LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CORRENTI Vincenzo – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6324/2015 proposto da:
C.A., C.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA EMILIO FAA’ DI BRUNO 52, presso lo studio dell’avvocato TERESA MARINA, rappresentati e difesi dall’avvocato MASSIMO MAURIZIO DI BELLA;
– ricorrenti –
contro
CONSORZIO DI MIGLIORAMENTO FONDIARIO CARTALEMMI E FONTANAVECCHIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE GIUSEPPE MAZZINI 142, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO ALBERTO PENNISI, rappresentato e difeso dall’avvocato ANDREA INGIULLA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1211/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 06/09/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/04/2019 dal Consigliere GIUSEPPE TEDESCO.
RITENUTO IN FATTO
che:
C.A. e C.S., proprietari di un fondo attraversato da una condotta idrica a cielo aperto di proprietà del Consorzio di miglioramento fondiario “Cartalemmi e Fontanavacchia”, con annesso fabbricato, hanno chiamato in giudizio il consorzio, lamentando danni al loro fabbricato determinati da carenza di manutenzione e controllo di tale “saia”, protrattasi negli anni.
Hanno chiesto e ottenuto, dal Tribunale di Catania, sezione distaccata di Adrano, un provvedimento cautelare poi confermato con la sentenza di merito.
La Corte d’appello di Catania è andata in contrario avviso, riformando la decisione.
Essa ha osservato che il primo giudice, con statuizione non impugnata, aveva riconosciuto che il fondo degli attori era gravato da servitù di acquedotto; ha quindi riconosciuto che l’origine dei danni lamentati dagli attori era da identificarsi nella carenza di manutenzione della “saia”; ha aggiunto però che la carenza di manutenzione non era imputabile al Consorzio, ma dipendeva dal fatto che la condotta idrica era stata inglobata nel fabbricato degli attori, realizzato abusivamente sopra un’area agricola nella quale scorreva inizialmente l’acqua della “saia” per cui è causa; ha ancora precisato che ciò aveva reso impossibile effettuare la normale manutenzione, comportando l’impossibilità di ispezionare parte della condotta idrica, mentre, quanto alla parte scoperta, si poteva accedere ad essa solo con la collaborazione degli attori, tramite consegna delle chiavi di volta in volta agli incaricati della pulizia; ha concluso che, in dipendenza di tali circostanze, l’esercizio della servitù era divenuto più incomodo, con conseguente violazione dell’art. 1067 c.c..
Ha quindi accolto la domanda riconvenzionale del Consorzio, ordinando la demolizione dell’edificio degli attori nella parte in cui comportava l’inglobamento della “saia”, in modo che essa tornasse ad essere effettivamente e interamente a cielo aperto.
Ha di conseguenza rigettato la domanda degli attori, emergendo che i danni dipendevano esclusivamente dalla loro scelta di realizzare l’immobile abusivo, inglobando nel loro edificio la “saia” e rendendo incomoda la manutenzione.
Ha accolto ancora la domanda del Consorzio di rimborso della somma sostenuta per l’esecuzione dei lavori ordinati con il provvedimento cautelare.
Per la cassazione della sentenza i C. hanno proposto ricorso affidato a quattro motivi.
Il Consorzio ha resistito con controricorso.
I ricorrenti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
che:
Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1065 c.c..
La servitù di cui discute è stata acquistata per usucapione in assenza di titolo negoziale costitutivo.
Quindi al fine di stabilire l’estensione e il contenuto della servitù occorre riferirsi al possesso.
In applicazione di tale criterio la Corte di merito avrebbe dovuto escludere che l’innovazione realizzata sul fondo servente avesse diminuito l’esercizio della servitù, posto che la edificazione era avvenuta ventitrè anni prima rispetto alla domanda riconvenzionale di riduzione in pristino e nondimeno la servitù era stata ugualmente esercitata, in assenza di qualsiasi iniziativa da parte del titolare a tutela della stessa servitù.
Si lamenta inoltre la corte di merito, nel disporre la demolizione della costruzione nella parte in cui è stata inglobata la Saia, è incorsa in una pluralità di violazioni: a) avrebbe imposto ai titolari del fondo servente una servitù ulteriore (di non edificare), non necessaria al soddisfacimento dei bisogni del titolare, in ulteriore violazione dell’art. 1065 c.c.; b) avrebbe inoltre riconosciuto l’acquisto per usucapione di una servitù non apparente, quale quella di non edificare; c) non avrebbe poi considerato che i proprietari del fondo servente avrebbero acquisito per usucapione il diritto di mantenere la propria costruzione sopra la condotta; d) era poi evidente che la modifica non aveva reso impossibile l’esercizio della servitù, ma al limite l’aveva reso solo più incomodo: il rimedio quindi non era la riduzione in pristino, essendo sufficiente la consegna delle chiavi d’accesso all’immobile ai fini della manutenzione.
Il motivo è infondato.
Ai fini dell’usucapione, di una servitù di passaggio, il possesso da considerare è esclusivamente quello che sia stato posto a base dell’usucapione, non potendo essersi usucapito qualcosa di più o di diverso di ciò che si e posseduto (tantum praescriptum quantum possessum), donde l’obbligo del giudice di determinare il contenuto della servitù unicamente in rapporto alla precisa attività svolta dal possessore e limitarne l’esercizio secondo l’uso che della servitù medesima se n’e fatto per tutto il periodo di tempo necessario ad usucapire (Cass. n. 42/1964; n. 5060/1992).
