Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.21379 del 13/08/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23767-2014 proposto da:

R.P., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 326, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO SCOGNAMIGLIO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ALENIA AERONAUTICA S.P.A., ora ALENIA AERMACCHI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ENZO MORRICO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato VALERIA COSENTINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6644/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 03/10/2013 R.G.N. 11521/2008;

LA CORTE, esaminati gli atti e sentito il consigliere relatore.

RILEVA che:

con ricorso per decreto ingiuntivo depositato il 7 settembre 2007 l’ing. R.P., premesso di essere dipendente della società ALENIA Aeronautica fin dall’anno 2000 ed inquadrato come dirigente, che con lettera del 26 maggio 2004 aveva chiesto all’azienda di essere posto in aspettativa fin dal successivo 1 giugno in coincidenza con la propria assunzione presso la società EURO-FIGTER con sede in *****, per tutta la durata dell’incarico; che con lettera del successivo giorno 28 maggio (DRUA – 075 – R) ALENIA aveva accolto la richiesta di aspettativa, sospendendo il rapporto di lavoro in Italia ed impegnandosi a reinserire il R. al suo rientro presso la sede di Roma per un incarico equivalente a quello espletato prima dell’aspettativa; che con lettera in pari data (protocollata con il n. DRUA – 078 – R), la società si era impegnata altresì, nell’ipotesi di rientro dall’aspettativa dopo un periodo di 24 mesi, a corrispondergli la somma di Euro 530.800; tanto premesso, aveva chiesto ed ottenuto l’invocato provvedimento monitorio in relazione alla somma di Euro 530.800, successivamente revocato dal giudice adito in seguito ad opposizione proposta da ALENIA Aeronautica S.p.A.;

avverso la sentenza di primo grado il R. aveva proposto appello, censurando l’interpretazione dell’accordo intervenuto tra le parti, avendo il primo giudicante rigettato la sua domanda -fondata sull’asserita violazione da parte aziendale degli impegni assunti- poichè con la scrittura del 28 maggio 2004 le parti avevano inteso condizionare il rientro anticipato del lavoratore a decisioni aziendali o ai gravi motivi specificamente indicati, di modo che la previsione di un’indennità per tale importo non poteva ritenersi giustificata se correlata alla mera volontà del dipendente. Di conseguenza, il tribunale aveva ritenuto che la previsione dell’anzidetta indennità trovasse giustificazione se correlata alla permanenza all’estero per almeno 24 mesi e se il rientro anticipato fosse avvenuto esclusivamente per decisioni aziendali, ovvero per gravi ragioni di forza maggiore; la Corte d’Appello di Roma con sentenza n. 6644 in data 2 luglio – 3 ottobre 2013 rigettava l’interposto gravame, compensando le relative spese tra le parti, ritenendo che, secondo un’opzione interpretativa coerente con le condizioni previste per il rientro anticipato dall’aspettativa, la lettera in questione si limitava a stabilire che, decorso il termine di 24 mesi dall’inizio dell’aspettativa chiesta dal dipendente, costui avrebbe potuto rientrare in servizio liberamente. Tale facoltà si poneva quale deroga al regime definito con la precedente lettera dello stesso 28 maggio 2004, la quale consentiva il rientro anticipato del lavoratore soltanto per volontà della società in accordo con la EUROFIGHTER e, per la richiesta del dirigente, soltanto nelle ipotesi di cattive condizioni di salute obiettivamente comprovate, di gravissimi motivi familiari riconosciuti dalla società, richiedenti la presenza del lavoratore in Italia, e di dimissioni dalla società e conseguente risoluzione del rapporto. Andava, quindi, condivisa l’interpretazione fornita dal primo giudicante, il quale, sulla scorta di una lettura coordinata delle due scritture private, aveva ritenuto che il vincolo posto al dirigente del rispetto della durata dell’aspettativa concessa non consentisse il riconoscimento di una somma per un importo di ingente entità a fronte del mero esercizio, da parte dello stesso R., di avvalersi della facoltà consentitagli di entrare senza causa cogente, una volta decorsi 24 mesi dall’inizio dell’aspettativa. La diversa interpretazione accreditava una sorta di remunerazione per la sola aspettativa per almeno 24 mesi, ovvero un incentivo – limitato peraltro al rientro anticipato – alla permanenza del lavoratore presso la sede estera per un tempo minimo, ciò che non trovava in atti alcuna espressa previsione. Pertanto, in base alle anzidette argomentazioni e superata la necessità di esame degli ulteriori ad assorbite questioni, l’appello andava respinto;

