LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRECO Antonio – Presidente –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –
Dott. BERNAZZANI Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20606-2013 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
CASTELLANA & C. SPA, domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato VINCENZO TARANTO (avviso postale ex art. 135);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 229/2012 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di CATANIA, depositata il 12/07/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/01/2018 dal Consigliere Dott. BERNAZZANI PAOLO.
FATTI DI CAUSA
Con l’avviso di accertamento n. *****, l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate di Catania, sulla scorta del p.v. redatto dalla Guardia di Finanza-Nucleo di P.T. della medesima città in data 6.5.2002, rettificava la dichiarazione relativa all’anno di imposta 2002 presentata dalla società Castellana & C. s.p.a., rideterminando il reddito imponibile ai fini Irpeg, il valore della produzione netta ai fini Irap ed accertando maggiori ricavi imponibili ai fini Iva; in particolare, per quel che qui rileva, L’Ufficio recuperava a tassazione maggiori ricavi, ricostruiti applicando al costo del venduto un ricarico pari al 39,45%.
La società contribuente impugnava il predetto avviso avanti alla CTP di Catania, che accoglieva il ricorso sulla base, fra l’altro, del rilievo che la percentuale di ricarico era stata calcolata sulla base di un campione di merci ritenuto non significativo in quanto riferito ad un periodo di tempo limitato ad alcuni mesi dell’esercizio 2002 ed evidenziando che la ricorrente aveva provato la sua precaria situazione economico-finanziaria nel periodo di riferimento.
Contro tale decisione interponeva appello l’Ufficio, mentre la società contribuente formulava appello incidentale. La CTR della Sicilia con sentenza n. 229/17/12 pronunciata in data 28.06.2012 e depositata il 12.7.2012, rigettava nel merito il gravame proposto dell’A.d.E., ritenendo l’accertamento viziato in quanto fondato sull’utilizzo della media aritmetica semplice, anzichè ponderata, ai fini della determinazione della percentuale di ricarico, e su un campione di merce non rappresentativo, oltre a non aver considerato la crisi economica in cui versava l’impresa nel periodo di riferimento.
Avverso tale sentenza propone ricorso l’Agenzia delle Entrate, affidato a due motivi. Si è costituita mediante controricorso la società contribuente, la quale ha depositato, altresì, memoria ex art. 380-bis c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente, va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso in relazione alla ritenuta novità delle questioni formanti oggetto del ricorso per cassazione, con riguardo al richiamo alle risultanze del p.v.c. in atti ed, in particolare, alla specifica rilevanza, ai fini dell’estrapolazione del campione di merci utilizzato nell’ambito dell’accertamento analitico-induttivo, della documentazione informatica rinvenuta nel personal computer dell’amministratore della società contribuente, dott. D’Urso.
Al riguardo, va rilevato che gli odierni motivi di ricorso concernono i vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione in ordine alla sussistenza dei presupposti dell’accertamento analitico-induttivo concretamente operato, richiamando i dati più significativi indicati nel p.v.c., in quanto integranti, ad avviso dell’Agenzia ricorrente, elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti. Si tratta di un thema decidendum del tutto collimante con quello oggetto del giudizio di merito, posto che lo stesso, nel suo nucleo essenziale, verteva sempre sui predetti presupposti e contemplava il richiamo al p.v.c. nel suo complesso, quale presupposto essenziale dell’accertamento; ne consegue che, a fronte della decisione della CTR che aveva specificamente affermato l’illegittimità dell’accertamento sia nel metodo seguito, sia nella rappresentatività del campione di merce utilizzato, il richiamo nel ricorso di legittimità – che appare esente da censure anche sotto il profilo del rispetto del principio di autosufficienza – ai profili sopra indicati, in quanto diretto a meglio puntualizzare le ragioni poste a sostegno della correttezza metodologica dell’accertamento e della rappresentatività del compendio di beni assunti a campione, non può affatto ricondursi nell’ambito delle questioni “nuove”, come tali inammissibili, ma rientra fra i temi già sottesi al giudizio di merito.
1.2. Analogamente, va rigettata l’ulteriore censura di inammissibilità del ricorso, invocata dalla difesa della società contribuente in ragione del fatto che l’Agenzia non avrebbe mai contestato, nel corso del giudizio di merito, i fatti ed i documenti prodotti dalla contribuente a sostegno della inattendibilità dell’accertamento, oltre alle risultanze valutative di una consulenza tecnica di parte avente il medesimo fine, “limitandosi ad affermare la correttezza del metodo induttivo adoperato in quanto sorretto dalle risultanze del p.v.c. della Guardia di Finanza”, onde dovrebbe ipotizzarsi la carenza di interesse a ricorrere in sede di legittimità.