E’ infondato quindi la tesi dei ricorrenti, secondo i quali, al fine di stabilire l’estensione e le modalità di esercizio della servitù (acquistata nella specie per usucapione), la situazione possessoria rilevante sarebbe quella “provata e documentata nel corso del giudizio di merito”. Si deve infatti considerare come si è fatto uso del diritto lungo i dieci o venti anni necessari all’acquisto.
Nel caso in esame è un fatto pacifico che la innovazione ha inciso su facoltà accessorie necessarie per l’esercizio della servitù ex art. 1064 c.c. (manutenzione e pulizia della condotta).
Questa Corte ha chiarito che in tema di servitù prediali, le modalità di utilizzazione del fondo servente si distinguono in modalità estrinseche e modalità essenziali. Solo la mancata attuazione delle modalità essenziali – cioè di quelle condizioni e di quegli elementi che incidono o si riflettono nell’utilitas con deciso carattere fisionomico, in quanto integrano il vantaggio conferito dal titolo al fondo dominante – importa che la servitù non sorge, perchè non si concreta il vantaggio del fondo dominante, mentre “la mancata attuazione, o la modificazione, delle modalità estrinseche – che non sono elementi essenziali, ma meramente accessori, non influenti sul contenuto della servitù, in quanto non incidono sull’utilitas – sono irrilevanti e non importano nè la mancanza di costituzione della servitù nè la sua estinzione (Cass. n. 1031/1967).
Ciò vuol dire che i diritti accessori ricordati nell’art. 1064 c.c., seguono le sorte della servitù in cui rientrano e perciò non si estinguono neanche quando non vengano esercitati per venti anni, purchè la servitù non sia perita per non uso.
Consegue che ogni considerazione dei ricorrenti circa il tempo decorso dalla innovazione risultano a priori irrilevanti. Si rileva, per completezza di esame, che le stesse considerazioni sono state proposte dai ricorrenti sotto l’improprio profilo della usucapione del diritto di mantenere il fabbricato, invece che della estinzione del diritto altrui per non uso (estinzione non configurabile per quanto appena detto).
Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1064 c.c..
Le innovazioni sul fondo servente non avevano inciso negativamente sull’esercizio e sull’utilitas della servitù. La facoltà di tenere la condotta a cielo aperto, piuttosto che intubata, e di entrare nel fondo servente per ispezionare la “saia” e provvedere alla pulizia costituivano facoltà accessorie, che non erano indispensabili per l’esercizio della servitù, tant’è che questa era stata esercitata in conformità al possesso anche dopo la realizzazione del fabbricato e nei venti anni successivi.
Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1067 c.c..
Non qualsiasi innovazione sul fondo servente costituisce diminuzione dell’esercizio della servitù, ma solo quelle rispetto alle quali sia data la prova di un pregiudizio concreto ed effettivo per il titolare della servitù.
La costruzione non aveva alterato l’essenza della servitù, ma ne aveva reso solamente più incomodo in modo trascurabile l’esercizio.
I motivi, da esaminare congiuntamente, sono fondati.
Secondo la giurisprudenza la modifica delle facoltà accessorie al diritto di servitù prediale non si ripercuote nè sul vincolo, nè sulle modalità di attuazione della servitù, trattandosi di fattori esterni agli elementi costitutivi delle medesime, non riconducibili sotto la disciplina dell’art. 1067 c.c. (Cass. n. 3097/1979; n. 5048/1986).
La decisione impugnata non è linea con tale principio. Essa ha ritenuto che la innovazione avesse reso più incomodo l’esercizio della servitù sulla base della considerazione che l’edificazione del fabbricato aveva impedito l’uso di facoltà accessorie.
Diversamente l’indagine avrebbe dovuto verificare non l’impatto della innovazione sulla facoltà accessoria in sè considerata, ma sull’esercizio della servitù. In questa diversa prospettiva l’innovazione sarebbe vietata solo se la servitù non potrebbe esercitarsi diversamente se non mediante quel tale adminiculum.
Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1069 e 1090 c.c..
La sentenza è censurata nella parte in cui la Corte di merito ha accolto la domanda di rimborso dei lavori ordinati con il provvedimento cautelare, nonostante si trattasse di spese che, in massima parte, si riferivano a lavori che il Consorzio aveva sostenuto di propria iniziativa, configurandosi pertanto quali spese per la conservazione e la manutenzione della servitù, poste per legge a carico del titolare della stessa servitù.
Il motivo è assorbito.
In conclusione, rigettato il primo motivo, accolti il secondo e il terzo, assorbito il quarto, la sentenza deve essere cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Catania, che provvederà a nuovo esame attenendosi al seguente principio di diritto:
“le innovazioni del fondo servente che abbiano impedito o reso più incomodo l’esercizio di facoltà accessorie previste nell’art. 1064 c.c., non sono di per sè riconducibili sotto la disciplina dell’art. 1067 c.c., a meno che non risulti provato l’indispensabilità di quel tale adminiculum rispetto all’esercizio della servitù, in guisa che questa non potrebbe esercitarsi in altro modo”.
Il giudice di rinvio provvederà sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
rigetta il primo motivo; accoglie il secondo e il terzo; dichiara assorbito il quarto; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Catania anche per le spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 15 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2019
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