avverso la pronuncia di appello ha proposto ricorso per cassazione l’ingegner R.P., come da atto notificato il 3 ottobre 2014 e affidato a cinque motivi, cui ha resistito ALENIA Aermacchi S.p.a. (già ALENIA Aeronautica S.p.a.) mediante controricorso del 12 novembre 2014;

le parti hanno depositato memorie illustrative.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo il ricorrente ha denunciato violazione falsa applicazione degli artt. 1362,1363 e 1366 c.c. nonchè artt. 1337 e 1375 cit. codice in relazione al criterio letterale di interpretazione della succitata corrispondenza, concernente l’accordo intervenuto tra le parti, e la sua erronea valutazione circa la comune intenzione delle stesse, tenuto conto soprattutto delle parole adoperate da parte datoriale nella seconda missiva, n. 078, per cui il testo si sarebbe dovuto intendere nel senso che una volta trascorsi i 24 mesi, avendo il R. fatto richiesta di rientrare in servizio presso ALENIA, indipendentemente dalle altre ipotesi ivi contemplate (in qualsiasi momento per il caso di rientro dovuto a unilaterali decisioni aziendali e da motivi di forza maggiore non riconducibili a volontà o responsabilità del dipendente), sarebbe stata riconosciuta una U. T. di Euro 530.800,00. La comune intenzione delle parti era quindi quella fatta palese dal testo della clausola di prevedere l’erogazione a favore del R. di un determinato importo a fronte della sua permanenza all’estero per il periodo di almeno 24 mesi. Di conseguenza, risultava violato l’art. 1362 c.c., comma 1, dal momento che il criterio letterale era da solo sufficiente per interpretare il contratto e per ritenere conclusa l’operazione ermeneutica. Per contro, era stato dato ingresso erroneamente al criterio integrativo di cui all’art. 1363 c.c., neppure applicato correttamente. Infatti, la Corte territoriale e prima ancora il Tribunale avevano letto insieme due clausole contrattuali, delle quali una (la seconda in ordine cronologico e di cui alla missiva contraddistinta dal n. 078), risultava chiaramente integrazione / specificazione della prima, contenute in due documenti diversi e predisposte quindi in tempi distinti. A ben vedere la clausola che aveva previsto l’erogazione della U.T. di Euro 530.800 costituiva chiaramente un patto aggiunto che avrebbe dovuto essere interpretato indipendentemente dal contenuto della clausola di cui alla prima missiva n. 075, e facendo uso del solo prevalente criterio letterale. Del resto, la stessa Corte territoriale, che aveva in un primo momento ipotizzato una deroga al regime definito con la prima lettera, successivamente, perdendo completamente di vista il dato testuale risultante dalla seconda missiva, aveva condiviso l’interpretazione fornita dal giudice di primo grado, secondo cui una lettura coordinata delle due scritture private comportava che il vincolo posto al dirigente del rispetto della durata della aspettativa concessa non consentisse il riconoscimento di una somma per un importo di ingente entità a fronte del mero esercizio di avvalersi della facoltà consentitagli di rientrare senza causa cogente, una volta trascorsi i 24 mesi dall’inizio dell’aspettativa. D’altro canto, pure a non voler ritenere assorbente il criterio ermeneutico letterale, la Corte d’Appello allora avrebbe dovuto indagare la comune intenzione delle parti anche attraverso l’esame dei rispettivi comportamenti, precedenti e successivi alla sottoscrizione degli accordi riguardanti l’aspettativa. In tal modo sarebbe stato possibile cogliere che il riconoscimento dell’una tantum era stato il frutto di una trattativa tra le parti, dipesa dal fatto che l’aspettativa e il conseguente trasferimento all’estero per tre anni erano stati imposti al ricorrente dalla società, la quale di conseguenza aveva assunto l’obbligazione di remunerare il sacrificio del R. mediante la corresponsione dell’anzidetta somma di danaro, come da documento in bozza, che però non era stato per nulla esaminato dalla Corte capitolina. In aggiunta era stato più volte fatto presente nel corso del giudizio di merito che a seguito della lettera del dipendente in data 14 dicembre 2006, con la quale era stato chiesto l’anticipato rientro, una volta verificatasi la condizione del decorso di 24 mesi, con contestuale richiesta di dar corso agli accordi del 28 maggio 2004, la società Alenia nulla aveva riscontrato formalmente, per poi, una volta reinserito il ricorrente in servizio, licenziarlo dopo appena cinque giorni dalla ricostituzione del rapporto. Tali comportamenti rendevano inequivoca la comune intenzione delle parti circa la spettanza dell’una tantum, laddove il giudice di secondo grado aveva anche errato nell’applicazione dei principi in materia di correttezza e buona fede, sia nella fase delle trattative, sia nell’interpretazione del contratto, sia nella sua esecuzione, avendo disatteso il significato del patto sul quale l’attore, avuto riguardo appunto alla dinamica assunta dalla trattativa, aveva riposto un legittimo affidamento;

