LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20728-2017 proposto da:
T.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. AVEZZANA 1, presso lo studio dell’avvocato ORNELLA MANFREDINI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati NINO SCRIPELLITI, ELENA BELLANDI;
– ricorrente –
contro
F.M., T.B., O.S., P.M.L., D.G.G., M.A., B.A., F.A., B.L., R.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ASIAGO 8, presso lo studio dell’avvocato STEFANO SANTORELLI, rappresentati e difesi dall’avvocato LUIGI DE MOSSI;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 281/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 08 febbraio 2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 20 settembre 2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
T.P. ha proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza 8 febbraio 2017, n. 281/2017, resa dalla Corte d’Appello di Firenze, pronunciando sull’appello formulato da T.P. contro la sentenza pronunciata in primo grado dal Tribunale di Siena il 12 febbraio 2010.
Resistono con controricorso B.A., B.L., D.G.G., M.A., P.M.L., R.G., O.S., T.B., F.M. e F.A..
Il Tribunale, accogliendo la domanda di B.A., B.L., D.G.G., M.A., P.M.L., R.G., O.S. e degli eredi di F.P. ( T.B., F.M. e F.A.), tutti condomini del Condominio *****, via *****, *****, aveva accertato che T.P. non potesse occupare lo spazio corrispondente al sottotetto posto sulla verticale includente l’appartamento di proprietà esclusiva di quest’ultimo, essendo lo stesso sottotetto destinato a servizio dell’intera collettività dei partecipanti al condominio. Gli attori avevano dedotto nella citazione del 3 agosto 2006 che T.P., su invalida autorizzazione dell’assemblea, aveva realizzato un nuovo locale in sopraelevazione dal proprio appartamento occupando il sottotetto, mediante innalzamento del colmo a 55 cm. La domanda richiedeva perciò il ripristino dello stato dei luoghi.
La Corte d’Appello di Firenze ha negato ogni “abuso del diritto” da parte del primo giudice, per aver pronunciato sulla proprietà del sottotetto, trattandosi di corretta statuizione incidentale sull’appartenenza del bene, questione oggetto anche di esame di adunanze assembleari nell’anno 2004.
Al fini di escludere la proprietà esclusiva di T.P. sul sottotetto, la Corte d’Appello ha evidenziato come lo stesso non avesse accesso dall’appartamento del ricorrente, ma soltanto mediante due scale retrattili poste nel vano scale. Per di più, a smentire l’utilità esclusiva del sottotetto per la proprietà individuale di T.P. depone, secondo i giudici di secondo grado, la presenza di canne fumarie, di cavi di utenze televisive provenienti dai vari appartamenti, di “muretti a salto di gatto”, di una botola di accesso alla soffitta posti alla fine di ciascuna scala condominiale. Nè l’appellante aveva dimostrato un acquisto a titolo originario o derivativo del bene conteso. Quanto alla delibera assembleare del 9 settembre 2004, la Corte di Firenze ha negato che essa avesse all’unanimità concesso a T.P. l’uso esclusivo del sottotetto, avendo a quella riunione peraltro presenziato solo nove condomini su dodici e votato a favore in sei.
Il primo motivo del ricorso di T.P. deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., quanto all’affermazione della condominialità del sottotetto operata in assenza di rituale domanda.
Il secondo motivo censura la violazione dell’art. 1117 c.c., avendo la Corte d’Appello attribuito natura condominiale al sottotetto non in base alla sua consistenza e potenziale utilizzazione, ma soltanto per la mancanza di collegamento con l’appartamento sottostante di proprietà del ricorrente.
Il terzo motivo allega la violazione degli artt. 1102,1118 e 1139 c.c., quanto all’affermazione dell’inefficacia della delibera assembleare del 9 settembre 2004, che aveva concesso in uso il sottotetto al ricorrente.
Il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 1127 c.c., per l’omessa applicazione alla fattispecie dei principi in tema di sopraelevazione.
Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della Camera di consiglio.
Il ricorrente ha presentato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.
