LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 8845-2017 proposto da:
V.C., R.P., R.C. tutti coeredi di R.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA BANCO DI S. SPIRITO, 48, presso lo studio dell’avvocato AUGUSTO D’OTTAVI, rappresentati e difesi dall’avvocato LUCIANO CRISI;
– ricorrenti –
contro
I.C. SRL, R.F., A.F., R.E., RI.MA., VI.TI., B.R., AV.GI., R.M.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 2137/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 26/09/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/04/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE IGNAZIO, che ha concluso per l’estinzione del giudizio con compensazione delle spese;
udito l’Avvocato MARCO SELVAGGIO per delega.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Venezia, con sentenza in data 26.9.2016 n. 2137, ha confermato la decisione di prime cure e rigettato l’appello proposto da V.C., C., M. e R.P., n. q. di eredi di R.G. nei confronti degli appellati Franca ed R.E., A.F., I.C. s.r.l., Vi.Ti. B.R. e Av.Gi., rilevando che doveva ritenersi del tutto corretta la decisione del primo giudice fondata sui rilievi svolti dal CTU, avendo quest’ultimo identificato – verificando la corrispondenza tra la mappa di impianto catastale e la situazione reale dei terreni – la linea di confine proprietario tra i fondi prospicienti, escludendo che le parti convenute avessero violato le distanze minime, stabilite dalle Norme tecniche di attuazione del regolamento edilizio del Comune di Pastrengo ed anche quelle previste dall’art. 873 c.c., tra il confine ed il manufatto realizzato da quest’ultime sul terreno di loro proprietà.
La Corte territoriale ha quindi rigettato le domande degli appellanti di condanna all’arretramento dell’edificio e di risarcimento del danno.
La sentenza di appello è stata impugnata per cassazione da V.C., R.C. e R.P. con ricorso affidato ad un unico motivo, notificato a mezzo posta ai sensi dell’art. 149 c.p.c. in data 4.4.2017 con atto consegnato all’Ufficiale giudiziario in data 3.4.2017.
Ha resistito con controricorso Ri.Ma., mentre tutti gli altri intimati non hanno svolto difese.
I ricorrenti hanno successivamente dichiarato di rinunciare al ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 390 c.p.c., con atto notificato in via telematica, in data 16.5.2017 all’avv. Marco Selvaggi difensore domiciliatario del resistente Ri.Ma., ed ancora in data 16.5.2017 ai difensori – nominati in grado di appello – degli altri intimati avv. Giovanna Bragantini per I.C. s.r.l.; avv. Annavittoria Devoto per R.F., A.F. e R.E.; avv. Rosanna Pasini per Vi.Ti.; avv. Marco Busti per B.R. e Av.Gi..
Con atto “trasmesso via e-mail” il 26.6.2017 al proprio domiciliatario, avv. Marco Selvaggi, da questi sottoscritto per avvenuta ricezione e depositato presso la Cancelleria di questa Corte, il procuratore della parte resistente Ri.Ma., avv. Sergio Ballarini, ha chiesto la fissazione di udienza, deducendo di non avere accettato la rinuncia dovendosi, pertanto, provvedere alla statuizione sulle spese di lite in applicazione del principio della soccombenza virtuale;
La Cancelleria di questa Corte ha quindi provveduto a comunicare, in data 1.3.2019, ai difensori del Ri. nonchè agli avvocati Augusto D’Ottavi e Luciano Grisi, difensori dei ricorrenti, la data della pubblica udienza.
La parte resistente Ri.Ma. ha depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
La pubblica udienza è stata fissata, su istanza del difensore di Ri.Ma., ai sensi dell’art. 391 c.p.c., comma 3, – nel testo sostituito dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 15 – che dispone Il decreto (pronunciato dal presidente, se non è stata ancora fissata la data della decisione, che provvede sulla rinuncia e nei casi di estinzione, disponendo la condanna alle spese della parte che ha dato causa al giudizio) ha efficacia di titolo esecutivo se nessuna delle parti chiede la fissazione della udienza nel termine di dieci giorni dalla comunicazione”.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno definitivamente risolto i dubbi interpretativi insorti dalla norma di cui all’art. 391 c.p.c. dopo la introduzione delle disposizioni che consentono – nella fase preliminare, antecedente la fissazione della udienza pubblica o l’adunanza camerale – la definizione del giudizio, per fatti estintivi determinati da rinuncia o da previsioni di legge, con decreto presidenziale.