Anche indipendentemente dal rilievo circa la necessità di trascrizione o di puntuale indicazione di tutti gli atti sulla cui base dovrebbe ritenersi integrata la non contestazione che la controricorrente assume essersi verificata (cfr. Cass. Sez. 6 – 3, 22/05/2017, n. 12840), nella specie non assolta, va osservato che l’onere di contestazione riguarda le allegazioni delle parti e non i documenti prodotti, nè la loro valenza probatoria, la cui valutazione in relazione ai fatti contestati è riservata al giudice (Cass. Sez. 3, 21/06/2016, n. 12748, Rv. 640254 – 01). Nel medesimo senso, questa Corte ha, altresì, precisato che l’onere di contestazione a carico della parte attiene alle circostanze di fatto e non anche alla loro componente valutativa, che è sottratta al principio di non contestazione, sicchè non sussiste alcun onere di contestazione con riferimento alla valutazione svolta da un consulente tecnico (con riferimento al c.t.u., cfr. Cass. Sez. 6 – 3, 21/12/2017, n. 30744, Rv. 647006 – 01).
1.3. Ciò posto, risulta, altresì, evidente che l’Agenzia ricorrente, nell’affermare la correttezza del metodo di accertamento, di tipo analitico-induttivo, impiegato e la congruità degli esiti raggiunti, evidenziando la ricorrenza dei relativi presupposti, consente di escludere il preteso carattere non contestato delle allegazioni di segno contrario addotte dall’odierna controricorrente.
1.4. Parimenti infondata è l’eccezione di inammissibilità per indeterminatezza dei motivi proposti, i quali sarebbero stati formulati in modo insufficiente alla stregua dei criteri enucleati dalla giurisprudenza di legittimità ed, in particolare, senza l’indicazione dei capi di sentenza impugnati. Osserva, in proposito, il Collegio che il ricorso evidenzia adeguatamente e puntualmente i capi della decisione oggetto dei motivi di impugnazione, aventi i prescritti caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione impugnata.
2. Con il primo motivo l’Agenzia delle Entrate deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1 e D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
La ricorrente, in tale prospettiva, sottopone a censura le argomentazioni della CTR, laddove la stessa ha ritenuto che: a) il campione di merce estrapolato dagli accertatori e posto alla base dell’accertamento non poteva essere considerato sufficientemente rappresentativo; b) la ricostruzione induttiva dell’entità dei ricavi era avvenuta utilizzando percentuali di ricarico che non rispettavano il criterio della media ponderata, ma quello della media aritmetica semplice: criterio ritenuto illegittimo e, comunque, inaffidabile in presenza di merce di varia tipologia e con rilevanti differenze di valore; nella specie, inoltre, al periodo (dall’1.1 al 20.3) dell’anno 2002 oggetto di accertamento era stata applicata la percentuale di ricarico elaborata per il 2001; c) la crisi economico-finanziaria attraversata dalla società ricorrente nel periodo di riferimento, avvalorata dalla chiusura di diversi punti vendita, confermava l’erroneità dell’accertamento.
2.1. Il motivo è infondato.
E’ opportuno osservare in via preliminare che, come più volte affermato da questa Corte, “il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione: il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa”. (ex multis, cfr. Cass. Sez. 6 – 2, 12/10/2017, n. 24054, Rv. 646811 – 01; Sez. 5, 30/12/2015, n. 26110, Rv. 638171 – 01).
E tale è proprio il caso di specie, nel quale le violazioni dedotte dalla ricorrente sono, piuttosto, riconducibili in via astratta al vizio di insufficiente motivazione.
2.2. Nella specie, invero, le censure formulate dall’Ufficio muovono dalle premesse, in punto di diritto, che l’accertamento in contestazione è stato operato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), che consente di rideterminare il reddito d’impresa quando la incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati in dichiarazione risulti sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi precise e concordanti, recependo i canoni generali di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c. (analoghe disposizioni, ai fini Iva sono dettate dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2); che anche un solo fatto noto può rappresentare il dato di partenza del ragionamento inferenziale quando tutti gli aspetti di esso, in assenza di circostanze di valenza contraria, siano chiaramente ed univocamente concordanti in ordine al verificarsi del fatto ignoto; che, del resto, l’accertamento analitico-induttivo non richiede la previa dimostrazione della inattendibilità della contabilità, ben potendo l’Ufficio accertatore ricorrervi anche quando essa sia regolare dal punto di vista formale, ancorchè affetta, in virtù di una valutazione condotta sulla base delle predette presunzioni gravi, precise e concordanti, da incompletezze, inesattezze ed infedeltà.
