LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CORRENTI Vincenzo – Presidente –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21990/2014 R.G. proposto da:
B.L., rappresentato e difeso dall’avv. Paolo Lensi e dall’avv. Giuliano Scarselli, con domicilio eletto in Roma, Via Cassiodoro 1/A;
– ricorrente –
contro
B.G.S., rappresentato e difeso dall’avv. Roberto Righi e dall’avv. Ermanno Bujani, con domicilio eletto in Roma, alla Via Maresciallo Pilsudski 118, presso lo studio dell’avv. Francesco Paoletti;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze n. 622/2014, depositata il 14.4.2014.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 11.9.2018 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.
FATTI DI CAUSA
B.S. ha adito il tribunale di Pistoia chiedendo di dichiarare l’insussistenza di servitù di passaggio sul – fondo sito in *****, in favore del fondo di proprietà di B.L..
Entrambi i terreni facevano parte di un’unica consistenza immobiliare denominata *****, di proprietà di B.A., composto da due edifici destinati a villa padronale e a fattoria, con stabili accessori in corpi separati e pertinenze scoperte.
L’originario titolare dell’intero complesso lo aveva diviso in due separate porzioni, cedute ai figli (danti causa delle parti del presente giudizio), collocando il confine tra le suddette porzioni sulla linea perimetrale di un’area a giardino pervenuta – successivamente – a B.G..
Il convenuto ha eccepito l’improponibilità della domanda, assumendo di aver agito, nei confronti del precedente titolare del fondo dominante, per la reintegra nel possesso della servitù di passaggio e che la sentenza di accoglimento della domanda, con cui era stata ordinato il ripristino del viottolo su cui era esercitato il transito, non era stata mai eseguita, con conseguente divieto di agire in petitorio ex art. 705 c.p.c..
Il tribunale ha dichiarato improponibile la domanda, con pronuncia integralmente riformata in appello.
La Corte territoriale di Firenze ha ritenuto proponibile la domanda negatoria, stabilendo che l’appellante aveva dato esecuzione dalla sentenza con cui C.R., dante causa di B.G., era stato condannato a reintegrare il ricorrente nell’esercizio del passaggio sulla sua proprietà, essendo stata ripristinata la medesima utilitas goduta in passato dallo spogliato, osservando che B.L. non aveva posto in esecuzione la sentenza di reintegra, accettando le diverse modalità di esercizio del passaggio, ed aveva eccepito la violazione dell’art. 705 c.p.c., al solo fine di paralizzare la domanda petitoria.
Ha escluso la sussistenza della servitù, rilevando che il titolo invocato in giudizio, e cioè l’atto del 4.4.1955 con cui B.A. aveva ceduto gli immobili ai figli U. (padre della resistente) e P. (padre del ricorrente), non contemplava alcun asservimento, avendo il venditore inteso attribuire ai figli due lotti autonomi (villa padronale e fattoria), con comunione alle aree scoperte e al viale di accesso da *****, disponendo che i passi per accedere ai fondi dovessero essere gli stessi già esistenti al momento della vendita, rimasti inalterati rispetto al passato.
Ha infine ritenuto che, all’epoca in cui la proprietà era indivisa, non sussistevano segni visibili di un asservimento di fatto e che, al momento della vendita del 4.4.1955, era stata eliminata ogni possibile subordinazione tra le due porzioni tramite la creazione di un accesso diretto alla via pubblica, “con l’intento di attribuire l’agio di giardino parco per ciascuna porzione, per altro verso del tutto indipendenti anche per quanto riguardava gli accessi”.
La sentenza ha infine escluso che la servitù potesse essere provata mediante confessione.
Per la cassazione di questa sentenza B.L. ha proposto ricorso in sei motivi, illustrati con memmoria.
B.G.S. ha depositato controricorso e memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo censura la violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, per aver sentenza conferito rilievo al fatto che il ricorrente non aveva proposto una domanda riconvenzionale volta ad accertare l’acquisto della servitù mentre la questione non poteva considerarsi decisiva, dovendo il giudice pronunciare sull’esistenza del diritto a prescindere dalle difese formulate dal convenuto.