con il secondo motivo è stata eccepita la nullità del procedimento, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per omesso esame del materiale probatorio acquisito. Infatti, non era stata indagata oltre, attraverso l’ingresso delle prove orali ovvero mediante attento esame dei documenti agli atti, la comune intenzione delle parti. Ed era stato omesso di dare ingresso all’istruttoria orale (ovvero mettendo un’analisi accurata delle prove precostituite). Inoltre, la Corte territoriale aveva senz’altro errato nel non avere valutato i verbali dell’istruttoria orale assunte in primo grado nel diverso il parallelo giudizio di impugnativa di licenziamento, debitamente proposti in sede di gravame all’udienza del 19 marzo 2013, avuto riguardo in particolare alle dichiarazioni rese dai testi M.C., A.N. e MO.Al.. Pertanto, l’omessa disamina di tali deposizioni, nel contesto delle prove documentali in atti (documento 21 ossia la bozza menzionata pagina 44 del ricorso, che avrebbe dato la stura alla lettera poi contraddistinta dal n. 078 – bozza che peraltro si ignora da chi sia stata predisposta e se sia mai stata sottoscritta da un qualche responsabile della società Alenia), secondo il ricorrente, andava qualificata come errore processuale, non trattandosi di una semplice diversa valutazione di un dato probatorio ma della completa pretermissione dello stesso atto, già apprezzabile come error in procedendo;

con il terzo motivo è stata denunciata la violazione o falsa applicazione degli artt. 1362,1337 e 1375 c.c., anche in relazione agli artt. 116 e 421 c.p.c.. Infatti, in base alle anzidette acquisizioni istruttorie, pure a non voler considerare sufficiente il dato letterale della missiva in data 28 maggio 2004 n. 078, al fine di individuare il presupposto per l’erogazione dell’una tantum, sarebbe stato necessario esaminare anche il contenuto delle medesime risultanze istruttorie a questo punto rilevanti ai sensi dell’art. 1362 capoverso, cioè come comportamento delle parti anteriore alla conclusione del contratto. In altre parole, sia privilegiando la tesi della centralità del canone ermeneutico letterale, sia invece affermandosi che il procedimento ermeneutico debba passare attraverso la verifica del risultato interpretativo condotta attraverso il filtro degli artt. 1362 cpv., 1363 e 1366 c.c., la conclusione nel senso dell’erroneità dell’impugnata sentenza non era destinata a cambiare;