Tale piattaforma ermeneutica, come palesato dallo svolgimento del motivo, risulta, peraltro, strettamente funzionale all’affermazione che, contrariamente a quanto ritenuto dalla CTR, nel caso concreto gli elementi di valutazione acquisiti agli atti integrerebbero pienamente gli elementi presuntivi che costituiscono il presupposto dell’accertamento analitico-induttivo, convalidandone, altresì, l’esito accertativo, avuto particolare riguardo al carattere adeguatamente rappresentativo del campione di merci utilizzato, in quanto estrapolato sulla base dei dati contenuti nei files memorizzati nel personal computer in uso all’amministratore della società ove era presente l’inventario della merce giacente al 31.12.2001 ed un altrettanto dettagliato prospetto denominato “movimenti di magazzino dal 1.1.2001 ad ora” (da intendersi, secondo la ricorrente, sino alla data di accesso della Guardia di Finanza in data 20.3.2002), comprensivo dei prezzi di vendita degli articoli commercializzati -, ed al fatto che la percentuale di ricarico sarebbe stata determinata, in ogni caso, secondo il criterio della media ponderata.
2.3. Risulta, pertanto, evidente che il vizio di violazione di legge dedotto non è riscontrabile, posto, da un lato, che la CTR non è affatto incorsa in un’erronea ricognizione del contenuto e dell’ambito applicativo della fattispecie astratta individuata dalle norme evocate, non avendo contestato che l’Ufficio avrebbe potuto effettuare la ricostruzione analitico-induttiva dei ricavi e del reddito D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d), sulla base di elementi presuntivi dotati dei requisiti sopra illustrati, nè avendo affermato che, per procedere all’accertamento, sarebbe stato necessario dimostrare l’inattendibilità della contabilità; dall’altro, che le doglianze dell’Agenzia ricorrente si appuntano, in realtà, sull’erronea ricognizione da parte della sentenza impugnata della fattispecie concreta, come reso evidente dalla contestata valutazione delle risultanze di causa, la cui censura nel giudizio di legittimità è possibile, come rilevato, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.
3. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ex artt. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Secondo l’Agenzia ricorrente, la motivazione adottata dalla CTR è carente laddove ha ritenuto che il campione di merci utilizzato non fosse rappresentativo, in quanto frutto di un criterio che non teneva conto della necessità di servirsi di un’ampia varietà di merci disomogenee fra loro, senza minimamente considerare il fatto che il medesimo campione era stato determinato sulla base dei beni individuati dallo stesso amministratore della società contribuente ai fini di monitorare l’andamento economico della gestione, come dimostrato dai files memorizzati sul personal computer di quest’ultimo; analogamente, secondo la ricorrente deve ritenersi apodittico il richiamo esclusivo al criterio della media ponderata per determinare la percentuale di ricarico, essendo, invece, essenziale che la determinazione della percentuale in parola avvenga sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti: attributi che i dati contenuti nei files citati certamente possedevano; ciò senza trascurare, comunque, che nel corpo del ricorso viene ribadito che, nel caso di specie, la metodologia applicata era stata quella della media ponderata.
3.1. Il motivo è fondato.
Va premesso che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la deduzione dì un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge.
Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione. (in questi termini, ex multis, Cass. sez. 5, 04/08/2017, n. 19547).
3.2. Così fissati i limiti del sindacato di legittimità sulla motivazione, va osservato che, nella specie, la decisione della CTR non si sottrae alla dedotta censura. Essa, innanzitutto, si è limitata ad affermare, in modo non sufficientemente argomentato e sostanzialmente apodittico, la non rappresentatività del campione analizzato, limitandosi a richiamare ed a condividere il rilievo, formulato dal giudice di primo grado, che l’accertamento eseguito era “illegittimo sia nel metodo sia nella rappresentatività”, aggiungendo, sempre in termini di principio, che l’Ufficio deve a tal fine servirsi di un’ampia varietà di merci fra loro disomogenee.
In tal modo, la CTR non si è minimamente confrontata con il tema, oltremodo ineludibile in quanto costituente punto decisivo della controversia, costituito dalla rilevanza e peculiare attendibilità ai fini probatori della documentazione extracontabile di tipo informatico acquisita nel corso dell’accertamento e certamente riferibile alla contribuente, in quanto desunta, come già ricordato, dal contenuto dei files memorizzati nel personal computer in uso all’amministratore e legale rappresentante della società stessa: essi, in particolare, riproducevano i tabulati meccanografici relativi all’inventario della merce giacente al 31.12.2001, con indicazione dei relativi dati quali-quantitativi, ed i dettagliati movimenti di magazzino a partire dal 1.1.2001 “ad ora” (secondo l’intitolazione del relativo file: indicazione da intendersi, secondo la ricorrente, nel senso che detto riepilogo comprendeva la movimentazione sino alla data di accesso della Guardia di Finanza in data 20.3.2002), comprensivi dei prezzi di vendita degli articoli commercializzati (al netto di Iva, come risultante dai controlli “a scandaglio” effettuati dai verbalizzanti rispetto alle fatture emesse nel 2001 e nei primi mesi del 2002).
