LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 14641/2018 r.g. proposto da:
B.S., (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta a margine del ricorso, dall’Avvocato Daniele Romiti, elettivamente domiciliato in Roma, Via Barnaba Tortolini n. 30, presso lo studio del Dott. Giuseppe Placidi;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro legale rappresentante pro tempore;
– intimato –
avverso la sentenza della Corte di Appello di Bologna, depositata in data 19.2.2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 30/5/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.
RILEVATO
che:
1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Bologna – decidendo sull’appello proposto da B.S. avverso la ordinanza emessa in data 3.11.2016 dal Tribunale di Bologna (con la quale erano state respinte le domande volte ad ottenere il riconoscimento della richiesta protezione internazionale ed umanitaria) – ha rigettato l’appello, confermando, pertanto, la decisione emessa in primo grado.
La corte del merito ha ritenuto che il racconto del ricorrente, in relazione alle ragioni poste alla base della decisione di espatriare, non era credibile e verosimile e che, comunque, fosse riconducibile a vicende di criminalità organizzata realizzabili ovunque; ha, infatti, ricordato che il ricorrente aveva narrato di essersi allontanato dall’Ucraina in seguito ad una tentata estorsione commessa ai suoi danni dalla polizia locale e che anche la successiva denuncia non aveva sortito effetti e che, inoltre, la sua decisione di rientrare in Ucraina era stata ostacolata dallo scoppio della guerra civile nel 2014. La corte territoriale ha, infine, evidenziato che la regione della *****, da cui proviene il richiedente, non è stata interessata dalla guerra civile e che non era stato neanche documentata dal richiedente la sua chiamata alle armi. Il giudice di appello ha, inoltre, evidenziato che il percorso di integrazione sociale del richiedente non rappresentava di per sè presupposto sufficiente per il riconoscimento della protezione umanitaria.
2. La sentenza, pubblicata il 19.2.2018, è stata impugnata da B.S. con ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo variamente articolato.
Il ministero dell’Interno non ha svolto difese.
La parte ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo ed unico motivo la parte ricorrente – lamentando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, art. 2 Cost., art. 8 CEDU e del D.Lgs. 28 gennaio 2018, n. 25, art. 32, comma 3 e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo dibattuto tra le parti si duole del mancato riconoscimento della reclamata protezione umanitaria. Osserva il ricorrente che la motivazione impugnata era errata giuridicamente laddove aveva affermato, in riferimento alla protezione umanitaria, che il percorso di inserimento ed integrazione sociale in Italia del richiedente non era di per sè rilevante per l’accoglimento della domanda, contrariamente a quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità. Si evidenzia che nel 2014 era scoppiata la guerra civile in Ucraina, con conseguenze rilevanti sul generale benessere economico della popolazione le cui condizioni si erano degradate fino a far scivolare il paese tra quelli più poveri di Europa e che, invece, il richiedente si era inserito in Italia, trovando anche un’occupazione lavorativa a tempo indeterminato. Osserva ancora il ricorrente che il suo eventuale rientro in patria determinerebbe l’esposizione a gravi conseguenze economiche, con perdita dei suoi diritti fondamentali.
2. Il ricorso è inammissibile.
2.1 E’ inammissibile, in primo luogo, laddove pretende da parte della Corte di legittimità una rivalutazione di merito, in relazione allo scrutinio delle condizioni fattuali legittimanti il riconoscimento della richiesta protezione umanitaria.
Sul punto non è inutile ricordare che la giurisprudenza di questa Corte ha precisato che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019). E’ stato anche puntualizzato che le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente l’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perchè la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (cfr. anche Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14/01/2019).
Ciò detto, risulta di tutta evidenza come le doglianze rivolte dal ricorrente alla motivazione impugnata si muovano sul terreno della richiesta di rivalutazione della fattispecie concreta, rivalutazione peraltro svincolata da una critica all’interpretazione delle norme invocate, ponendosi le stesse ben al di là del perimetro delimitante la cognizione del giudizio di legittimità.
2.2 Sotto altro concorrente profilo di inammissibilità, giova ricordare che – ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria – l’attendibilità della narrazione dei fatti, che hanno indotto lo straniero a lasciare il proprio Paese, svolge un ruolo rilevante, atteso che ai fini di valutare se il richiedente abbia subito nel paese d’origine una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, la situazione oggettiva del paese d’origine deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza, secondo le allegazioni del richiedente, la cui attendibilità soltanto consente l’attivazione dei poteri officiosi (Cass. 4455/2018).
Nel caso di specie, la Corte d’appello ha – con motivazione adeguata ritenuto che le dichiarazioni del richiedente, circa le ragioni che lo avevano indotto ad abbandonare il proprio paese, erano da considerarsi inattendibili per una serie di motivi, elencati in motivazione. Di più, il riconoscimento della protezione umanitaria, secondo i parametri normativi stabiliti dal T.U. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19, comma 2 e D.Lgs.n. 251 del 2007, art. 32, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato d’integrazione sociale nel nostro paese, non può escludere, invero, l’esame specifico ed attuale della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine. A tal fine non è sufficiente l’allegazione di una esistenza migliore nel paese di accoglienza, sotto il profilo dell’integrazione sociale, personale o lavorativa, dovendo il riconoscimento di tale diritto allo straniero fondarsi su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Cass., 23/02/2018, n. 4455).
Il motivo di ricorso, mentre non riporta alcun elemento – sottoposto ai giudici di merito – dal quale possa desumersi che il rientro in patria possa determinare per l’immigrato una grave compromissione dei propri diritti fondamentali, si traduce (come già sopra rilevato), in una richiesta di rivisitazione del merito, mediante riproduzione anche del contenuto degli atti difensivi, inammissibile in questa sede (Cass., 07/12/2017, n. 29404; Cass., 04/08/2017, n. 19547; Cass., 02/08/2016, n. 16056).
Nessun rilievo specifico – non essendo sufficiente l’allegazione di un’esistenza migliore nel paese di accoglienza – può attribuirsi, poi, come correttamente ha ritenuto il giudice di appello, all’eventuale radicamento lavorativo dell’immigrato in Italia (Cass. 4455/2018).
Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Nessuna statuizione è dovuta per le spese del presente giudizio di legittimità, stante la mancata difesa da parte dell’amministrazione intimata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 30 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2019