con il quarto motivo è stata denunciata la nullità del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4, per omessa pronuncia su una specifica articolazione della causa petendi della domanda, dal momento che la Corte d’Appello aveva commesso un macroscopico errore processuale per non aver rinvenuto in atti alcuna espressa previsione volta ad accreditare la tesi dell’una tantum quale corrispettivo / premio per la permanenza del R. in ***** con riferimento al periodo minimo di 24 mesi, visto quanto in proposito dedotto con la memoria difensiva di primo grado laddove era stata esclusa l’ipotesi di una condizione meramente potestativa connessa all’erogazione economica, da intendersi invece quale corrispettivo per l’esilio temporaneo del R., mentre la società opponente al riguardo aveva espressamente negato l’ipotesi di un premio di fedeltà o di stabilità, questioni sulle quali era poi tornato lo stesso R. con l’atto d’appello. Di conseguenza, si imponeva l’accertamento della comune volontà delle parti attraverso l’assunzione delle prove orali, o quanto meno mediante attenta disamina del suddetto doc. 21 e dei verbali di istruttoria relativi al diverso giudizio instaurato per l’impugnato licenziamento;

con il quinto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, è stato inoltre denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, essendo stato infatti omesso l’approfondimento dell’aspetto oggetto della precedente quarta censura, ossia la ricostruzione della U.T. quale corrispettivo dell’aspettativa per almeno 24 mesi, omissione che aveva quindi indotto la Corte territoriale a condividere il ragionamento seguito dal primo giudicante, il quale, “attraverso un’indebita contaminazione delle due clausole (pur contenute, si ripete, in documenti diversi e predisposti in tempi diversi e dopo lunghe trattative…)”, aveva letto la previsione dell’U. T. come subordinata alla permanenza minima di 24 mesi all’estero e rientro in Italia solo per gravissimi motivi, duplice condizione che però non trovava alcuna espressa previsione nei documenti in parola, salvo il sopra denunciato stravolgimento del senso letterale delle parole adoperate;

tanto premesso, le anzidette doglianze vanno disattese in base alle seguenti ragioni;

in via preliminare, non si ravvisano nella specie gli estremi di vizi rilevanti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5;

invero, quanto alla asserita nullità, non è riscontrabile in atti alcuna specifica violazione di regola processuale, del resto nemmeno precisamente indicata da parte ricorrente, mentre la motivazione dell’impugnata sentenza, che va complessivamente letta unitamente pure a quella, ivi condivisa, di primo grado, ancorchè per relationem, non può dirsi nemmeno enunciata in violazione del c.d. minimo costituzionale, nei sensi indicati dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. in part. Cass. sez. un. civ. nn. 8053 e 8054 del 2014);

parimenti, inoltre, va detto per quanto concerne le pretese omesse disamine, che infatti, alla stregua del vigente testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, qui ratione temporis applicabile con riferimento alla sentenza pubblicata il tre ottobre 2013, possono riguardare unicamente fatti storici e decisivi ai fini della definizione della controversia, mentre nel caso di specie gli aditi giudici di merito, con adeguati apprezzamenti delle risultanze istruttorie in atti, hanno ritenuto l’infondatezza della pretesa creditoria azionata, tenuto conto soprattutto della succitata documentazione (le due lettere di Alenia, entrambe in data 28 maggio 2004, contenenti le proposte contrattuali pacificamente accettate dal R.), da cui poter desumere la comune volontà dei contraenti, e secondo cui, inoltre, ad avviso del Tribunale prima e della Corte d’Appello dopo, tra l’altro l’una tantum per l’ingente entità di ben 530.000,00 Euro non poteva costituire una sorta di corrispettivo in cambio della permanenza all’estero del dipendente, per la durata di almeno 24 mesi, sottoposta alla mera condizione dell’esercizio della facoltà di rientrare, una volta trascorsa tale durata minima dell’autorizzata aspettativa;