E’ stata, infatti, ricostruita la disciplina processuale individuata dal Legislatore, secondo uno schema che rimane estraneo al sistema della impugnazioni, prevedendosi la revocabilità dell’effetto estintivo dichiarato dal decreto, su istanza della parte che abbia interesse alla trattazione in udienza del ricorso per cassazione nel giudizio da ritenersi perciò stesso pendente: tale scelta processuale, prescinde del tutto dalla circostanza meramente eventuale che il decreto sia munito anche di statuizione di condanna alle spese di lite, attesa la manifesta illogicità di una soluzione che assoggettasse a differente trattamento fattispecie estintive del tutto identiche, facendo dipendere la prosecuzione o meno del giudizio da un elemento casuale del decreto presidenziale, essendo stato precisato al riguardo che “non è ragionevole che il legislatore, nell’introdurre con il D.Lgs. n. 40 del 2006, un meccanismo che per la prima volta si concreta nella previsione – giustificata da esigenze di celerità di definizione che rendono superflua la necessità di riunire un collegio – di un provvedimento del tutto eccentrico, in quanto monocratico, rispetto alla collegialità della decisione di legittimità, e che, essendo diretto a dichiarare l’estinzione del processo di cassazione, e, dunque, a ‘chiuderè tale processo, è finalizzato ad eliminare sollecitamente la pendenza di un giudizio, si sia poi astenuto dal disciplinarne l’efficacia in tal senso in generale e l’abbia disciplinata solo per il caso, del tutto eventuale, in cui il provvedimento rechi la condanna alle spese.”. Con la conseguenza che la correlazione, posta dalla disposizione dell’art. 391 c.p.c., comma 3 tra la presentazione della istanza e l’impedimento dell’acquisto della efficacia di titolo esecutivo del decreto, va ricondotta soltanto a tale specifico effetto, e non può assumere significato limitativo rispetto alla valenza generale dello schema normativo che trova applicazione anche in mancanza di una condanna alle spese di lite (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 19980 del 23/09/2014).
La istanza della parte, non assolvendo alla funzione di introduzione di una critica al provvedimento presidenziale non deve essere supportata da specifici motivi, avendo contenuto meramente sollecitatorio della trattazione della causa. Deve però essere depositata presso la Cancelleria nel termine di giorni dieci dalla comunicazione del decreto, termine che assume natura perentoria in considerazione e della peculiare brevità, e della funzione cui tende lo schema normativo delineato dal Legislatore volto a definire, con meccanismo acceleratorio e privo di particolari formalità, il consolidamento della estinzione del giudizio di legittimità e quindi il passaggio in giudicato della sentenza di merito (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 19980 del 23/09/2014; id. Sez. 5, Sentenza n. 16625 del 07/08/2015).
Quanto sopra consente di ritenere del tutto irrilevante la circostanza della mancata accettazione della rinuncia al ricorso da parte del resistente Ri., atteso che, come emerge dall’art. 390 c.p.c., la rinuncia è negozio processuale unilaterale ricettizio, che non richiede quindi il concorso della manifestazione di volontà della parte destinataria, venendo invece in rilievo esclusivamente la tempestività della presentazione della istanza di trattazione in udienza, in ordine alla quale si palesa egualmente priva di rilevanza la critica mossa al decreto in relazione alla omessa statuizione sul regolamento delle spese di lite, non venendo in questione avanti questo Collegio la verifica di eventuali vizi di legittimità del decreto presidenziale, sibbene la intera controversia così come veicolata dal ricorso per cassazione: proposta la istanza ex art. 391 c.p.c., comma 3, la fase monocratica viene posta in non cale, e si procede alla trattazione del ricorso in pubblica udienza secondo le forme ordinarie del processo di legittimità.
Tanto premesso venendo all’esame del ricorso per cassazione proposto da V.C., P. e R.C., lo stesso deve dichiararsi inammissibile in quanto proposto oltre il termine di decadenza ex artt. 325 e 326 c.p.c..
Il preliminare rilievo di inammissibilità del ricorso consente di attribuire carattere recessivo alla questione pregiudiziale della omessa integrazione del contraddittorio, nel giudizio di legittimità, nei confronti di R.F., A.F. ed R.E., litisconsorti necessari – essendo stato notificato il ricorso all’avv. Luigi Carponi Schittar che risulta essere diverso dal difensore indicato nella intestazione della sentenza della Corte d’appello, avv. Annavittoria Devoto, avendo al proposito riferito il controricorrente che quest’ultimo era stato sostituito al primo, deceduto nel corso del grado di appello – che richiederebbe l’assegnazione di termine per la integrazione del contraddittorio nei confronti dell’erede pretermesso, ai sensi dell’art. 331 c.p.c..
