Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.31521 del 05/12/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15713-2017 proposto da:

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 265, presso lo studio dell’avvocato TERESA GIGLIOTTI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

RETE FERROVIARIA ITALIANA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VICOLO ORBITELLI 31, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNA MARTINO, rappresentata e difesa dall’avvocato ANDREA SEPE;

– controricorrente –

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 25/09/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA.

RILEVATO

che la Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 30 marzo -11 aprile 2017 numero 1868, riformava la sentenza del Tribunale della stessa sede e, per l’effetto, respingeva l’opposizione proposta da C.F. avverso il decreto ingiuntivo emesso in favore di RETE FERROVIARIA ITALIANA (in prosieguo: RFI) S.p.A. per la restituzione delle somme corrisposte al C. in esecuzione della sentenza del Pretore di Napoli numero 2622/1998, riformata appello;

che, per quanto rileva in causa, la Corte territoriale osservava che il C. all’esito della sentenza di primo grado aveva promosso azione esecutiva presso terzi ed ottenuto la assegnazione del credito di RFI pignorato. L’assegnazione del credito, effettuata in pagamento salvo esazione ai sensi dell’art. 553 c.p.c, non determinava la immediata estinzione del debito di RFI, che sarebbe avvenuta all’atto del pagamento del terzo (debitor debitoris). Nella fattispecie di causa, tuttavia, la prova del pagamento del terzo era raggiunta per presunzioni, essendo a tal fine decisive le seguenti circostanze: la richiesta di quietanza era una mera facoltà del debitore; non vi era un atto del C. di rinuncia all’assegnazione del credito, rinuncia peraltro difficilmente compatibile con l’immediato esercizio della azione esecutiva; non vi era una diversa e successiva azione esecutiva. Tali circostanze provavano l’incasso da parte del C. del credito oggetto della esecuzione forzata;

che avverso la sentenza ha proposto ricorso C.F., articolato in un unico motivo, cui ha opposto difese con controricorso RFI S.p.A.

che la proposta dei relatore è stata comunicata alle parti- unitamente al decreto di fissazione dell’udienza- ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

CONSIDERATO

che la parte ricorrente ha dedotto con l’unico motivo- ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. – violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 del c.c., assumendo che i tre elementi di fatto utilizzati dalla Corte d’Appello ai fini della prova del pagamento per presunzioni fossero privi di qualunque valenza indiziaria e, dunque, non avessero i requisiti per integrare la nozione legale di presunzione.

Ed invero:

– la mancanza della quietanza valeva tutt’al più ad escludere il pagamento e non certo a provarlo presuntivamente;

– l’assenza di una rinuncia all’assegnazione era stata affermata in mancanza di indagine in ordine all’esito del procedimento di esecuzione forzata sicchè la prova del pagamento si fondava su una presunzione di secondo grado; inoltre la rinuncia all’assegnazione non poteva ritenersi incompatibile con l’immediato esercizio dell’azione esecutiva, presupponendo, anzi, tale rinuncia il preventivo esercizio dell’azione;

– alcuna valenza indiziante aveva il fatto che l’azione esecutiva fosse stata tempestivamente promossa, giacchè era egualmente razionale presumere che la parte avesse poi atteso l’esito del giudizio di impugnazione;

– non si comprendeva, poi, il significato attribuito dalla sentenza impugnata all’assenza di una diversa e successiva azione esecutiva nè quale parte avrebbe potuto promuovere tale azione;

che ritiene il Collegio si debba respingere il ricorso;

che, invero, in questa sede deve darsi seguito all’orientamento maggioritario di questa Corte (per il quale si veda: Cassazione civile, sez. II, 25/03/2013, n. 7471; Cassazione civile, sez. III, 03/10/2013, n. 22591; Cassazione civile sez. III 31 marzo 2008 n. 8300; Cassazione civile sez. III 20 febbraio 2007 n. 3982) secondo cui in materia di presunzioni è riservato all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito sia lo stesso ricorso a tale mezzo di prova sia la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzar elementi di fatto come fonti di presunzione. Il relativo giudizio è dunque sindacabile davanti a questa Corte unicamente sotto il profilo del vizio della motivazione.

Il ricorso non oppone alla valutazione del giudice del merito la deduzione di un fatto, decisivo ed oggetto di discussione, non esaminato ma contesta la valutazione discrezionale del collegio d’appello in ordine alla univocità e concludenza degli elementi di fatto indicati in sentenza a provare l’incasso da parte del C. del credito di RFI assegnatogli in via esecutiva. Trattasi di elementi astrattamente idonei a fondare la prova per presunzioni; in particolare, il giudice del merito ha fondato il suo convincimento sulla mancanza di un atto di rinunzia del C. al credito assegnato o di una successiva procedura esecutiva per la sua esazione. Trattasi di una valutazione di merito non sindacabile da questo giudice di legittimità;

che, pertanto, il giudizio deve essere definito con ordinanza in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., in conformità alla proposta del relatore;

che le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, (che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1 quater) della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 2.500 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 25 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2018

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