detta circostanza fattuale, dunque, è stata ad ogni modo chiaramente valutata dai giudici di merito, in primo e secondo grado, che l’hanno però ritenuta in senso negativo rispetto alle contrarie prospettazioni del ricorrente – appellante, avendo per giunta, ancorchè sinteticamente ma anche significativamente, la Corte capitolina espresso la propria convinzione circa il superamento della necessità di esaminare ulteriori ed assorbite questioni, evidentemente poste soprattutto dall’appellante, perciò chiaramente considerate irrilevanti e/o superflue, ovviamente riconducibili alle doglianze fattuali, di cui parte ricorrente lamenta invece l’omesso esame, peraltro senza nemmeno riprodurre, però in violazione di quanto prescritto a pena d’inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., comma 1, in part. nn. 3 e 6, i motivi posti a sostegno del gravame a suo tempo interposto (neanche sono state compiutamente sintetizzate le argomentazioni svolte con la pronuncia di primo grado, cui pure la sentenza d’appello ha inteso riferirsi, condividendole – cfr. invece sul punto Cass. Sez. un. civ. n. 7074 del 20/03/2017: ove la sentenza di appello sia motivata “per relationem” alla pronuncia di primo grado, al fine ritenere assolto l’onere ex art. 366 c.p.c., n. 6, occorre che la censura identifichi il tenore della motivazione del primo giudice specificamente condivisa dal giudice di appello, nonchè le critiche ad essa mosse con l’atto di gravame, che è necessario individuare per evidenziare che, con la resa motivazione, il giudice di secondo grado ha, in realtà, eluso i suoi doveri motivazionali. Cfr., inoltre, Cass. VI civ. – 3 n. 1926 del 03/02/2015: per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito. Il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della Controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa. Conformi Cass. n. 7825 del 2006, nonchè I civ. n. 19018 del 31/07/2017);

inoltre, non appaiono censurabili le argomentazioni svolte dai giudici di merito circa i pretesi errori d’interpretazione loro ascritti, ivi compresa la denunciata violazione del criterio letterale, atteso, in particolare, che la volontà delle parti contraenti non poteva desumersi dal solo testo della seconda missiva, come invece pretende parte ricorrente, ma anche dalla prima, cui la successiva faceva pure espresso riferimento (cfr. tra le altre Cass. I civ. n. 4176 del 22/02/2007, secondo cui ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto; il rilievo da assegnare alla formulazione letterale dev’essere verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale, e le singole clausole vanno considerate in correlazione tra loro, dovendo procedersi al loro coordinamento a norma dell’art. 1363 c.c., e dovendosi intendere per “senso letterale delle parole” tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato. Conforme Cass. n. 28479 del 2005. V. altresì Cass. lav. n. 4670 del 26/02/2009: in tema di interpretazione del contratto – che costituisce operazione riservata al giudice di merito, le cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizio di motivazione – ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, il cui rilievo dev’essere verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale, sicchè le singole clausole vanno considerate in correlazione tra loro, dovendo procedersi al loro coordinamento a norma dell’art. 1363 c.c. e dovendosi intendere per “senso letterale delle parole” tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato. V. ancora Cass. I civ. n. 9755 del 4/5/2011: nell’interpretazione dei contratti, l’art. 1363 c.c. impone di procedere al coordinamento delle varie clausole e di interpretarle complessivamente le une a mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso risultante dall’intero negozio; pertanto, la violazione del principio di interpretazione complessiva delle clausole contrattuali si configura non soltanto nell’ipotesi della loro omessa disamina, ma anche quando il giudice utilizza esclusivamente frammenti letterali della clausola da interpretare e ne fissa definitivamente il significato sulla base della sola lettura di questi, per poi esaminare “ex post” le altre clausole, onde ricondurle ad armonia con il senso dato aprioristicamente alla parte letterale, oppure espungerle ove con esso risultino inconciliabili. In senso analogo, Cass. nn. 1257 del 1983, 16022 del 2002, 6233 del 2004, 8876 del 2006, 3685 del 2010);

pertanto, esaminando, congiuntamente e complessivamente, il testo delle due missive di Alenia in data 28 maggio 2004, n. 075 (Con riferimento alla sua richiesta del 26 maggio u.s., Le comunichiamo che a decorrere dal 1 giugno 2004, data di assunzione presso EUROFIGHTER, e per tutta la durata dell’incarico Ella è posta in aspettativa.

Il suo rapporto di impiego per la pertanto sospeso ai sensi e per gli effetti del vigente c.c.n.l. e della continuerà a ricevere la copertura assicurativa prevista dall’accordo sindacale del 28 luglio 1993.

Fermo restando che il trattamento al lei riservato durante il periodo di aspettativa sarà dettagliato nelle Side Letters di Alenia Aeronautica… Resta inteso che eventuali mansioni superiori da ella esplicata presso Eurofighter non costituiranno titolo per ottenere, rientro in Alenia, analogo inquadramento ed analogo trattamento economico, stante la totale indipendenza dei due rapporti.