Il quadro ricostruttivo che si desumeva da tali dati era ritenuto particolarmente esauriente ed attendibile da parte degli accertatori e dell’Ufficio, sia in quanto essi trovavano significativi riscontri in quelli riportati nei documenti attivi e passivi ufficiali, sia in quanto i medesimi dovevano servire al contribuente per monitorare l’andamento commerciale effettivo della società e determinare il margine di contribuzione lorda derivante dalle vendite effettuate.
In tale prospettiva, mette conto rilevare che, secondo l’orientamento di questa Corte, gli appunti personali, le annotazioni extracontabili e gli altri prospetti riconducibili all’imprenditore, anche se rinvenuti presso terzi, rappresentano un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e legittimano di per sè, a prescindere da ogni altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo, indipendentemente dal contestuale riscontro di irregolarità nella tenuta della contabilità, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli (cfr. Cass. Sez. 6 – 5, 11/07/2016, n. 14150, Rv. 640561-01; analogamente, in tema di accertamento IVA, Cass. Sez. 5, 08/09/2006, n. 19329, Rv. 593174-01).
Nella specie, l’impiego di tali dati, selezionati dallo stesso amministratore in quanto evidentemente dotati di particolare significatività, aveva consentito l’estrapolazione di un campione di 1199 articoli, presenti sia nel tabulato delle rimanenze al 31.12.2001 sia in quello contenente i prezzi di vendita, per un valore di circa 544 milioni di lire, pari al 18% dell’intero costo del venduto dell’azienda in relazione al 2001.
L’accertamento contemplava, quindi, la quantificazione del costo del venduto relativo al periodo 1.1.2002/20.3.2002 (pari alla somma algebrica delle giacenze iniziali, maggiorate degli acquisti e diminuite delle rimanenze finali, al netto di sconti e resi e di trasferimenti interni di merce ad altro settore aziendale), e l’applicazione al predetto costo del venduto, riferito al periodo indicato, della percentuale di ricarico di cui sopra, determinata secondo un criterio che la CTR ancora una volta ha censurato in maniera non motivata, qualificandolo come frutto dell’applicazione di una media aritmetica semplice senza, tuttavia, dare conto in alcun modo del procedimento logico-ricostruttivo posto a base di tale conclusione, pur a fronte delle doglianze sul punto da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Nè, d’altro canto, la rilevanza di siffatta percentuale di ricarico potrebbe essere astrattamente esclusa, sic et simpliciter, in quanto determinata con riferimento all’anno precedente al periodo di accertamento, posto che “in tema di accertamento analitico induttivo del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d), le percentuali di ricarico, accertate con riferimento ad un determinato anno fiscale, costituiscono validi elementi indiziari, da utilizzare secondo i criteri di razionalità e prudenza, per ricostruire i dati corrispondenti relativi ad anni precedenti o successivi, atteso che, in base all’esperienza, non si tratta di una variabile occasionale, per cui incombe sul contribuente, anche in virtù del principio di vicinanza della prova, l’onere di dimostrare i mutamenti del mercato o della propria attività che possano giustificare in altri periodi l’applicazione di percentuali diverse”. (Cass. Sez. 5, 29/12/2016, n. 27330, Rv. 642387-01).
3.3. La rilevanza di tale complesso di elementi, in quanto costituenti un compendio dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza potenzialmente idonei a sorreggere l’accertamento effettuato è stata, del resto, ben avvertita dalla stessa contribuente, la quale – come si evince dal contenuto del controricorso – ha depositato nel corso del giudizio una consulenza tecnica di parte rivolta a confutare analiticamente la rilevanza dimostrativa dei dati desumibili dai predetti files; circostanza che ulteriormente evidenzia come il profilo in esame sia stato oggetto del contraddittorio fra le parti nel giudizio di merito e, cionondimeno, non abbia trovato alcuna considerazione valutativa nella decisione impugnata.
3.4. In definitiva, la CTR, nell’impugnata decisione, non risulta avere in alcun modo esaminato tali profili fattuali, costituenti punto decisivo della controversia, facendo riferimento unicamente agli argomenti, logicamente sottordinati ed in sè non dirimenti in difetto di una puntuale analisi critica anche degli elementi superiormente evidenziati, costituiti dal riferimento alla mera entità in termini percentuali del campione di merci analizzato, oltre che alla chiusura di alcuni punti vendita della società nel periodo di riferimento ovvero in quello immediatamente successivo.
4. Nella specie, pertanto, risulta configurabile il vizio di motivazione omessa o insufficiente, posto che dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerge l’obiettiva carenza di valutazione di elementi potenzialmente conducenti ad una diversa decisione.
Si impone, pertanto, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla CTR della Sicilia, in diversa composizione, alla quale si demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso; rigetta il primo motivo di ricorso; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2018.
Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2018