LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18271-2017 proposto da:
FALLIMENTO ***** SOCIETA COOPERATATIVA, in persona del Curatore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. B. TIEPOLO, 4, presso lo studio dell’avvocato SMARGIASSI GIOVANNI, rappresentato e difeso dall’avvocato MINELLA MARIO;
– ricorrente –
contro
C.E., C.L.;
– intimati –
avverso il decreto n. 1182/2017 del TRIBUNALE di COMO, emesso il 19/06/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 02/10/2018 dal Consigliere Relatore Dott. DI MARZIO MAURO.
RILEVATO
Che:
1. – Con decreto del 19 giugno 2017 il Tribunale di Como ha accolto l’opposizione allo stato passivo del Fallimento ***** Società Cooperativa, ammettendo gli opponenti C.L. e C.E. rispettivamente per gli importi di Euro 5.895,28 e Euro, 867,58, e regolando di conseguenza le spese di lite.
Ha ritenuto il Tribunale che, contrariamente a quanto affermato dal giudice delegato in sede di formazione dello stato passivo, vi fosse compatibilità tra la carica sociale, ricoperta in tempi diversi dagli opponenti, di amministratore unico della società e la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, ove vi sia la prova da parte del lavoratore che l’attività svolta in concreto sia diversa ed ulteriore rispetto a quella tipica dell’organo amministrativo. Nel caso di specie, in particolare, era pacifico che gli opponenti svolgessero attività di operaio-carpentiere, del tutto diversa ed ulteriore da quella correlata alla funzione tipica di amministratore della società, sicchè doveva ritenersi del tutto compatibile la carica di amministratori rivestita da C.L. e C.E. con il vincolo di lavoro dipendente sussistente tra gli stessi e la società.
2. – Per la cassazione del decreto il Fallimento ***** Società Cooperativa ha proposto ricorso per due mezzi.
Gli intimati non hanno spiegato difese.
CONSIDERATO
Che:
3. – Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 2094 c.c., censurando il decreto impugnato per aver ritenuto che C.L. e C.E. potessero essere qualificati quali lavoratori subordinati, nonostante la loro veste di amministratori unici della società fosse incompatibile con la sussistenza del presupposto della eterodirezione, necessario per la configurazione del rapporto di lavoro subordinato.
Il secondo motivo denuncia violazione del disposto dell’art. 2697 c.c., censurando il decreto impugnato perchè mancante di ogni cenno al raggiungimento della prova circa la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato con particolare riferimento proprio all’elemento della eterodirezione, gravando infatti sugli opponenti la prova non solo dell’esecuzione di attività diversa ed ulteriore rispetto a quella tipica dell’amministratore, ma anche la prova del vincolo di subordinazione.
Ritenuto che:
4. – Il collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in forma semplificata.
5. – Il ricorso è inammissibile.
5.1. – Il primo motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, essendo conforme la pronuncia impugnata al principio già affermato da questa Corte secondo cui le qualità di amministratore e di lavoratore subordinato di una stessa società di capitali sono cumulabili purchè si accerti l’attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale ed è altresì necessario che colui che intenda far valere il rapporto di lavoro subordinato fornisca la prova del vincolo di subordinazione e cioè dell’assoggettamento, nonostante la carica sociale rivestita, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società (Cass. 30 settembre 2016, n. 19596).
5.2. – Il secondo motivo è inammissibile.
La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., lamentata dal ricorrente, si configure infatti soltanto nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poichè in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 5 settembre 2006, n. 19064; Cass. 14 febbraio 2000, n. 2155; Cass. 2 dicembre 1993, n. 11949).
Nel caso di specie, viceversa, la censura non evidenzia il menzionato ribaltamento dell’onere probatorio, ma denuncia, per l’appunto, l’erroneo governo del materiale istruttorio, sul rilievo che il Tribunale avrebbe errato ad affermare l’esistenza di un “vincolo di lavoro dipendente sussistente tra gli stessi e la società” (così a pagina 2 del decreto impugnato).
6. – Nulla per le spese. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2018.
Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2018