Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.18027 del 04/07/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6620-2015 proposto da:

M.P., T.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TEVERE 44, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO DI GIOVANNI, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati ROBERTA CACCO, GIORGIO BRESSAN, FRANCESCO CASELLATI;

– ricorrenti –

contro

MA.ST., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VILLA SACCHETTI N. 9, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MARINI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO AMATO;

– controricorrente –

e contro

D.D., MA.LI., C.S., B.E., F.P., R.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 552/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 05/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/01/2019 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI.

FATTI DI CAUSA

M.A. e T.M., proprietari di un terreno sito in *****, gravato da servitù in favore di un fondo di proprietà di Ma.St., D.D., Ma.Li., C.S., B.E., F.P. e R.P., giusto atto di compravendita del 19.11.1984, con il quale veniva costituita una servitù di passaggio per pedoni e per qualsiasi mezzo, lamentavano che, successivamente all’atto di costituzione della servitù, il fondo era divenuto edificabile e l’esercizio della servitù non era più limitata a fini agricoli.

Chiedevano, pertanto, la cessazione dell’utilizzo della servitù per fini diversi da quelli agricoli.

All’esito dei giudizi di merito, con sentenza depositata il 5.3.2014, la Corte d’Appello di Venezia, riformando la decisione del Tribunale di Treviso N. 749/2011, rigettava la domanda.

La corte territoriale, sulla base dell’interpretazione dell’atto costitutivo, riteneva che le parti non avessero voluto apporre alcuna limitazione alla tipologia dei mezzi che avrebbero dovuto transitare e che non vi fosse alcun riferimento all’uso agricolo del terreno del fondo dominante. Al contrario, la destinazione dell’area a strada, rendeva prevedibile il successivo mutamento di destinazione del fondo.

Per la cassazione della sentenza, hanno proposto ricorso M.P., in qualità di erede di M.A., e T.M., affidato ad un unico motivo.

Ha resistito con controricorso Ma.St..

D.D., Ma.Li., C.S., B.E., F.P. e R.P. sono rimasti intimati.

In prossimità dell’udienza, i ricorrenti hanno depositato memorie illustrative.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso, si deduce la falsa applicazione degli artt. 1063,1065 e 1067 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per non avere la corte territoriale considerato, ai fini dell’aggravamento della servitù, che vi era stato un cambiamento di destinazione urbanistica dell’area del fondo dominante, che era passata da agricola a residenziale. La corte territoriale non avrebbe, inoltre, considerato che la realizzazione da parte del Ma. di sei unità abitative, costituendo un’innovazione, avesse determinato un aggravamento della servitù rispetto alle previsioni contrattuali.

Il ricorso non è fondato.

Va, in primo luogo, evidenziata l’assoluta carenza di specificità del ricorso, che, da un lato richiama l’atto costitutivo della servitù, senza allegare o trascrivere il titolo, dall’altra inserisce elementi fattuali, relativi allo stato dei luoghi, che esulano dal giudizio di legittimità, quando venga censurata la violazione o la falsa applicazione di legge.

è sulla base dell’allegazione di elementi di fatto che il ricorrente contesta non già l’esatta applicazione della legge, ma la valutazione delle risultanze istruttorie effettuate dal giudice d’appello.

La sentenza impugnata è, invece, conforme ai principi di diritto affermati da questa Corte in materia di aggravamento di servitù, con orientamento consolidato, al quale il collegio intende dare continuità.

L’art. 1063 c.c. stabilisce una graduatoria delle fonti regolatrici dell’estensione e dell’esercizio delle servitù, ponendo come fonte primaria il titolo costitutivo del diritto, mentre i precetti dettati dai successivi artt. 1064 e 1065 c.c. rivestono carattere meramente sussidiario. Tali precetti, pertanto, possono trovare applicazione soltanto quando il titolo manifesti al riguardo lacune o imprecisioni non superabili mediante l’impiego di adeguati criteri ermeneutici: ove, invece, il contenuto e le modalità di esercizio risultino puntualmente e inequivocabilmente determinati dal titolo, a questo soltanto deve farsi riferimento (Cassazione civile, sez. 2, 05/03/2010, n. 5434, Cass.25.3.1986 n. 2893).

L’estensione e le modalità di esercizio della servitù debbono, pertanto, essere dedotte dal titolo, tenendo conto della comune intenzione dei contraenti, da ricavarsi, peraltro, non soltanto dal tenore letterale delle espressioni usate, ma anche dallo stato dei luoghi, dall’ubicazione reciproca dei fondi e dalla loro naturale destinazione, elementi tutti formativi e caratterizzanti l’utilitas legittima la costituzione della servitù (Cassazione civile, sez. IL 20/05/1981, n. 3306).

