Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.4015 del 20/02/2018

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Il reato di diffamazione è costituito dall'offesa alla reputazione di una persona determinata, percepita da più persone ed è un reato di evento non fisico ma psicologico, consistente nella percezione, da parte dei terzi, dell'espressione offensiva.
Ad opinare diversamente il reato di diffamazione risulterebbe integrato anche dalla mera condotta di chi, in luogo affollato, bisbigliasse affermazioni offensive in modo appena percettibile, con ciò pretermettendo l'accertamento dell'elemento soggettivo dell'illecito, in evidente violazione del principio costituzionale di personalità della responsabilità penale di cui all'art. 27 Cost.

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Cassazione Civile, Sezione III, Ordinanza 20/02/2018 Num. 4015

Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: MOSCARINI ANNA
Data pubblicazione: 20/02/2018
ORDINANZA

FATTI DI CAUSA

XXX ricorre avverso la sentenza della Corte d'Appello di Venezia che, confermando la pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda risarcitoria connessa ad un preteso episodio diffamatorio, verificatosi nel corso della seduta della Commissione Urbanistica Comunale del Comune di Sandrigo, in data 13 luglio 2000, nel corso della quale il Sindaco avrebbe commentato le osservazioni presentate dall'avv. XXX al piano regolatore comunale, con le seguenti parole: "quella troia .... è proprio una brutta puttana .... mette i pali tra le ruote a tutti". Le circostanze, riferite solo de relato da un teste, sarebbero state riportate per iscritto nell'allegato C alla delibera comunale del 20 luglio 2000 e riferite dal Giornale di Vicenza in data 24 luglio 2000 con il titolo "Sindaco anima il consiglio sul P.R.G. disgustato dallo scritto dell'avv. XXX ".1 giudici del merito hanno ritenuto che il requisito della comunicazione con più persone, necessario per integrare l'illecito della diffamazione, non fosse stato provato, avendo solo un teste, Rigoni, riferito delle espressioni ingiuriose, mentre altri testi escussi, presenti alla seduta, avevano al più dichiarato che il sindaco aveva perso la calma a causa delle osservazioni della XXX, escludendo, tuttavia, che egli avesse proferito parole ingiuriose all'indirizzo della medesima. Avverso la sentenza d'appello la XXX propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Resiste con controricorso Renato YYY il quale propone anche ricorso incidentale condizionato.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la XXX denuncia la violazione, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c. degli artt. 112 c.p.c. e 2059 c.c. in relazione agli artt. 2 e 3 della Costituzione, agli artt. 1, 21, 23 e 47 della Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea (detta anche Carta di Nizza) del 7 dicembre 2000 - 12 dicembre 2007, nonché degli artt. 3, 13 e 14 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (Cedu) del 4 novembre 1950, e successivi protocolli modificativi e integrativi, per non aver considerato la violazione del diritto alla dignità personale della XXX e per aver escluso il diritto al risarcimento del danno.

A sostegno della propria tesi la XXX cita giurisprudenza di questa Corte che radicherebbe la risarcibilità del danno non patrimoniale, per violazione del diritto alla dignità personale, nell'art. 2 della Costituzione, nella Carta di Nizza e nella Cedu.

Il motivo è inammissibile perché volto ad introdurre, per la prima volta in sede di legittimità, una questione nuova rispetto a quella discussa nei gradi di merito: i profili di violazione della dignità personale risultano, infatti, invocati per la prima volta in questa sede, sì da rendere certamente inammissibile il primo motivo di ricorso.

Con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c. n. 3, degli artt. 595 c.p. e 10, 2043 e 2059 c.c., alla luce di quanto disposto dagli artt. 1 e 47 della Carta di Nizza e dagli artt. 3, 13 e 14 della Convenzione di Roma, e solleva eventuale questione di legittimità costituzionale dell'art. 595 c.p.