1. Il primo motivo è infondato.
La domanda con cui, come nella specie, alcuni condomini chiedono di dichiarare l’illegittimità di un manufatto realizzato da altro condomino in una parte che assumono essere comune dell’edificio (sottotetto), deducendo che tale opera sia idonea a sottrarre il bene comune alla sua destinazione in favore degli altri condomini ed attrarlo nell’uso esclusivo del singolo condomino, con conseguente violazione dell’art. 1102 c.c., tende alla negazione di qualsiasi diritto di proprietà esclusiva del convenuto sulla cosa di proprietà condominiale. Pertanto, poichè questa azione, mirando a chiarire la reale situazione giuridica, implica sia l’accertamento positivo del diritto degli attori come quello negativo dell’esistenza del diritto vantato dal convenuto, non incorre nel vizio di extrapetizione la sentenza che dichiari l’appartenenza al condominio del bene in contesa ed escluda, nel contempo, il diritto di proprietà individuale sullo stesso bene dalla controparte (arg. da Cass. Sez. 2, 23/08/1978, n. 3930; Cass. Sez. 2, 18/06/1976, n. 2300).
2. Il secondo motivo è infondato. Si controverte di un sottotetto sovrastante all’appartamento di proprietà esclusiva di T.P.. Tale bene non è espressamente nominato nell’elenco esemplificativo contenuto nell’art. 1117 c.c. (formulazione applicabile ratione temporis, antecedente alle modifiche introdotte dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220).
Secondo, tuttavia, la consolidata interpretazione di questa Corte, sono comunque oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio, agli effetti dell’art. 1117 c.c. (in tal senso, peraltro, testualmente integrato, con modifica, in parte qua, di natura interpretativa, proprio dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220) i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune (Cass. Sez. 6-2, 14/02/2018, n. 3627; Cass, Sez. 6 2, 10/03/2017, n. 6314; Cass. Sez. 2, 23/11/2016, n. 23902; Cass. Sez. 2, 30/03/2016, n. 6143; Cass. Sez. 2, 20/06/2002, n. 8968; Cass. Sez. 2, 20/07/1999, n. 7764). Altrimenti, ove non sia evincibile il collegamento funzionale, ovvero il rapporto di accessorietà supposto dall’art. 1117 c.c. tra il sottotetto e la destinazione all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune, giacchè lo stesso sottotetto assolva all’esclusiva funzione di isolare e proteggere dal caldo, dal freddo e dall’umidità l’appartamento dell’ultimo piano, e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo, esso va considerato pertinenza di tale appartamento. La proprietà del sottotetto si determina, dunque, in base al titolo e, in mancanza, in base alla funzione cui esso è destinato in concreto: nel caso in esame, la Corte di Appello di Firenze, con apprezzamento di fatto spettante in via esclusiva al giudice del merito, ha accertato che il locale sottotetto non fosse posto in destinazione pertinenziale a servizio dell’appartamento di proprietà esclusiva di T.P., ma fosse destinato all’uso comune come locale di sgombero, tenuto conto delle modalità di accesso ad esso, del suo utilizzo per l’installazione di canne fumarie e per il passaggio di cavi televisivi provenienti dai vari appartamenti, nonchè del collegamento con le scale condominiali. Sussistendo i presupposti di fatto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria del sottotetto, e dunque operando la presunzione di attribuzione al condominio ex art. 1117 c.c., doveva allegarsi un titolo contrario per derogarvi, ma vanamente il ricorrente intende superare la presunzione normativa di condominialità invocando il sindacato di legittimità sul mancato uso da parte della Corte di merito di altre presunzioni semplici, finendo soltanto con l’affermare un convincimento diverso da quello espresso nella sentenza impugnata.
3. Il terzo motivo è infondato. Il ricorrente radica il proprio diritto di uso esclusivo del sottotetto su tre delibere assembleari, dell’11 giugno, del 6 luglio e del 9 settembre 2004, le quali autorizzavano a maggioranza T.P. all’esecuzione dei lavori.
