LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21573/2018 proposto da:
FIERA ROMA S.R.L. in CONCORDATO PREVENTIVO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE TRE MADONNE 8, presso lo studio degli avvocati DOMENICO DE FEO e MARCO MARAZZA, che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
L.S.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PASQUALE STANISLAO MANCINI 2, presso lo studio dell’avvocato PIETRO CICERCHIA, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1998/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 15/05/2018 R.G.N. 2078/2017.
Il P.M., ha depositato conclusioni scritte.
RILEVATO
1. che la Corte di appello di Roma, assorbito il reclamo incidentale subordinato di L.S.F., ha respinto il reclamo di Fiera di Roma s.r.l. in concordato preventivo avverso la sentenza con la quale il giudice dell’opposizione aveva confermato la statuizione adottata in sede sommaria di illegittimità del licenziamento intimato a L.S.F. nell’ambito della procedura collettiva ex lege n. 223 del 1991, e condannato la società datrice di lavoro alla reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro, al pagamento di dieci mensilità della retribuzione globale di fatto ed al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dal giorno del licenziamento fino alla effettiva reintegra;
1.1. che la conferma della illegittimità del licenziamento è stata fondata, in dichiarata adesione alla giurisprudenza di questa Corte, nella ingiustificata limitazione della platea dei lavoratori da licenziare a quelli che, come la L., erano addetti all’Ufficio Comunicazioni; parte datoriale non aveva, infatti, assolto all’onere, sulla stessa gravante, di allegazione e prova di specifiche ragioni giustificative della limitazione solo ai dipendenti addetti a determinati settori della scelta dei lavoratori da licenziare; dalla istruttoria espletata si evinceva, anzi, la prova della fungibilità delle mansioni degli addetti all’Ufficio Comunicazioni con quelle degli addetti alla Segreteria commerciale e, prima ancora, la prova della mancata soppressione dell’Ufficio in questione così come della fungibilità della qualificazione professionale della L.; era, inoltre, emerso che la società aveva, proceduto al licenziamento di solo due delle tre addette all’Ufficio in oggetto escludendo dalla comparazione, in quanto distaccata presso altra società,la dipendente G.F.;
2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Fiera di Roma s.r.l. in concordato preventivo sulla base di due motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso;
3. che il PG ha depositato requisitoria scritta con la quale ha concluso per il rigetto del ricorso;
4. che entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380- bis.1. c.p.c..
CONSIDERATO
1. che con il primo motivo parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “omesso esame di punti decisivi della controversia ed erronea dichiarazione di tardività delle allegazioni”; deduce, inoltre, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c.;
1.1. che le censure sono illustrate congiuntamente. In particolare parte ricorrente, premesso che sulla lavoratrice gravava l’onere di puntuale allegazione e prova non solo della esistenza dei profili professionali in relazione ai quali la comparazione sarebbe stata illegittimamente omessa ma anche degli elementi di fatto idonei a consentire la valutazione della legittimità dell’omessa comparazione, osservato che controparte aveva formulato a riguardo solo allegazioni generiche, censura la sentenza impugnata per avere, in violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., ritenuto probanti tali – generiche – allegazioni. Assume, quindi, essere palese che il profilo professionale della L. non le consentiva alcuna adeguata ricollocazione in altre aree aziendali; in questa prospettiva sostiene che “dagli atti di causa” si evinceva, comunque, la inadeguatezza della L. allo svolgimento delle mansioni rivendicate;
2. che con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa interpretazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, commi 4 e 5, L. n. 223 del 1991, art. 5, alla luce della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9. Parte ricorrente assume il contrasto della sentenza impugnata con la giurisprudenza di legittimità che consente la limitazione della platea dei lavoratori da licenziare ad uno specifico reparto ed evidenzia essere inconfutabile, oltre che provato a livello documentale, che Fiera di Roma s.r.l. era stata costretta ad attuare un progetto di riduzione del personale di specifici settori dell’azienda al fine di ridurre i costi di gestione. Richiama la comunicazione di apertura della procedura di mobilità e sostiene la conformità alla stessa della scelta datoriale di limitare solo ad alcuni ambiti la platea dei lavoratori tra i quali operare il licenziamento. Censura la sentenza impugnata per non avere ritenuto allegati i motivi alla base di tale scelta;
3. che il primo motivo di ricorso è inammissibile per plurimi profili. Innanzitutto le censure di vizio di motivazione e violazione di legge sono articolate con modalità tali da determinare una mescolanza e sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei che non consente di distinguere gli errori di diritto e l’errore attinente alla ricostruzione della fattispecie concreta sulla base delle risultanze di causa, in tesi ascritti alla sentenza impugnata (Cass. n. 26874 del 2018, Cass. n. 19443 del 2011). In secondo luogo, posto che la decisione è frutto del concreto accertamento del giudice del merito il quale, sulla base delle risultanze in atti, ha ritenuto non giustificata la limitazione della platea dei lavoratori da licenziare all’ambito dell’Ufficio comunicazione al quale era addetta la L., ulteriormente evidenziando la fungibilità delle relative competenze professionali con quelle presenti in altri uffici, non appare neppure astrattamente configurabile la prospettata violazione dell’art. 2697 c.c., che può porsi nelle sole fattispecie in cui il giudice del merito, in applicazione della regola di giudizio basata sull’onere della prova, abbia individuato erroneamente la parte onerata. In terzo luogo, la ulteriore doglianza con la quale si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., è inidonea alla valida censura della decisione avendo questa Corte chiarito che in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo ha posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. 1229 del 2019, Cass. 27000 del 2016), questioni neppure prospettate dalla odierna ricorrente; le critiche alla sentenza impugnata, in quanto incentrate sulla valutazione del materiale probatorio, risultano intrinsecamente inidonee alla valida censura della decisione, posto che l’accertamento di fatto alla base del decisum poteva essere incrinato, in conformità dell’attuale configurazione del vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo dalla deduzione di omesso esame di un fatto storico decisivo, oggetto di discussione tra le parti evocato nei rigorosi termini chiariti da Cass. Sez. Un. 8053 del 2014, fatto neppure formalmente prospettato dall’odierna ricorrente;
4. che il secondo motivo di ricorso è inammissibile. In primo luogo, esso muove dall’assunto, in contrasto con l’accertamento non validamente censurato – del giudice di appello, della infungibilità del bagaglio professionale della lavoratrice. In secondo luogo, il motivo non contrasta specificamente il principio di diritto affermato dalla sentenza impugnata, coerente con la giurisprudenza di legittimità secondo la quale in caso di licenziamento collettivo per riduzione del personale l’applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità può essere ristretta in ambito più limitato rispetto al “complesso aziendale” cui fa riferimento la L. n. 223 del 1991, art. 5, ma ciò può avvenire non in base ad una determinazione unilaterale del datore di lavoro bensì esclusivamente se la predeterminazione del campo di selezione (reparto, stabilimento ecc, e/o singole lavorazioni o settori produttivi) sia giustificata dalle esigenze tecnico-produttive e organizzative che hanno dato luogo alla riduzione del personale (Cass. n. 203 del 2015, Cass. n. 22825 del 2009, Cass. n. 8474 del 2005).
4.1. che tanto è sufficiente a determinare l’inammissibilità del ricorso con effetto di assorbimento anche della eccezione di giudicato in punto di fungibilità del bagaglio professionale della L. sviluppate nel controricorso v. controricorso, pag. 13);
5. che alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue il regolamento delle spese di lite secondo soccombenza;
6. che sussistono i presupposti per l’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 30 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2019
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