LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –
Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17214/2018 proposto da:
S.L.B., elettivamente domiciliato in Roma Via Della Giuliana, 32 presso lo studio dell’avvocato Gregorace Antonio che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’interno, domiciliato per legge in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale Dello Stato che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 26/04/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/06/2019 dal cons. LUCIA TRIA.
RILEVATO
CHE:
1. il Tribunale di Ancona, con decreto pubblicato il 17 marzo 2018, respinge il ricorso proposto da S.L.B., cittadino del Gambia, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).
2. Il Tribunale, per quel che qui interessa, precisa che:
a) il ricorrente ha allegato di essere un disertore dell’esercito gambiano e di temere per il suo rimpatrio, ma come opportunamente rilevato dalla Commissione territoriale, la fazione per la quale il ricorrente parteggiava attualmente è al potere del Paese guidato da B.A., dopo ventidue anni della dittatura di J.Y., il quale attualmente è in esilio;
b) ne consegue che i fatti riferiti dall’interessato, in assenza di atti persecutori diretti e personali, portano al rigetto della domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato;
c) mancano anche le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria, in quanto non vi sono elementi per ritenere che il ricorrente possa temere di subire un “grave danno” per effetto dei fatti allegati, tanto più che dopo la sconfitta elettorale del Presidente J. la situazione complessiva del Gambia è in netto miglioramento grazie all’avvio di una situazione di normalità da parte del Presidente neoeletto B.;
d) questo porta ad escludere, sulla base delle notizie provenienti dalla fonti autorevoli consultate, che nell’area di provenienza del richiedente si registri una situazione di conflitto armato interno ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ferma restando l’insussistenza delle condizioni previste dalle altre lettere della medesima disposizione;
e) d’altra parte, neppure sono emersi elementi per poter affermare che il ricorrente potrebbe essere esposto al suddetto danno grave in caso di rimpatrio per il fatto di appartenere alla etnia mandingo, visto che il nuovo Presidente, per linea paterna, appartiene al medesimo gruppo etnico;
f) neppure sono emersi motivi di carattere soggettivo ovvero condizioni di vulnerabilità soggettive che consentano di accordare la protezione umanitaria, non bastando a dimostrare l’avvenuta integrazione, a tali fini, l’acquisizione di un buon livello di conoscenza della lingua italiana;
3. il ricorso di S.L.B. domanda la cassazione del suddetto decreto per cinque motivi; il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.
CONSIDERATO
CHE:
Sintesi dei motivi.
1. il ricorso è articolato in cinque motivi;
2. con il primo motivo si denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5 e in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 2 e art. 13, comma 7, omesso esame di un fatto decisivo circa la mancata traduzione del provvedimento di rigetto della Commissione territoriale nè nel mandingo (lingua madre del richiedente) nè in una delle lingue veicolari indicate dalla legge, neppure in sintesi;
3. con il secondo motivo si denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione delle condizioni del Paese di origine;
3.1. in particolare si rileva che il ricorrente ha documentato che, anche dopo la fine della dittatura, continua ad essere ricercato come disertore rischiando fino a 40 anni di carcere, essendo rimasta invariata la legge militare;
3.2. il Tribunale non ha fatto alcun preciso riferimento a questa situazione e non ha valutato in modo adeguato la situazione del Gambia, tuttora caratterizzata da gravi violazioni dei diritti umani imputabili al Governo, come risulta da report aggiornati di fonti autorevoli;
3.4. tali situazioni si traducono in conflitti che riguardano anche la regione di provenienza del ricorrente;
4. con il terzo motivo si denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 per la mancata concessione della protezione sussidiaria di cui il ricorrente aveva diritto ex lege in ragione delle attuali condizioni socio-politiche del Paese di origine;
5. con il quarto motivo si denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, errata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per la mancata concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, senza dare rilevo all’alto livello di inserimento sociale del richiedente in Italia;
6. con il quinto motivo si propone, in riferimento agli artt. 3,24,111 e 113 Cost., eccezione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, come modificato dal D.L. n. 13 del 2007, art. 6 convertito dalla L. n. 46 del 2017, in riferimento alla disposta abolizione del grado di appello nei giudizi in materia di protezione internazionale;
Esame dei motivi.
