LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
Dott. LORITO Matilde – Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –
Dott. DE MARINI Nicola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 8488-2018 proposto da:
T.P.L., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO TRIESTE 37, presso lo studio dell’avvocato SABATINO VACCARELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato ITALO FAIETTI;
– ricorrente –
contro
CERAMICHE SPERANZA S.P.A., già EMILCERAMICA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 18, presso lo studio dell’avvocato EUGENIO PELOSI, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 872/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 05/01/2018 R.G.N. 754/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/06/2019 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELENTANO CARMELO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato ITALO FAIETTI.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 872 depositata il 5.1.2018 la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Modena, ha dichiarato legittimo il licenziamento intimato in data 12.10.2007 a T.P.L., dirigente della società Ceramiche Speranza s.p.a. (già Emilceramica s.p.a.) con funzioni di Direttore commerciale del marchio di ceramiche Ergon, con conseguente rigetto della domanda di pagamento dell’indennità supplementare di cui all’art. 19 del contratto collettivo dirigenti aziende industriali.
2. La Corte, per quel che interessa, ha ritenuto acquisita la prova dell’effettiva soppressione della posizione lavorativa del T. e dell’assunzione, da parte del Dott. O., delle funzioni di Direttore commerciale di tutti i marchi facenti capo alla società, con conseguente ricorrenza del requisito di giustificatezza del licenziamento del dirigente.
3. Per la cassazione della sentenza il T. ha proposto ricorso affidato a due motivi. La società ha resistito con controricorso. Le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, ex art. 360 c.p.c., n. 5, avendo, la Corte distrettuale, ignorato la nomina, nel 2005, del Dott. O. a Direttore generale commerciale della società, in posizione sovraordinata rispetto ai direttori di marchio nonchè l’incontro tenuto nel mese di luglio 2008 (di cui alla deposizione del teste B.); invero, la nomina del Dott. O. in qualità di Direttore generale di tutti i marchi risale a fine anno 2005 (ben due anni prima del licenziamento del T.) e ciò ha comportato il travisamento della deposizione del teste F.; la riunione a cui partecipò il teste B. si svolse non già nell’isola greca di ***** in occasione di una convention commerciale bensì in sede diversa. Ciò ha determinato una motivazione contraddittoria, illogica e contraria ad elementari criteri logici ed ermeneutici della sentenza impugnata tali da provocarne, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., la nullità.
2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione falsa applicazione dell’art. 22 del contratto collettivo nazionale dirigenti di Industria, ex art. 360 c.p.c., n. 3, avendo, i giudici di merito, trascurato di considerare le ulteriori doglianze sollevate in primo grado e non esaminate in appello concernenti la necessità, per previsione della clausola contrattuale, che la lettera di licenziamento contenga, contestualmente, la specificazione dei motivi della recesso.
3. Il primo motivo è inammissibile.
Va rammentato che l’accertamento in fatto del momento in cui il Dott. O. assunse il ruolo di Direttore generale della struttura commerciale è riservato al giudice del merito ed è censurabile in sede di legittimità nei limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile alla fattispecie nel testo riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 (cfr. Cass. nn. 19183 e 17034 del 2016).
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che la disposizione sopra richiamata ha introdotto “nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.” (Cass. S.U. 7.4.2014 n. 8053).
In particolare, costituisce un “fatto”, agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. Sez. 1, n. 7983 del 2014; Cass. Sez. 1, n. 17761 del 2016; Cass. Sez. 5, n. 29883 del 2017; Cass. Sez. 5, n. 21152 del 2014; Cass. Sez. U., n. 5745 del 2015; Cass. Sez. 1, n. 5133 del 2014).
Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. Sez. 2, n. 14802 del 2017: Cass. Sez. 5, n. 21152 del 2014); gli elementi istruttori; una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (Cass. Sez. L, n. 21439 del 2015).
Ebbene, la Corte di merito ha esaminato il fatto che il ricorrente ritiene omesso ed ha ritenuto che “La valutazione integrata di tali emergenze probatorie (deposizioni dei testi F., Ta., Fr.) induce a ritenere positivamente acquisita la prova in ordine all’effettività della soppressione della posizione lavorativa del sig. T. e dell’assunzione da parte del sig. O. delle funzioni di Direttore commerciale di tutti i marchi facenti capo ad Emilceramica s.p.a., ivi compreso il marchio Ergon relativamente al quale il sig. T. svolgeva mansioni di Direttore commerciale.
Il ricorrente, inoltre, non ha illustrato il carattere decisivo del fatto, posto che la Corte distrettuale ha correttamente premesso che “le risultanze istruttorie devono essere valutate alla luce del concetto di giustificatezza applicabile al recesso datoriale nel rapporto di lavoro con i dirigenti”, considerato il consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità che distingue la nozione contrattuale di giustificatezza da quella di giustificato motivo L. n. 604 del 1966, ex art. 3, e di giusta causa ex art. 2119 c.c., trovando la sua ragione d’essere, da un lato, nel rapporto fiduciario che lega il dirigente al datore di lavoro in virtù delle mansioni affidate, dall’altro, nello stesso sviluppo delle strategie di impresa che rendano nel tempo non pienamente adeguata la concreta posizione assegnata al dirigente nella articolazione della struttura direttiva dell’azienda (cfr. Cass. n. 12668 del 2016 citata dalla sentenza impugnata e nello stesso senso Cass. n. 27199 e n. 23894 del 2018).
4. Il secondo motivo è inammissibile.
Della questione non vi è traccia nella sentenza impugnata, nè il ricorrente indica in alcun modo se, con quale atto e in che termini la questione stessa sia stata eventualmente riproposta in grado di appello.
In tema questa Corte ha ripetutamente affermato che “nel giudizio di cassazione è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito, a meno che tali questioni o temi non abbiano formato oggetto di gravame o di tempestiva e rituale contestazione nel giudizio di appello” (cfr. Cass. n. 9812 del 2002, Cass. n. 13819 del 1999). Nel contempo è stato anche precisato che “nel caso in cui una determinata questione giuridica, che implichi un accertamento di fatto, non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, alfine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, indicando altresì in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, così da permettere alla Corte di Cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa” (v. Cass. n. 12571 del 2013; Cass. n. 1435 del 2013; Cass. n. 20518 del 2008; Cass. n. 2331 del 2003, Cass. n. 9336 del 2001).
Peraltro per superare la presunzione di rinuncia e, quindi, la decadenza ex art. 346 c.p.c., è necessario che “la parte vittoriosa in primo grado, che abbia però visto respingere taluna delle sue tesi od eccezioni, ovvero taluni dei suoi sistemi difensivi” manifesti “in maniera esplicita e precisa la propria volontà di riproporre la domanda o le eccezioni respinte” (v. fra le altre Cass. n. 14267 del 1999, Cass. n. 13401 del 2004).
Orbene nel caso in esame il ricorrente lamenta in questa sede il mancato esame della genericità della motivazione recata nella lettera di licenziamento, in violazione dell’art. 22 del contratto collettivo dirigenti di Industria, rilevando semplicemente che il giudice di primo grado ha omesso “di prendere in considerazione ulteriori doglianze poste dal ricorrente a fondamento dell’impugnazione, ma non esaminate nemmeno in appello”, ma nulla specifica (nè trascrive) in ordine alla proposizione della questione nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado nè ad una chiara e precisa riproposizione della relativa questione in appello.
5. In conclusione, il ricorso è inammissibile e le spese di lite sono regolate secondo il principio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.
6. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2019