Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.17750 del 03/07/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26460-2018 proposto da:

B.S.N., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE DON G. MINZONI, 9, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO LUPONIO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DEGLI INTERNI;

– intimato –

avverso il decreto n. R.G. 8186/2017 del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 16/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. VELLA PAOLA.

1. con il decreto n. 9745 del 16/08/2018 il Tribunale di Ancona -Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea – ha respinto il ricorso proposto dal cittadino pakistano B.S.N. contro il provvedimento della Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Ancona, negando le invocate forme di tutela (status di rifugiato, protezione sussidiaria, protezione umanitaria);

2. avverso detto decreto il richiedente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi;

3. il Ministero dell’Interno non ha svolto difese;

4. a seguito di deposito della proposta ex art. 380 bis c.p.c. è stata ritualmente fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio.

CONSIDERATO

che:

5. con il primo motivo si lamenta “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia” nonchè “insufficiente attività istruttoria volta a verificare la reale situazione religiosa del Pakistan”, con riguardo al “fondato timore di persecuzione personale e diretta (…) ancorchè incomba direttamente sull’istante il relativo onere probatorio”;

5.1. la censura motivazionale così proposta è palesemente inammissibile, in quanto formulata in difformità dai canoni di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis – il quale richiede ora che il ricorrente indichi il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. Sez. U, 8503/2014; conf., ex plurimis, Cass. 27415/2018);

6. con il secondo motivo si deduce “Violazione ed errata applicazione delle seguenti norme di diritto in relazione al riconoscimento della protezione internazionale (…) di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3”, ma le norme non vengono indicate, mentre si lamenta che non vi sarebbe stata una effettiva “diminuzione degli attacchi terroristici rispetto al 2015 nella regione nord del Pakistan del Punjab (regione ove vive il ricorrente)”;

7. il terzo mezzo prospetta la “Violazione ed errata applicazione delle seguenti norme di diritto in relazione al riconoscimento della protezione sussidiaria (…) ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14”, ma in sostanza censura la mancata valutazione del provenienza del ricorrente dalla regione del Punjab e delle minacce di morte da questi subite ad opera della “famiglia del capo del villaggio”;

8. con il quarto motivo si denunzia la “Violazione ed errata applicazione delle seguenti norme di diritto in relazione al riconoscimento della protezione umanitaria (…) D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5,comma 6”, alla luce dello “instabile e spinoso contesto socio politico del Pakistan (…) unitamente alla condizione personale di estrema vulnerabilità in cui si troverebbe il ricorrente una volta rimpatriato”, tanto più essendo egli “riuscito ad inserirsi completamente nella società civile” italiana, “avendo un contratto a tempo determinato con scadenza 19/06/2019” con salario netto di circa seicento Euro mensili;

9. anche tali motivi sono inammissibili, poichè, sebbene formulati come violazioni di legge, veicolano in realtà censure di merito, peraltro del tutto generiche, a fronte dell’ampia, puntuale e approfondita motivazione adottata dal tribunale su tutti gli aspetti segnalati;

10. al riguardo deve ricordarsi, tra l’altro, che: i) la ritenuta non credibilità del racconto del ricorrente integra un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 3, comma 5, lett. c) e quindi censurabile in cassazione solo nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), come detto non rispettati (Cass. 3340/2019); ii) l’inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente esclude l’attivazione di poteri istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 4892/2019, 16925/2018), dal momento che il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice presuppone una affidabile allegazione dei fatti da accertare (Cass. 33096/2018, 28862/2018); iii) l’accertamento della sussistenza di una “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale” ai fini della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 14, lett. c) – da interpretare anche in conformità alle fonti normative e giurisprudenziali Eurounitarie (direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE; Corte giust. 18/12/2014; 17/0/2009, Elgafaji; 30/01/2014, Diakitè) – implica un apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito, parimenti censurabile in sede di legittimità nei richiamati limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (Cass. 30105/2018, 32064/2018);

11. non sussistono i presupposti per la condanna alle spese, in assenza di difese del Ministero intimato, nè per il raddoppio del contributo unificato, stante l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato (ex multis, Cass. 28433/2018, 13935/2017, 9938/2014).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2019

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