Al suo rientro e la vera inserito presso la sede di ***** per ricoprire un incarico equivalente a quello espletato sino a che non è stato posto in regime di aspettativa….

Ella riceverà, al rientro in Alenia aeronautica S.p.A., ogni miglioramento contrattuale eventualmente intervenuto nel periodo di aspettativa e la sua retribuzione prevedrà anche gli aumenti di anzianità che, nel periodo di assenza per aspettativa, avrebbe maturato.

La società potrà in accordo con la società Eurofighter interrompere a suo insindacabile giudizio, in qualsiasi momento l’aspettativa prima della scadenza e farla rientrare in Italia, oltre che per motivi tecnico organizzativi anche nei casi previsti dalle legai e dal c.c.n.l.. A sua volta, e la potrà domandare l’anticipato rientro in Italia per i seguenti motivi: cattive condizioni di salute obiettivamente comprovate – gravissimi motivi familiari riconosciuti dalla società che richiedano la sua permanenza in Italia – dimissioni dalla società e conseguente risoluzione del rapporto di lavoro)- e n. 078 (Facendo seguito alla nostra pari data, e solo per venire incontro specifiche sue richieste in tal senso formulate, la scrivente società Le riconoscerà i seguenti trattamenti: 1. Biglietti aerei.. 2. Trasloco di rientro”.

3. Rientro.

Alenia Aeronautica S.p.A. le consentirà, trascorsi 24 mesi dall’inizio del periodo di aspettativa, di rientrare in servizio e di riprendere il rapporto di lavoro con la stessa, laddove Ella lo richieda. In tale ipotesi e nei casi in cui, in qualsiasi momento, il Suo rientro in Italia dipenda da decisioni unilaterali prese da Alenia Aeronautica S.p.A. e/o da Eurofighter Gmbh e da motivi derivanti da cause di forza maggiore indipendenti dalla sua volontà e laddove lo stesso rientro non sia accaduto per sua responsabilità, Alenia Aeronautica S.p.a. le riconoscerà una U.T. di Euro 530.800=…”), non è possibile ravvisare alcun evidente errore d’interpretazione, da parte dei giudici di merito, che hanno ritenuto il diritto all’una tantum nel solo caso in cui, ancor prima della scadenza fissata in ragione di 24 mesi, il rientro in sevizio presso Alenia sarebbe dipeso da unilaterali determinazioni aziendali, ovvero da gravi motivi di forza maggiore;

tale interpretazione, d’altro canto, sembra conforme alla mera esigenza di una integrazione / precisazione di quanto stabilito con la prima scrittura, la quale del resto già disciplinava compiutamente, sotto il profilo normativo d’inquadramento e retributivo, l’ipotesi del rientro dall’aspettativa, la cui durata minima, tuttavia, non risultava inizialmente individuata, nè nella richiesta di cui alla lettera dell’ing. R. in data 26 maggio, nè nella missiva 075 di ALENIA in data 28-05-04, sicchè soltanto con la nota n. 078, dello stesso 28 maggio, parte datoriale, oltre a precisare quanto dovuto al dipendente per biglietti arei e per trasloco dalla ***** in Italia (il cui rimborso veniva ivi comunque preventivamente garantito, in via alternativa al costo da documentare, forfettariamente in ragione di almeno 5200,00 Euro), chiariva che sarebbe stato consentito il rientro in sevizio presso essa società trascorso il periodo di almeno 24 mesi, durata in precedenza non quantificata, a richiesta del diretto interessato. Quindi, in tale ipotesi, cioè, in caso di rientro, e in qualsiasi momento (perciò anche prima dei 24 mesi) parte datoriale, concorrendo le altre condizioni ivi previste in relazione ad accadimenti del tutto indipendenti dalla volontà del R. ovvero da sue eventuali responsabilità, ALENIA avrebbe riconosciuto l’una tantum di 530.800,00 Euro. Del resto, proprio la previsione di tali avvenimenti, di rientro non ascrivibili a volontà o a responsabilità del dipendente, si pone quale condizione sospensiva, cui risulta subordinata l’una tantum, però ragionevolmente poco compatibile con la mera condizione potestativa, in effetti propugnata da parte ricorrente, secondo cui il considerevole importo di ben 530.800,00 Euro sarebbe stato dovuto non appena egli, una volta trascorso il periodo minimo di 24 mesi, avrebbe chiesto di rientrare, tesi che tuttavia non appare confacente al testo dei suindicati scritti ed al loro significato globale, tanto più poi che parte attrice nemmeno risulta aver debitamente provato, con le dovute chiarezza e precisione (non emergenti dalle menzionate testimonianze), il contenuto delle “specifiche richieste”, cui veniva dato esplicito riscontro con la citata missiva d’integrazione n. 078, venendo loro incontro, dalle quali soltanto sarebbe stato forse possibile, una volta ben comprese le stesse (e non le sole generiche trattative, che verosimilmente pure precedettero la collocazione in aspettativa in oggetto), desumere in concreto quanto prospettato da parte ricorrente circa l’una tantum quale premio o corrispettivo per la disposta missione all’estero dell’ing. R.;