Il motivo è inammissibile per difetto di interesse.
La sentenza ha accolto nel merito la negatoria servitutis, sostenendo che il diritto di passaggio non trovava alcun riscontro nel rogito con cui la proprietà, originariamente unica, era stata suddivisa e ceduta ai danti.causa delle parti, e non era stato costituito neppure per destinazione del padre di famiglia, poichè l’originario proprietario aveva inteso rendere le due porzioni alienate del tutto autonome, munendole di un accesso diretto alla strada pubblica.
Di conseguenza, l’aver rilevato che il B. non aveva richiesto in via riconvenzionale l’accertamento della servitù non ha spiegato alcuna influenza sull’accoglimento della domanda e – quindi – il ricorrente non ha alcun interesse a dolersene, non potendo derivarne l’annullamento della decisione.
2. Il secondo motivo censura la violazione dell’art. 705 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver la sentenza ritenuto proponibile la negatoria servitutis, asserendo che il ricorrente, dopo aver ottenuto la sentenza di reintegra, aveva esercitato per lungo tempo il passaggio non modalità diverse da quelle precedenti senza muovere contestazioni, il che aveva determinato il venir meno del divieto di agire in via petitoria; per contro la pronuncia non era stata attuata poichè non era stato ripristinato il tracciato originario, sul quale la resistente aveva – anzi – realizzato un giardino con aiuole e vialetti, rendendo impossibile individuare il passo precedentemente esistente, come rappresentato nella planimetria redatta dal c.t.u.; che, di conseguenza, l’actio negatoria servitutis doveva considerarsi improponibile.
Il motivo è inammissibile.
Il giudice distrettuale ha ritenuto proponibile la domanda petitoria ai sensi dell’art. 705 c.p.c., sostenendo che era stata ripristinata la medesima utilitas della servitù come esercitata precedentemente, nonostante lo spostamento del luogo di esercizio del passo, non essendo stata diminuita la portata del possesso o reso più incomodo il suo esercizio (cfr. sentenza pag. 2).
Ha soggiunto che la servitù di passaggio ha per oggetto l’intero fondo servente e non il solo tracciato utilizzato per esercitare il transito e che il titolare del fondo gravato dalla servitù ha la facoltà di compiere tutte le innovazioni ritenute necessarie o utili, ove non pregiudichino la servitù.
Contrariamente a quanto sostenuto dal tribunale, il giudice di secondo grado ha accertato che i segni visibili del passo esistevano ed erano stati ripristinati, pur se spostati in altro luogo “nell’ambito delle facoltà concesse al proprietario del fondo servente”.
Ha inoltre ritenuto che la sentenza di reintegra dovesse “presumersi attuata” per il fatto che B.L. aveva per molti anni esercitato il transito su un tracciato diverso da quello originario senza muovere contestazioni, accettandone lo spostamento, e che fosse quindi venuta meno la preclusione sancita dall’art. 705 c.p.c., non potendo essa operare “senza termini di scadenza”.
La pronuncia si fonda – quindi – su una pluralità rationes autonome (concreto ripristino dell’utilitas della servitù, ammissibilità dell’attuazione della sentenza possessoria anche mediante spostamento del tracciato, effettiva ricostituzione dei segni del percorso asservito, impossibilità di estendere sine die il divieto di cui all’art. 705 c.p.c.), idonee a sostenere da sole la decizione, ma il ricorrente si è limitato a contestare l’assunto secondo cui l’esercizio del passaggio con modalità diverse da quelle precedenti e l’accettazione del diverso tracciato della servitù equivalessero all’attuazione dell’ordine di reintegra, senza censurare le altre statuizioni, trascurando che, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (Cass. 18641/2017; Cass. 15350/2017; Cass. 5724/2015; Cass. 22753/2011).