Tuttavia, l’art. 1120 c.c., comma 2, (formulazione ratione temporis applicabile, antecedente alle modifiche apportate dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220), vieta le innovazioni che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso e al godimento anche di un solo condomino, comportandone una sensibile menomazione dell’utilità, secondo l’originaria costituzione della comunione. Tale concetto di inservibilità della parte comune è costituito dalla concreta inutilizzabilità della “res communis” secondo la sua naturale fruibilità, ovvero dalla sensibile menomazione dell’utilità che il condomino precedentemente ricavava dal bene (cfr. Cass. Sez. 2, 12/07/2011, n. 15308; Cass. Sez. 2, 25/10/2005, n. 20639). Costituisce perciò innovazione vietata ai sensi dell’art. 1120, comma 2, c.c., l’assegnazione ad un singolo condomino, in via esclusiva e per un tempo indefinito (come accertato in fatto dai giudice del merito), di un locale sottotetto di condominiale, in quanto determina una limitazione dell’uso e del godimento che gli altri condomini hanno diritto di esercitare sul bene comune, con conseguente nullità della relativa delibera. La destinazione integrale di un sottotetto, per effetto di opere di modifica strutturale, all’uso e alla comodità esclusiva di un singolo condomino sacrifica del tutto le esigenze dei rimanenti comproprietari, e perciò impone l’unanimità dei consensi dei partecipanti (arg. da Cass. Sez. 2, 27/05/2016, n. 11034; Cass. Sez. 2, 14/06/2006, n. 13752). E’ certamente da qualificare nulla la deliberazione, vietata dall’art. 1120 c.c., che sia lesiva dei diritti individuali di un condomino su una parte comune dell’edificio, rendendola inservibile all’uso e al godimento dello stesso, trattandosi di delibera avente oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea (arg. da Cass. Sez. U, 07/03/2005, n. 4806; Cass. Sez. 2, 24/07/2012, n. 12930; Cass. Sez. 6-2, 14/9/2017, n. 21339; Cass. Sez. 2, 25/06/1994, n. 6109).
Alle deliberazioni prese dall’assemblea condominiale si applica, peraltro, il principio dettato in materia di contratti dall’art. 1421 c.c., secondo cui è comunque attribuito al giudice, anche d’appello, il potere di rilevarne d’ufficio la nullità, ogni qual volta la validità (o l’invalidità) dell’atto collegiale rientri tra gli elementi costitutivi della domanda su cui egli debba decidere (Cass. Sez. 2, 17/06/2015, n. 12582; Cass. Sez. 2, 12/01/2016, n. 305; Cass. Sez. 6 -2, 15/03/2017, n. 6652).
4. E’ infine infondato anche il quarto motivo. Esso assume che i lavori oggetto di causa fossero stati realizzati da T.P. quale proprietario dell’ultimo piano, avvalendosi della facoltà di sopraelevazione ex art. 1127 c.c..
Va allora ribadito quanto questa Corte ha già più volte affermato.
Ai fini dell’art. 1127 c.c., la sopraelevazione di edificio condominiale è costituita soltanto dalla realizzazione di nuove opere (nuovi piani o nuove fabbriche) nell’area sovrastante il fabbricato, per cui l’originaria altezza dell’edificio è superata con la copertura dei nuovi piani o con la superficie superiore terminale delimitante le nuove fabbriche, sicchè non v’è sopraelevazione, agli effetti dell’applicabilità della richiamata disposizione, in ipotesi (quale quella in esame) di modificazione solo interna al sottotetto (peraltro di accertata proprietà comune), contenuta negli originari limiti strutturali, delle parti dell’edificio sottostanti alla sua copertura (Cass. Sez. 2, 24/10/1998, n. 10568; Cass. Sez. 2, 10/06/1997, n. 5164; Cass. Sez. 2, 24/01/1983, n. 680; Cass. Sez. 2, 07/09/2009, n. 19281).
5. Il ricorso va perciò rigettato e il ricorrente va condannato a rimborsare ai controricorrenti le spese del giudizio di cassazione.
Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 del testo unico, il comma 1-quater – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 20 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2018
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