di specie, essendo stata la originaria domanda ex art. 2043 c.c., proposta contro la struttura sanitaria, rigettata con valutazioni attinenti alla “assenza di un danno ingiusto”.
Orbene, poichè l’esistenza di un danno risarcibile è presupposto comune ad entrambe le fattispecie di responsabilità, sussiste, nella specie, quella condizione – ovvero “l’accertamento di una situazione giuridica comune a entrambe le cause” – idonea determinare la preclusione di giudicato.
6.2. Non fondato è anche il secondo motivo di ricorso.
Esso, a tacer d’altro, finisce con il postulare una sorta di radicale incompatibilità tra l’istituto del giudicato esterno ed il principio della durata ragionevole del processo.
Al riguardo, pertanto, è sufficiente osservare come questa Corte nella sua più autorevole composizione – abbia, da tempo, sottolineato come “il giudicato sia uno dei presidi essenziali della “ragionevole durata”, in quanto, preclude, mediante la sanzione della irrevocabilità della decisione, una inesausta ricerca della verità in un “processo senza fine”. Di più, nel giudicato si risolve la funzione primaria del processo, che è quella di stabilire la “regola del caso concreto”, eliminando – mediante la stabilità della decisione – l’incertezza riguardo all’applicazione di una norma di diritto ad una specifica fattispecie: sicchè, proprio perchè assolve a questa fondamentale esigenza dell’ordinamento, il giudicato non è patrimonio esclusivo dei diritti delle parti, ma risponde ad un preciso interesse pubblico. Il canone di “certezza”, assicurato dal giudicato, trova compiuta espressione nel superiore principio del ne bis in idem, cui è orientato un sistema specifico di mezzi processuali – quali sono ad es. quelli predisposti dall’art. 39 c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 5) – inteso ad evitare il formarsi (anche come semplice fattispecie di pericolo) di giudicati contrastanti. In questa prospettiva sarebbe non solo assurdo sotto il profilo del comune buon senso, ma anche contrario ai criteri di logicità ed economia cui deve essere costantemente orientata la vicenda processuale, imporre ad un giudice di pronunciare una sentenza che egli, nel momento della decisione, già sa essere in contrasto con il principio del ne bis in idem e potenzialmente destinata ad essere inutiliter data” (così, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 16 giugno 2006, n. 13916, Rv. 589695-01).
7. Le spese del presente giudizio vanno poste a carico dei ricorrenti e sono liquidate come da dispositivo.
8. A carico dei ricorrenti, rimasti soccombenti, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso condannando L.N. e S.C. a rifondere all’Azienda Sanitaria Locale n. ***** di Lanciano, Vasto e Chieti le spese del presente giudizio, che liquida, per ciascuno di essi, in Euro 1.800,00, più Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 6 febbraio 2018.
Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2018