7. l’esame dei motivi di censura porta al rigetto del ricorso, per le ragioni di seguito esposte;
8. il primo motivo va dichiarato inammissibile;
8.1. va, infatti, ricordato che, come risulta da un consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte, il giudizio introdotto dal ricorso dell’interessato avverso il rigetto dell’istanza di protezione internazionale da parte dell’apposita Commissione territoriale, non ha ad oggetto il provvedimento amministrativo negativo emesso dalla Commissione stessa, ma il diritto soggettivo dell’istante alla protezione invocata (vedi, per tutte: Cass. 9 dicembre 2011, n. 26480; Cass. 22 marzo 2017, n. 7385; Cass. 6 ottobre 2017, n. 23472);
8.2. pertanto, eventuali nullità riscontrabili nel suindicato provvedimento come quella derivante dalla mancata traduzione integrale del suddetto provvedimento nella lingua indicata dallo straniero richiedente o, se non sia possibile, in una delle quattro lingue veicolari (inglese, francese, spagnolo o arabo, secondo l’indicazione di preferenza), ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 10, commi 4 e 5, – da un lato, non esonerano il giudice adito dall’obbligo di esaminare il merito della domanda sulla quale comunque il giudice deve statuire e dall’altro possono essere fatte valere in sede giudiziaria dall’interessato solo indicando in modo specifico quali siano le ricadute concrete delle suddette nullità sull’esercizio del proprio diritto di difesa (fra le tante: Cass. 9 dicembre 2011, n. 26480; Cass. 13 gennaio 2012, n. 420; Cass. 3 settembre 2014, n. 18632);
8.3. in particolare, con riguardo al mancato rispetto dell’obbligo di traduzione – cui si riferisce il primo motivo – è necessario che vengano precisati quali siano stati, in concreto, gli effetti negativi della mancata traduzione rispetto alla finalità perseguita dal legislatore di assicurare al richiedente la massima informazione e la più penetrante possibilità di allegazione e che non ci si limiti a dedurre sic et simpliciter la violazione del suddetto obbligo (Cass.27 maggio 2014, n. 11871; Cass. 24 aprile 2019, n. 11271; Cass. 26 aprile 2019, n. 1129).
8.4. nella specie il ricorrente ha soltanto dedotto – in modo generico e senza il dovuto rispetto del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, in base al quale il ricorrente qualora proponga delle censure attinenti all’esame o alla valutazione di documenti o atti processuali (e non) è tenuto ad assolvere il duplice onere di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, e all’art. 369 c.p.c., n. 4, (vedi, per tutte: Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726) – la violazione dell’obbligo di traduzione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10 ma non ha lamentato un’effettiva compressione del diritto di difesa, che peraltro sembra smentita dal fatto che, anche senza la traduzione in lingua straniera della parte motiva del provvedimento della Commissione, il difensore del richiedente è stato in grado di articolare una compiuta e tempestiva difesa;
8.5. da ultimo deve essere rilevata l’improprietà, nella specie, dell’invocazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, perchè in base al testo dell’indicata disposizione successivo alla modifica ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 14 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134 – qui applicabile ratione temporis – il vizio di motivazione è denunciabile in sede di legittimità solo quando riguardi una ricostruzione del fatto operata dai Giudici di merito la cui erroneità determini una motivazione del tutto omessa (in tutto o in parte), ovvero affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. SU 20 ottobre 2015, n. 21216; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928; Cass. 5 luglio 2016, n. 13641; Cass. 7 ottobre 2016, n. 20207);
8.6. a parte che tali ultime evenienze qui non si verificano è, comunque, del tutto evidente che l’eventuale omessa rilevazione degli effetti del mancato rispetto dell’obbligo di traduzione non può certamente essere denunciata facendo riferimento al suddetto art. 360 c.p.c., n. 5 in quanto l’oggetto di tale ipotetico vizio di motivazione non sarebbe un “fatto”, perchè atterrebbe alla qualificazione e valutazione giuridica del mancato rispetto di detto obbligo sul diritto di difesa dell’interessato e, quindi, riguarderebbe una parte della motivazione in diritto del provvedimento impugnato;
9. anche il secondo motivo è inammissibile, in quanto nella sostanza le censure con esso proposte si risolvono nella denuncia di errata valutazione da parte del Giudice del merito delle dichiarazioni rese dall’interessato alla Commissione territoriale e delle allegazioni probatorie relative alla situazione del Paese d’origine;
9.1. si tratta, quindi, di censure che finiscono con l’esprimere un mero dissenso rispetto alle motivate valutazioni delle risultanze probatorie effettuate dal Tribunale, che come tale è di per sè inammissibile, rimanendo oggi censurabile l’apprezzamento di fatto compiuto dal giudice del merito solo come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in base all’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo vigente e qui applicabile, nei limiti di cui si è detto sopra (venti punti 8.5, 8.6).
