Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.21322 del 12/08/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 431/2016 proposto da:

R.A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO, 109, presso lo studio legale D’AMICO, rappresentata e difesa dagli avvocati MARIA ANTONIETTA PAPADIA e FRANCESCO VINCENZO PAPADIA;

– ricorrente –

contro

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 32, presso lo studio dell’avvocato LUCIANO TAMBURRO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1580/2015 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 08/09/2015 R.G.N. 603/2011.

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. con sentenza n. 1580 depositata l’8.9.2015 la Corte di appello di Bari, confermando la pronuncia del giudice di prime cure, ha respinto la domanda di R.M., vedova di M.F., dipendente di Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. dal 1975, per l’accertamento della dipendenza da causa di servizio della patologia che aveva determinato il decesso, nel 1995, del coniuge e per la condanna del datore di lavoro alla corresponsione di ogni beneficio di legge;

2. Propone ricorso avverso tale sentenza R.M. affidandosi a due motivi e Rete Ferroviaria Italiana resiste con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

3. con il primo motivo del ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 113, 115 e 116, nonchè vizio di motivazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), avendo, la perizia del consulente tecnico d’ufficio recepita dalla Corte distrettuale, trascurato che il M., tra l’anno 1976 (data di un primo ricovero) e il 1994 (data del secondo ricovero, quando venne accertato il tumore), non aveva avuto alcuna sofferenza neppure a livello di sintomo, come risulta dalla cartella clinica e non essendo state esaminate le mansioni effettivamente svolte dal lavoratore;

4. con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 e 1218 c.c., nonchè vizio di motivazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), avendo, la Corte distrettuale, trascurato le deposizioni testimoniali, le certificazioni mediche del Dott. V., della Dott.ssa A., del Dott. C. che fornivano ampia prova de nesso causale tra il lavoro svolto dal de cuius e la patologia tumorale che lo portò al decesso;

5. entrambi i motivi presentano plurimi motivi di inammissibilità; preliminarmente, in ordine alla lamentata omessa valutazione delle mansioni svolte dal M., le censure sono prospettate con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto dell’atto introduttivo del giudizio ove risultavano allegate le concrete mansioni disimpegnate dal lavoratore, fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass. 12 febbraio 2014, n. 3224; Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726);

6. questa Corte ha precisato in diverse occasioni che, in tema di responsabilità del datore di lavoro per violazione delle disposizioni dell’art. 2087 c.c., la parte che subisce l’inadempimento non deve dimostrare la colpa dell’altra parte – dato che ai sensi dell’art. 1218 c.c., è il debitore-datore di lavoro che deve provare che l’impossibilità della prestazione o la non esatta esecuzione della stessa o comunque il pregiudizio che colpisce la controparte derivano da causa a lui non imputabile – ma è comunque soggetta all’onere di allegare e dimostrare l’esistenza del fatto materiale ed anche le regole di condotta che assume essere state violate, provando che l’asserito debitore ha posto in essere un comportamento contrario o alle clausole contrattuali che disciplinano il rapporto o a norme inderogabili di legge o alle regole generali di correttezza e buona fede o alle misure che, nell’esercizio dell’impresa, debbono essere adottate per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro (cfr. Cass. n. 9209 del 2015; Cass. n. 27364 del 2014; Cass. n. 13863 del 2014; Cass. n. 8855 del 2013; Cass. n. 14469 del 2000);

7. invero, nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nella prima parte dell’intestazione di entrambi i motivi di ricorso, tutte le censure si risolvono nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti;

8. al riguardo va ricordato che la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata (che, nel caso di specie, ricade altresì nell’ambito della modifica dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5, con riguardo alla pronuncia “doppia conforme”) non conferisce al Giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito, non essendo consentito alla Corte di cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicchè le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito (vedi, tra le tante: Cass. n. 18267 del 2013; Cass. n. 21486 del 2011; Cass. n. 9043 del 2011; Cass. n. 313 del 2011; Cass. n. 20731 del 2007);

9. la sentenza in esame (pubblicata dopo l’11.9.2012) ricade sotto la vigenza della novella legislativa concernente l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (D.L. 22 giugno 2012, n. 83 convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134); l’intervento di modifica, come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053 del 2014), comporta una ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, sulla motivazione di fatto, che va circoscritto ai “minimo costituzionale”, ossia al controllo sulla esistenza (sotto il profilo della assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta);

10. nessuno di tali vizi ricorre nel caso in esame e la motivazione non è assente o meramente apparente, nè gli argomenti addotti a giustificazione dell’apprezzamento fattuale risultano manifestamente illogici o contraddittori, avendo – la sentenza impugnata -, sulla scorta della relazione peritale del consulente medico d’ufficio, escluso un ruolo causale o concausale all’attività lavorativa prestata dal M., risultando, la patologia che affliggeva il M., preesistente all’inizio del servizio presso Rete Ferroviaria Italina s.p.a.;

11. inoltre, qualora il giudice di merito fondi la sua decisione sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, facendole proprie, affinchè i lamentati errori e le lacune della consulenza determinino un vizio di motivazione della sentenza è necessario che essi si traducano in carenze o deficienze diagnostiche, o in affermazioni illogiche e scientificamente errate, o nella omissione degli accertamenti strumentali dai quali non possa prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, non essendo sufficiente la mera prospettazione di una semplice difformità tra le valutazioni del consulente e quella della parte circa l’entità e l’incidenza del dato patologico; al di fuori di tale ambito, la censura di difetto di motivazione costituisce un mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico, che si traduce in una inammissibile critica del convincimento del giudice di merito che si sia fondato sulla consulenza tecnica (vedi, per tutte: Cass. 26 gennaio 1998, n. 751; Cass. 26 giugno 2001, n. 8550; Cass. 17 aprile 2004, n. 7341; Cass. 3 febbraio 2012, n. 1652; Cass. 14 maggio 2012, n. 7470; Cass. 13 giugno 2012, n. 9650; Cass. 8 maggio 2013, n. 10818);

12. in conclusione, il ricorso è inammissibile e le spese di lite sono regolate secondo il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.;

13. sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in Euro 4.000,00 per compensi professionali e in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 30 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2019

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