d’altro canto, la complessiva lettura, nei sensi di cui alla richiamata giurisprudenza di legittimità, della suddetta documentazione non appare di certo implausibile sotto il contestuale profilo letterale e logico, visto che la costruzione della clausola sub. 3 della missiva n. 078 è composta da due periodi: il primo relativo essenzialmente alla fissazione del periodo minimo di aspettativa, non quantificato invece nella precedente lettera 075, una volta trascorso il quale il dipendente avrebbe potuto esercitare a sua insindacabile richiesta il diritto di rientrare e riprendere il rapporto con Alenia; il secondo, per contro, il cui il riconoscimento del diritto all’una tantum appare piuttosto connesso, indipendentemente dal tempo trascorso, al verificarsi della sola ipotesi del rientro per motivi e ragioni di carattere aziendale, unilateralmente ritenuti da parte datoriale, dovendosi in proposito ancora evidenziare le congiunzioni “e”, più volte adoperate nel secondo periodo, mentre, diversamente opinando, nel senso prospettato da parte ricorrente, sarebbe stato necessario usare la disgiunzione la parola o / ovvero / oppure, per meglio significare, chiaramente, che il diritto ai 530.800,00 Euro spettava comunque al dipendente una volta esercitata l’opzione di rientro all’esito dei 24 mesi, a prescindere quindi dai casi di decisioni unilaterali e di forza maggiore, nonchè indipendentemente da fattori di tempo;

invero, poi, in sede di ricorso per cassazione per quanto concerne l’interpretazione dei contratti le censure non possono risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione propugnata dal ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poichè quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile, ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. III civ. n. 28319 del 28/11/2017. Conforme, Cass. I civ. n. 16987 del 27/06/2018. In senso analogo Cass. III civ. n. 24539 del 20/11/2009, n. 16254 del 25/09/2012, I civ. n. 6125 del 17/03/2014. V. parimenti Cass. I civ. n. 27136 del 15/11/2017, id. n. 15471 del 22/06/2017. Similmente, cfr. ancora Cass. I civ. n. 10131 del 02/05/2006: la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica esige una specifica indicazione dei canoni in concreto inosservati e del modo attraverso il quale si è realizzata la violazione, mentre la denunzia del vizio di motivazione implica la puntualizzazione dell’obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento svolto dal giudice del merito; nessuna delle due censure può, invece, risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione. D’altronde, per sottrarsi al sindacato di legittimità, sotto entrambi i cennati profili, quella data dal giudice al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni plausibili, non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra. In senso pressochè conforme v. anche Cass. III civ. n. 11193 del 17/07/2003);

pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del soccombente al rimborso delle relative spese, ricorrendo, inoltre, le condizioni di legge per il versamento dell’ulteriore contributo unificato, atteso l’esito del tutto negativo della proposta impugnazione.

P.Q.M.

la Corte RIGETTA il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle relative spese, che liquida a favore della società controricorrente in complessivi Euro =6500,00= per compensi professionali ed in Euro =200,00= per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2019

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