3. Il terzo motivo censura la violazione degli artt. 1362,1363,1366 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza escluso, violando il criterio di interpretazione letterale del contratto, che con l’atto del 4.4.1955 fosse stata costituita la servitù di passo, benchè il rogito contemplasse esplicitamente la costituzione del diritto per accedere ai locali ad uso abitativo e fattoria attraverso i cancelli e i viali prospicienti la ***** e la *****.
Il motivo è fondato.
La sentenza impugnata ha escluso che l’atto del 4.4.1995 (con cui la proprietà originariamente in capo ad B.A., era stata trasferita ad B.U. – dante causa di B.S. – e a B.P. – dante causa di B.L.) contemplasse la servitù oggetto di causa, ritenendo che la clausola con cui era stato convenuto che i passi per accedere ai fondi acquistati fossero quelli esistenti al momento del rogito e sarebbero stati “mantenuti come nel passato”, non potesse considerarsi titolo idoneo a costituire il diritto di transito, dato inoltre che, prima della divisione del compendio immobiliare, “si passava indifferentemente da una parte all’altra senza necessità di alcuna opera visibile rivelatrice dell’asservimento tra le distinte porzioni”.
Sennonchè, come evidenziato in ricorso, il rogito prevedeva espressamente la costituzione, a carico della porzione di B.U., dante causa della resistente, e a vantaggio di quella di B.P., dante causa del ricorrente, “la facoltà di passo con veicoli come fino ad oggi esercitato per accedere e recedere dai locali ad uso abitazione e fattoria di proprietà di quest’ultimo attraverso i cancelli e viali prospicienti la ***** e la *****”.
L’esame di tale passaggio testuale del rogito è stato del tutto omesso dalla Corte distrettuale, che avrebbe dovuto invece tenerne conto per verificare se la servitù fosse stata costituita al momento della vendita del 4.4.1955.
La sentenza è quindi incorsa nell’errore denunciato poichè nel ricercare la volontà dei contraenti non poteva prescindersi dal tenore testuale dei contratto, considerato nel suo complesso, e dall’espressa previsione dell’asservimento contenuta nella predetta clausola, occorrendo procedere proprio dal dato letterale, verificando all’esito del processo interpretativo e dell’utilizzo dei criteri concorrenti di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., se il diritto ivi contemplato coincidesse con quello, di natura agricola, oggetto di giudizio (Cass. 16181/2016; Cass. 24560/2016; Cass. 261/2006). Nessun rilievo poteva assumere la ritenuta insussistenza di opere visibili per l’esercizio della servitù anteriormente alla divisione dei fondi, posto che il requisito dell’apparenza poteva escludere l’acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia ma non anche la costituzione della servitù per contratto (Cass. 1389/1972).
4. Il quarto motivo censura la violazione degli artt. 2,111 Cost., artt. 1175,1375,833 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza trascurato che la resistente aveva richiesto in un autonomo giudizio il trasferimento della servitù, e che, sebbene la domanda fosse stata respinta, aveva però riconosciuto la sussistenza dell’asservimento, non potendo poi agire per la negatoria servitutis, senza incorrere in un abuso del processo.
Il motivo è inammissibile.
La sentenza ha esaminato le difese della resistente proposte nel giudizio volto allo spostamento della servitù e le deduzioni formulate ex adverso da B.L., basate esclusivamente sull’asserita natura confessoria di quanto dichiarato nel processo, rilevando che gli atti processuali non erano stati sottoscritti dalla parte e che comunque riguardavano il possesso e non la causa petoria.
Non vi è nella sentenza alcun cenno alla configurabilità di un abuso del processo nè il ricorso chiarisce In quale fase o grado la questione sia stata sollevata, per cui di tali profili, stante la loro novità, non può tenersi conto in sede di legittimità, implicando inoltre approfondimenti di merito (quanto all’effettiva valenza e al contenuto delle deduzioni proposte in giudizio) preclusi in questa sede.
Giova ribadire che se con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte. ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito ed indicare in quali atti tale deduzione sia stata introdotta.
