Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.19301 del 18/07/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25619-2017 proposto da:

ENOTECA ACHILLI SRL, in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SARDEGNA 29, presso lo studio dell’avvocato STEFANO CAPONETTI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIERPAOLO MARI;

– ricorrente –

contro

N.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MUZIO CLEMENTI, 68, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO DE ANGELIS, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3339/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 31/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 20/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCA SPENA.

RILEVATO

che con sentenza in data 15 giugno – 31 luglio 2017 numero 3339 la Corte d’Appello di Roma riformava la sentenza del Tribunale della stessa sede nella parte in cui aveva respinto la domanda proposta da N.A. nei confronti della società ENOTECA ACHILLI Srl per l’accertamento del rapporto di lavoro subordinato intercorso tra le parti nel periodo dal 24 febbraio 2009 al 23 gennaio 2010 e per il pagamento delle differenze di retribuzione maturate e del TFR; per l’effetto condannava la società a corrispondere al N. la complessiva somma di Euro 14.592,34 oltre accessori. Confermava la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva respinto la contestuale azione di impugnazione del licenziamento orale;

che la Corte territoriale non condivideva il giudizio del Tribunale, che aveva ritenuto, sulla base delle dichiarazioni dei testi introdotti dalla società resistente, che il N. avesse reso prestazioni di lavoro occasionale per la mescita dei vini in alcune serate.

In proposito osservava che la deposizione del teste C. era generica e che inoltre il Tribunale aveva omesso di considerare i rapporti professionali intercorsi tra il teste, avvocato e T.D., socio al 33% e marito della socia di maggioranza; quanto alla deposizione del teste D.A., era omessa ogni valutazione circa l’attualità del rapporto di lavoro dipendente con la società resistente, con mansioni di direttore, direttamente coinvolto nell’organizzazione e gestione aziendale. La deposizione del D.A., inoltre, non puntualizzava le circostanze riferite.

Maggiormente attendibili erano le dichiarazioni dei testi di parte appellante, signori L. e D’.; il primo era stato dipendente dell’enoteca, con regolare contratto, dal giugno 2002 al giugno 2009 ed il rapporto era stato definito consensualmente all’esito del licenziamento; le dichiarazioni della seconda, che aveva lavorato in un esercizio vicino all’enoteca, erroneamente erano state ritenute dal Tribunale prive di rilevanza probatoria.

I testi avevano avuto conoscenza diretta dei fatti riferiti e non avevano alcun rapporto con le parti di causa sì da risultare ben più attendibili; dalla loro deposizione si evinceva la sussistenza del dedotto rapporto di lavoro subordinato;

che avverso la sentenza ha proposto ricorso la società ENOTECA ACHILLI Srl, articolato in un unico motivo, cui ha opposto difese N.A. con controricorso;

che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti – unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

CONSIDERATO

che con l’unico motivo la parte ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, censurando la sentenza impugnata per avere giudicato attendibili e fondate le dichiarazioni rese dai testi introdotti da controparte e di discutibile attendibilità quelle dei propri testi.

Ha assunto che le dichiarazioni del teste C.V., cliente della enoteca, erano tutt’altro che generiche ma, piuttosto, coerenti con le conoscenze di un comune avventore in merito alla organizzazione e gestione del personale di un ristorante.

Il secondo teste, signor D.A.P., aveva specificato che il N. veniva chiamato solo in determinate serate per provvedere alla mescita del vino, in assenza di vincoli di orario e di presenza, tanto da lavorare anche altrove.

Al contrario le dichiarazioni rilasciate dalle teste D’.SO., introdotta dal N., erano generiche e – ove precise – riguardavano fatti a lei riferiti dalla stessa parte; il teste L.S., essendo stato licenziato, poteva avere ragioni di solidarietà con il N. e, comunque, egli aveva lavorato soltanto per pochi mesi e con mansioni, affatto diverse, di addetto al magazzino ed alle consegne; anche le sue dichiarazioni erano rese, almeno in parte, de relato;

che ritiene il Collegio si debba dichiarare la inammissibilità del ricorso;

che, invero, il motivo contesta le valutazioni rese dalla Carte territoriale in ordine alla attendibilità dei testi e, dunque, una valutazione tipicamente rimessa al giudice del merito e non sindacabile da questo giudice di legittimità. L’accertamento del fatto storico è denunziabile davanti a questa Corte nei soli limiti dell’omesso esame di un fatto storico di rilievo decisivo ed oggetto di discussione tra le parti- ai sensi del testo vigente dell’art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile alla fattispecie di causa- mentre la censura non individua alcun fatto storico non esaminato nella sentenza impugnata;

che, pertanto, essendo condivisibile la proposta del relatore, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con ordinanza in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c.;

che le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte dichiara la inammissibilità del ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 2.000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, con distrazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 20 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2019

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