Ne consegue che, l’indagine sulla sussistenza, ad opera del proprietario del fondo servente, di atti di violazione o turbativa della servitù va condotta con riferimento all’estensione ed alle modalità di esercizio della servitù medesima, come fissate dal titolo costitutivo, e, pertanto, deve tenere conto anche delle specificazioni che tale titolo contenga in ordine alla “utilitas”, ove le stesse non abbiano mero valore indicativo, ma valgano a qualificare e delimitare il diritto (Cassazione civile, sez. 2, 13/04/1991, n. 3942).

Tanto premesso, la corte territoriale ha correttamente ritenuto che le modalità di esercizio della servitù fossero determinate dall’atto costitutivo del 19.11.1984, che ha interpretato tenendo conto dell’intenzione delle parti, che non avevano fatto riferimento all’esercizio della servitù a piedi o con mezzi agricoli. La servitù risultava, infatti, costituita “a piedi e con qualsiasi mezzo”, senza limitazione alcuna in relazione alla tipologia dei mezzi che vi dovevano transitare e senza alcun riferimento all’uso agricolo del terreno del fondo dominante. Al contrario, l’area su cui era esercitata la servitù era destinata a strada ed appariva prevedibile il successivo mutamento di destinazione.

La decisione è altresì conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, in materia di innovazioni, con particolare riferimento ai requisiti, richiesti dall’art. 1067 c.c., che rendano più gravosa la condizione del fondo servente.

L’innovazione non costituisce in sè stessa aggravamento della servitù; lo costituisce solo quando cagiona un apprezzabile pregiudizio, attuale o potenziale, da giudicare caso per caso, con giudizio di fatto incensurabile in cassazione (Cass. n. 1172/1963; n. 2327/1995; n. 19182/2003).

In tale indagine, occorre considerare che l’esercizio di fatto della servitù non ne accresce o restringe l’estensione risultante dal titolo: il titolare può importare innovazioni necessarie a esercitarla come consente il titolo, anche se in un primo tempo l’ha esercitata in misura ridotta (cfr. Cass. n. 1521/1962).

In applicazione di tali principi, è stato precisato che se il mutamento di destinazione o la trasformazione del fondo che fruisce della servitù di passaggio determina sul fondo servente un maggior traffico a causa del più elevato numero di persone che vengono a trovarsi in condizione di esercitare il passaggio, non può affermarsi che l’aggravamento della servitù sia in re ipsa, giacchè l’aggravamento può ritenersi sussistente solo nel caso in cui, tenuto conto dello stato dei luoghi, delle caratteristiche dei due fondi e di tutte le circostanze rilevanti, il transito di un maggior numero di persone risulti realmente dannoso per il fondo servente, e cioè dia luogo ad inconvenienti o molestie che, secondo la comune valutazione, siano economicamente apprezzabili come più gravose e che in precedenza non si verificavano e non erano prevedibili (Cassazione civile sez. II, 14/05/2018, n. 11661, Cass. n. 1567/1972).

Per quanto particolarmente riguarda la identificazione dei bisogni del fondo dominante, qualora l’atto costitutivo non contenga una precisa limitazione, la relativa valutazione deve ispirarsi a normali criteri di prevedibilità (Cass. n. 1172/1963; Cass. n. 999/1981). Il criterio di prevedibilità, diversamente da quanto sostengono i ricorrenti, deve essere inteso nel senso di prevedibilità “generica e oggettiva”.

In questa prospettiva, essendo pacifico che l’area fosse destinata a strada, la considerazione oggetto di censura non trova ragion d’essere nella dedotta destinazione agricola del terreno, avendo la corte escluso (pag. 8 della sentenza impugnata), qualunque riferimento nell’atto costitutivo alla natura agricola del fondo dominante, alla limitazione del passaggio con mezzi agricoli o per esigenze dell’agricoltura (tanto che in nessun punto si rinvengono le parole “agricolo”, ” agricoltura ” o “agricoltore”).

Poichè l’interesse del proprietario del fondo dominante era assicurarsi il passaggio dalla strada con ogni mezzo, senza limitazioni, correttamente la corte territoriale, nell’ambito dell’attività interpretativa del titolo, ha ritenuto che le parti avessero preso in considerazione le potenzialità di utilizzo che il fondo avrebbe potuto acquisire nel tempo, rispetto alle quali la edificabilità non appariva un evento avulso dalla prevedibilità delle parti stesse.

La decisione si pone in continuità con la recente giurisprudenza di questa Corte in relazione all’art. 1067 c.c., avendo stabilito che, qualora l’atto costitutivo non contenga una precisa limitazione, la relativa valutazione deve ispirarsi a normali criteri di prevedibilità, la quale deve essere intesa in senso generico ed oggettivo (Cassazione civile sez. II 14/05/2018, n. 11661).

Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per spese ed Euro 3500,00 per compensi oltre spese forfettarie nella misura del 15%, Iva e cap come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di cassazione, il 10 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2019

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