Ad avviso della ricorrente la sentenza avrebbe violato le norme su indicate in quanto, per la prospettazione del reato di diffamazione, non occorrerebbe che le dichiarazioni offensive fossero state audite da una pluralità di soggetti, essendo sufficiente la sola potenzialità che le stesse fossero audite in ragione del contesto nel quale furono pronunciate, in coerenza con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la diffamazione è reato unanimemente ritenuto di pericolo, la cui consumazione non necessita dell'effettiva percezione delle dichiarazioni offensive, essendo sufficiente che l'imputato abbia manifestato il proprio pensiero con la consapevolezza e la volontà che questo giungesse a conoscenza di altri. Le norme del codice penale devono essere lette, ad avviso della ricorrente, alla luce del più ampio contesto delle disposizioni convenzionali sovranazionali ed europee di guisa che il concetto di "onore", "dignità" e di "immagine" della persona non può che essere riletto nella più ampia prospettiva della sua dignità personale. Ad opinare diversamente si violerebbe il diritto al ricorso effettivo ai sensi dell'art. 13 della Convenzione Cedu e dell'art. 47 della Carta di Nizza.

Nell'ipotesi in cui questa Corte dubitasse di poter accogliere l'interpretazione adeguatrice proposta, la ricorrente solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 595 c.p. con riguardo agli artt. 2 e 3 Cost. e degli artt. 1, 4, 20, 21, 23 e 47 della Carta di Nizza nella parte in cui lo stesso prevede che l'offesa alla dignità e all'immagine della persona sia effettiva solo se ed in quanto il vulnus sia stato audito da una pluralità di persone. Il motivo è infondato. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass., V, n, 5654 del 19/10/2012; Cass. Pen. I, n. 2739 del 21/12/2010; Cass. Pen., I, n. 16307 del 15/03/2011; Cass. Pen., I, 16/11/2012 n. 44980) il reato di diffamazione è costituito dall'offesa alla reputazione di una persona determinata, percepita da più persone ed è un reato di evento non fisico ma psicologico, consistente nella percezione, da parte dei terzi, dell'espressione offensiva. Ad opinare diversamente il reato di diffamazione risulterebbe integrato anche dalla mera condotta di chi, in luogo affollato, bisbigliasse affermazioni offensive in modo appena percettibile, con ciò pretermettendo l'accertamento dell'elemento soggettivo dell'illecito, in evidente violazione del principio costituzionale di personalità della responsabilità penale di cui all'art. 27 Cost. Ne segue, pertanto, l'infondatezza del secondo motivo di ricorso.

Con il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c. n. 5 per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, la mancata valutazione sia delle dichiarazioni scritte, allegate alla delibera del Consiglio comunale del Comune di Sandrigo del 20.7.2000, sia dell'articolo comparso nel "Giornale di Vicenza" del 24.7.2000. La Corte d'Appello avrebbe omesso di valutare la Corte di Cassazione - copia non ufficiale natura offensiva delle dichiarazioni ivi contenute, incorrendo nei vizi motivazionali indicati. Il motivo è inammissibile ex art. 348 ter commi 4 e 5 c.p.c. che escludono la possibilità del ricorso in cassazione, ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., ogni qualvolta - come nel caso di specie - la sentenza di appello abbia confermato quella di primo grado (cd. "doppia conforme").

Con il primo motivo di ricorso incidentale condizionato lo YYY censura la sentenza impugnata per violazione dell'art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c. per aver omesso di pronunciarsi sull'appello incidentale in violazione dell'art. 112 c.p.c. Con il secondo motivo di ricorso incidentale chiede di pronunciare la nullità della sentenza, limitatamente alla parte in cui ha omesso di motivare l'eventuale, implicito rigetto o assorbimento dell'appello incidentale proposto dallo YYY, in violazione degli artt. 132 co. 4 c.p.c. e 111 1co. 6 Cost. I due motivi, in quanto condizionati all'accoglimento del ricorso principale, restano assorbiti.

Conclusivamente il ricorso principale è rigettato, l'incidentale assorbito, con la conseguente condanna della ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, e al raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito l'incidentale condizionato. Condanna la ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 6.000 (oltre Euro 200 per esborsi), accessori di legge e spese generali al 15%.

Ai sensi dell'art. 13 co. 1 quater del d.p.r. n.115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della ricorrente principale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

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