LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –
Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –
Dott. BILLI Stefania – Consigliere –
Dott. CAVALLARI Dario – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 536-2013 proposto da:
ROMA CAPITALE, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEL TEMPIO DI GIOVE 21, presso lo studio dell’avvocato ENRICO MAGGIORE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FIAMMETTA LORENZETTI;
– ricorrente –
contro
FRANCESCAREAL SARL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA PIETRO COSSA 13, presso lo studio dell’avvocato ENRICO FALABELLA, rappresentato e difeso dall’avvocato ROBERTA CASTINI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 257/2012 della COMM. TRIB. REG. di ROMA, depositata il 16/07/2012;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 23/05/2019 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.
RITENUTO
Che:
Francescareal sari, società lussemburghese con stabile organizzazione in Italia, impugnava la cartella di pagamento n. *****, per ICI relativa all’anno 2002, assumendo, per quanto ancora d’interesse, di aver avuto conoscenza non del prodromico avviso di accertamento dell’imposta n. ***** (anno 2002), ma soltanto di quello n. ***** (anno 2003), tempestivamente opposto, e l’adita CTP di Roma respingeva il ricorso, con decisione successivamente riformata dalla CTR del Lazio che, con la sentenza in epigrafe, accoglieva l’appello della contribuente e rilevava il prospettato difetto di prova che il plico inviato, a mezzo del servizio postale, alla predetta società contenesse effettivamente due distinti avvisi di accertamento.
Roma Capitale (già Comune di Roma) propone ricorso, con un motivo, cui l’intimata contribuente resiste con controricorso.
CONSIDERATO
Che:
Con il motivo di impugnazione si deduce insufficienza, contraddittorietà ed illogicità della sentenza di appello sul fatto controverso decisivo della controversia rappresentato dalla intervenuta dimostrazione del ricevimento del plico postale raccomandato e del suo contenuto, avuto riguardo al numero identificativo degli avvisi di accertamento spediti, riportato nell’avviso di ricevimento versato in atti, elemento che avrebbe dovuto far ritenere gravante sul destinatario l’onere probatorio del contrario;
La sentenza impugnata, nell’affrontare la questione, esordisce affermando che “l’onere di provare la corretta notifica dell’atto presupposto che la parte adduce di non aver ricevuto, incombe sull’Ente impositore che faccia valere il proprio diritto”, che, nel caso di specie, “il Comune ha fornito adeguata prova sull’invio di un plico all’indirizzo della società destinataria e ha fornito altresì prova del ricevimento del plico da parte della stessa”, che, tuttavia, ciò non è sufficiente a dimostrare anche la circostanza che esso “contenesse due avvisi di accertamento, uno per ciascuna annualità” dell’imposta richiesta (ICI), “in presenza di contestazioni della parte destinataria in ordine al ricevimento di uno di essi” avvisi.
Orbene, giova premettere che questa Corte (Cass. n. 27165/2011), in tema di ICI, ha affermato che “la spedizione di plurimi avvisi di accertamento in un’unica busta raccomandata non integra alcuna nullità, riverberando esclusivamente sul piano delle mere irregolarità formali, laddove non venga accertato un effettivo pregiudizio all’esercizio, da parte del destinatario, del diritto di difesa”.
Giova, altresì, evidenziare che i numeri dei due atti impositivi che si assumono contenuti nel plico raccomandato per cui è causa sono, secondo le prospettazioni di parte ricorrente non contrastate nel controricorso, corrispondono a quelli riportati sull’avviso di ricevimento prodotto in giudizio, e tali indicazioni, ancorchè non coperte da efficacia probatoria privilegiata, non essendo attribuibili ad alcun pubblico ufficiale, non possono ritenersi del tutto ininfluenti ai fini della decisione.
Va ricordato che, in tema di notificazioni a mezzo posta, la disciplina relativa alla raccomandata con avviso di ricevimento, mediante la quale può essere notificata la cartella di pagamento senza intermediazione dell’ufficiale giudiziario, è quella dettata dalle disposizioni concernenti il servizio postale ordinario per la consegna dei plichi raccomandati, di guisa che l’atto pervenuto all’indirizzo del destinatario deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., superabile solo se il medesimo dia prova di essersi trovato senza sua colpa nell’impossibilità di prenderne cognizione (Cass. n. 9111/2012) e che, secondo questa Corte (Cass. n. 20027/2011), ove l’involucro della raccomandata contenga plurime comunicazioni, e il destinatario ne riconosca solo una, è necessario, perchè operi la presunzione di conoscenza posta dall’art. 1335 c.c., che l’autore della comunicazione, il quale abbia scelto detta modalità di spedizione per inviare due comunicazioni, fornisca la prova che l’involucro le conteneva, atteso che, secondo l’id quod plerumque accidit, ad ogni atto da comunicare corrisponde una singola spedizione.
Ciò detto, la decisione impugnata si appalesa fallace proprio perchè, disattendendo i principi giurisprudenziali elaborati in materia (Cass. n. 21533/2017; n. 20786/2014), laddove non dà rilievo, ai fini del giudizio sul riparto dell’onere della prova, a tutti quegli elementi utili a sostanziare presunzioni semplici, come ad esempio, la connessione tra gli atti, riferibili ad annualità d’imposta immediatamente successive, e l’indicazione dei numeri degli avvisi di accertamento prodromici sull’avviso di ricevimento, ritualmente prodotto agli atti di causa, avviato insieme con il plico spedito e che l’agente postale fa sottoscrivere al destinatario e subito rispedito all’interessato.
La sentenza, in conclusione, va cassata con rinvio alla CTR del Lazio, la quale in altra composizione dovrà procedere a nuovo esame della causa, valutando – compiutamente e complessivamente – i sopra detti elementi, al fine di verificare se l’ente impositore abbia soddisfatto, anche in via presuntiva, l’onere probatorio su di esso incombente e se, per conseguenza, spetti alla contribuente provare di essersi trovata nell’impossibilità di prendere cognizione dell’atto impositivo.
P.Q.M.
la Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in altra composizione.
Così deciso in Roma, in esito alla Camera di consiglio, il 23 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2019