10. pure il terzo motivo è inammissibile in quanto con esso si contesta il mancato riconoscimento al ricorrente della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), muovendosi dal presupposto secondo cui per la protezione sussidiaria sarebbe sufficiente la generale situazione critica del Paese d’origine, come risulterebbe dalla giurisprudenza di questa Corte e della Corte di Giustizia UE;
10.1. in primo luogo va precisato che tale premessa non è condivisibile, in quanto è stato, al riguardo, specificato che, come precisato dalla Corte di Giustizia UE (nelle sentenze 17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, punti 33-35 e 43; 30 gennaio 2014, Diakitè, C-285/12, punto 30 e nella sentenza della Grande Sezione, 18 dicembre 2014, C-542/13, punto 36), i rischi a cui è esposta in generale la popolazione o una parte della popolazione di un Paese di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definire come “danno grave” (v. Considerando n. 26 della direttiva n. 2011/95/UE) agli affetti dell’applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e, in particolare, la disposizione di cui alla lett. c) di esso, su cui nella sostanza si appuntano le censure del ricorrente;
10.2. comunque, le censure proposte si limitano a fare generico riferimento alla ipotetica condizione di “disertore” del ricorrente (di cui si denuncia la omessa considerazione) senza tuttavia confutare – in conformità con il principio di specificità dei motivi dei ricorso per cassazione – la ratio decidendi posta dal Tribunale a fondamento dell’affermata mancanza delle condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria;
10.3. ne deriva che risulta che nel presente motivo si esprime, nella sostanza, un mero dissenso valutativo delle risultanze di causa in materia di protezione sussidiaria e si invoca inammissibilmente un diverso apprezzamento di merito delle stesse;
10.4. di qui l’inammissibilità del terzo motivo, in quanto la deduzione del vizio di violazione di legge, consistente nella erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina (cd. vizio di sussunzione), postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicchè è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito (vedi, per tutte: Cass. 13 marzo 2018, n. 6035), quale si verifica nella specie;
11. per ragioni analoghe a quelle esposte a proposito del terzo motivo è inammissibile anche il quarto motivo, perchè – mutatis mutandis – in questo caso si contesta il mancato riconoscimento al ricorrente della protezione umanitaria con censure del tutto generiche, che non lambiscono la relativa ratio decidendi e che quindi, nel loro insieme, finiscono con esprimere un mero dissenso valutativo delle risultanze di causa rispetto a quello effettuato dal Tribunale, di per sè inammissibile e comunque incompatibile con la deduzione del vizio di violazione di legge;
12. il quinto motivo – con il quale si prospetta una questione di legittimità costituzionale della norma che ha stabilito l’abolizione del grado di appello nei giudizi in materia di protezione internazionale – non è da accogliere per varie ragioni;
12.1. in primo luogo deve essere precisato che un’eventuale sollecitazione al giudice a sollevare una questione di legittimità costituzionale non può essere prospettata come “motivo di ricorso per cassazione” perchè la mancata promozione dell’incidente di costituzionalità non può essere configurata come vizio della sentenza impugnata idoneo a determinarne l’annullamento da parte di questa Corte;
12.2. infatti, ai sensi della L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 24, comma 2, la questione di costituzionalità di una norma, non solo non può costituire unico e diretto oggetto del giudizio, ma soprattutto può sempre essere proposta, o riproposta, dalla parte interessata, oltre che rilevata d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, purchè essa risulti rilevante, oltre che non manifestamente infondata, in connessione con la decisione di questioni sostanziali o processuali che siano state ritualmente dedotte nel processo (in senso conforme vedi, tra le altre: Cass. 18 febbraio 1999 n. 1358; Cass. 22 aprile 1999, n. 3990; Cass. 29 ottobre 2003, n. 16245; Cass. 16 aprile 2018, n. 9284; Cass. 24 febbraio 2014, n. 4406);
12.3. peraltro, nella specie, la “sollecitazione” contenuta nel ricorso sul punto non può essere accolta, dandosi seguito ad un orientamento già espresso da questa Corte e condiviso dal Collegio, in base al quale è stata considerata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost. e art. 111 Cost., “nella parte in cui stabilisce che il procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale è definito con decreto non reclamabile in quanto è necessario soddisfare esigenze di celerità, non esiste copertura costituzionale del principio del doppio grado ed il procedimento giurisdizionale è preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle Commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione” (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27700 e Cass. 30 maggio 2019, n. 14821);
Conclusioni.
13. in sintesi, il ricorso deve essere respinto;
14. le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza;
15. l’ammissione della parte ricorrente al patrocinio a spese dello Stato determina l’insussistenza dei presupposti per il versamento dell’importo previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, stante la prenotazione a debito in ragione dell’ammissione al predetto beneficio (Cass. 22 marzo 2017, n. 7368; Cass. 9 gennaio 2019, n. 284; Cass. 28 febbraio 2019, n. 5973; Cass. 13 marzo 2019, n. 7204; Cass. 24 maggio 2019, n. 14292).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate Euro 2100,00 (duemilacento/00) per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 12 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2019