Occorre tuttavia considerare che i litisconsorti pretermessi sono risultati pienamente vittoriosi nei precedenti gradi di merito, sicchè la integrazione del contraddittorio disposta ai sensi dell’art. 331 c.p.c., comma 1 nei loro confronti, pur legittimando la parte pretermessa a proporre impugnazione incidentale ex art. 334 c.p.c., comma 1, non consentirebbe comunque l’accesso al sindacato di legittimità dell’eventuale ricorso incidentale che verrebbe a perdere efficacia, ai sensi dell’art. 334 c.p.c., comma 2, in conseguenza della declaratoria di inammissibilità del ricorso principale. Pertanto, pur sussistendo i presupposti di cui all’art. 331 c.p.c., comma 1, il differimento di udienza per consentire la integrazione del contraddittorio si risolverebbe in un evidente inutile dispendio di attività processuale, dovendo confermarsi l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte secondo cui, nel giudizio di cassazione, il rispetto del principio della ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost. impone, in presenza di un’evidente ragione d’inammissibilità del ricorso o di una manifesta infondatezza dello stesso, di definire con immediatezza il procedimento, senza la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti di litisconsorti necessari cui il ricorso non risulti notificato, trattandosi di un’attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio (cfr. Corte cass. Sez. U, Ordinanza n. 6826 del 22/03/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 690 del 18/01/2012; id. Sez. 3, Sentenza n. 15106 del 17/06/2013).
Tanto premesso il ricorso per cassazione è inammissibile, risultando dai documenti prodotti dal resistente (fasc. resistente, doc 3) che la sentenza di appello è stata notificata in via telematica in data 26.10.2016 all’avv. Marco Seppi, difensore in grado di appello dei soccombenti, attuali ricorrenti, mentre il ricorso per cassazione risulta proposto con notifica a mezzo posta ex art. 149 c.p.c. soltanto in data 3.4.2017, dunque ben oltre il termine di decadenza per la impugnazione. Non è, peraltro, di ostacolo a tale pronuncia in rito la natura plurisoggettiva della controversia. Dallo stesso ricorso per cassazione che riproduce integralmente alle pag. 3-7 l’atto di citazione notificato in data 11.3.2004 e l’atto di chiamata in causa per integrazione del contraddittorio, notificato in data 12.2.2005- si evince, infatti, che:
a) le domande formulate dai proprietari-danneggiati concernevano 1-la condanna alla riduzione in pristino mediante arretramento della costruzione realizzata dai convenuti fino a mt. 5 dalla linea confinaria; 2-la condanna al risarcimento dei danni quantificati in Euro 50.000,00 o in quella somma da liquidarsi in via equitativa anche a seguito di c.t.u.;
b) tutte le parti convenute e chiamate in causa erano state evocate nella qualità di comproprietari, avendo R.F., A.F. e R.E. ceduto la proprietà del terreno confinante ad I.C. s.r.l. per la costruzione di un immobile a destinazione abitativa, dietro cessione della proprietà di un appartamento dell’edificio che era stato effettivamente realizzato, ed ancora avendo la predetta società successivamente alienato la proprietà di alcuni appartamenti agli acquirenti Ri.Ma., B.R. e Av.Gi., Vi.Ti.;
c) nelle conclusioni dell’atto di appello veniva ancora richiesta la “condanna dei convenuti tutti, quali comproprietari, ad arretrare l’edificio… ed al risarcimento dei danni….che si indicano in Euro 50.000,000 ” (ricorso pag. 17-18).
Pertanto, essendo stata proposta l’azione reale di riduzione in pristino per violazione delle distanze dal confine, nei confronti dei soggetti comproprietari dell’edificio realizzato sul terreno adiacente, e dovendo pertanto i convenuti in primo grado ritenersi litisconsorti necessari in quanto la eventuale sentenza di condanna ad un “facere”, resa nei confronti di alcuni soltanto di essi resterebbe “inutiliter data”, perchè non eseguibile nei confronti degli altri (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 10260 del 04/08/2000), la notifica della sentenza di appello effettuata da una delle parti in litisconsorzio necessario fa decorrere il termine di impugnazione breve nei confronti di tutte le altre parti, sicchè la decadenza dall’impugnazione per scadenza del termine esplica effetto nei confronti di tutte le parti (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 10026 del 24/06/2003; id. Sez. 3, Sentenza n. 19869 del 29/09/2011; id. Sez. L, Sentenza n. 986 del 20/01/2016; id. Sez. 3 -, Ordinanza n. 14722 del 07/06/2018).
In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e le parti ricorrenti vanno condannate in solido alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, trovando applicazione nel cumulo della domanda risarcitoria indicata nel valore di Euro 50.000,00 con la domanda a tutela della proprietà, di valore indeterminabile ex art. 15 c.p.c., comma 3, in difetto di elementi per la stima dei valori del bene immobile, lo scaglione tariffario per le cause di valore indeterminabile previsto dal D.M. n. 55 del 2014 aggiornato dal D.M. 8 marzo 2018, n. 37.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento in favore del, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 8 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2019
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