In mancanza la questione non può essere esaminata in cassazione (Cass. 15430/2018; Cass. 23675/2013).
5. Il quinto motivo censura la violazione dell’art. 1062 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la Corte di merito escluso la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, sostenendo che l’originario proprietario, al momento della vendita delle singole porzioni, avesse inteso eliminare ogni possibile subordinazione tra i fondi, trascurando che però la costituzione dell’asservimento discendeva automaticamente dal fatto che lo stato dei luoghi era stato lasciato nelle condizioni iniziali, le quali palesavano l’asservimento mediante opere visibili, non essendovi nel rogito una manifestazione di volontà esplicita volta a negare la costituzione del diritto all’atto della alienazione dei fondi, manifestazione che non poteva desumersi dall’attribuzione a ciascun acquirente di una parte del parco e del giardino.
Il motivo è infondato poichè che la sentenza il giudice di merito ha accertato che, prima del contratto di vendita del 4.4.19955, il complesso costituiva una particella catastale unica ed un unico appezzamento e che non erano presenti opere visibili “che identificassero una servitù di passaggio”.
Tale accertamento era di per sè sufficiente per escludere la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia o per usucapione, poichè l’acquisto del diritto di passaggio richiede – in tali ipotesi – la prova di una relazione di asservimento persistente al momento della creazione di porzioni separate dell’originario immobile.
In assenza di tale condizione, escluso in fatto dalla sentenza impugnata, era irrilevante che nulla avesse disposto il venditore o che i beni fossero state lasciati nello stato in cui si trovavano precedentemente, non potendone comunque derivare l’acquisto del diritto di passaggio (Cass. 6592/2018; Cass. 14693/2002; Cass. 10165/1993).
6. Il sesto motivo censura la violazione degli artt. 2720,2730,2733,2735 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver la sentenza escluso che la resistente avesse reso una piena confessione circa la sussistenza della servitù e ciò sia nel giudizio volto alla spostamento del diritto di passaggio che nelle missive con cui era stata sollecitato un incontro per fissare le modalità di esecuzione della sentenza di reintegra, benchè gli atti fossero sottoscritti dalla parte personalmente e non solo dal difensore. Inoltre, a parere del ricorrente, il divieto di ammettere la confessione riguardo alla esistenza di diritti reali non impediva di valutare tale condotta unitamente alle altre risultanze processuali.
Il motivo è infondato.
La Corte distrettuale ha anzitutto insindacabilmente accertato che gli atti difensivi del giudizio ex art. 1068 c.c., non recavano la sottoscrizione della resistente (il che di per sè li privava di valenza confessoria), ma inoltre ha correttamente affermato che la confessione non poteva comunque esser utilizzata per dimostrare la costituzione della servitù per contratto (avendo già escluso l’acquisto del diritto per usucapione e per destinazione del padre di famiglia in ragione della mancanza di opere visibili destinate al transito), considerato che, con riferimento ai negozi costitutivi o traslativi di diritti reali, sottoposti alla forma scritta ad substantiam, l’atto scritto costituisce lo strumento necessario ed insostituibile per la valida manifestazione della volontà produttiva degli effetti del negozio che non può essere sostituito da una dichiarazione confessoria di una sola delle parti, la quale non può essere utilizzata nè come elemento integrante il contratto, nè come prova di questo (Cass. 4709/1997; Cass. 1811/1990; Cass. 880/1970).
Il fatto che la resistente avesse ammesso la sussistenza dell’asservimento non era valutabile neppure quale elemento indiziario ai fini dell’usucapione o dell’acquisito del diritto per destinazione del padre di famiglia, avendo il giudice di merito escluso che, al momento della separazione dei fondi e della loro cessione, sussistessero opere visibili destinati al transito, il che precludeva l’acquisto da parte del ricorrente.
Segue accoglimento del terzo motivo, con rigetto delle altre censure. La sentenza impugnata è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze; anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 12 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2018
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