LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –
Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 20109/2014 proposto da:
AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI PALERMO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE SANTO 2, presso lo studio dell’avvocato FULVIO ROMEO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIORGIO LI VIGNI;
– ricorrente –
contro
R.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F. CARRACCIOLO, 6, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO CURATOLA, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIO RISPOLI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1774/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 30/07/2013 r.g.n. 1859/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/07/2019 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
udito l’Avvocato FULVIO ROMEO.
FATTI DI CAUSA
1. La sentenza attualmente impugnata (depositata il 30 luglio 2013) conferma la sentenza del Tribunale di Palermo n. 2199/2011 che ha dichiarato improponibile, per tardività, l’opposizione proposta dall’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo avverso il decreto con il quale le era stato ingiunto di pagare a R.M. la complessiva somma di Euro 6.979,54 a titolo di compenso per la remunerazione delle quote accessorie integrative del D.A. n. 2484 del 2004, ex art. 17.
La Corte d’appello di Palermo, per quel che qui interessa, precisa che:
a) l’appellante denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 415 c.p.c., sostenendo che il primo Giudice, al fine del computo del termine per l’opposizione al provvedimento monitorio, avrebbe erroneamente tenuto conto soltanto della data di deposito dell’atto di opposizione in cancelleria, successiva al termine prescritto, invece di considerare quella della tempestiva accettazione della spedizione dell’atto da parte dell’Ufficio postale, sostenendo che tale mezzo sarebbe stato ritenuto legittimo e rituale da Cass. SU n. 5160 del 2009 e dalla Corte costituzionale per le opposizioni ad ordinanze-ingiunzioni;
b) l’Azienda appellante ha anche dedotto che l’interpretazione contestata porrebbe problemi di compatibilità con l’art. 3 Cost., per incoerenza del sistema e illegittima disparità di trattamento tra ipotesi simili;
c) in realtà la sentenza delle Sezioni Unite richiamata ha affermato il principio – opposto a quello sostenuto dall’appellante – secondo cui l’invio a mezzo posta dell’atto processuale destinato alla cancelleria – al di fuori delle ipotesi speciali relative al giudizio di cassazione, al giudizio tributario ed a quello di opposizione ad ordinanza ingiunzione – realizza un deposito dell’atto irrituale, in quanto non previsto dalla legge;
d) tale indirizzo deve essere qui seguito, condividendosene le argomentazioni;
e) questo rende evidente l’infondatezza dell’appello e la superfluità di ogni ulteriore considerazione sulla prospettata questione di legittimità costituzionale.
2. Il ricorso dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo domanda la cassazione della sentenza per un unico motivo; resiste, con controricorso, R.M..
Entrambe le parti depositano anche memorie ex art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
I – Sintesi delle censure.
1. Con l’unico motivo di ricorso l’ASP denuncia: a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione di numerose disposizioni di legge; b) disparità di trattamento ex art. 3 Cost., rispetto all’opposizione ad ordinanza-ingiunzione, al rito tributario e alla notificazione a mezzo posta effettuata dagli avvocati in proprio ex L. n. 53 del 1994, sostenendosi che Cass. SU n. 5160 del 2009 ha riconosciuto la piena validità del deposito degli atti in cancelleria a mezzo posta e che comunque non considerare tale modalità rituale nella specie porrebbe problemi di costituzionalità per disparità di trattamento rispetto a quanto accade in altri procedimenti.
II – Esame delle censure.
2. Il ricorso deve essere respinto, in quanto la sentenza impugnata risulta conforme al costante orientamento di questa Corte – assurto al rango di “diritto vivente” – in base al quale:
a) l’invio a mezzo posta dell’atto processuale destinato alla cancelleria realizza – al di fuori delle ipotesi speciali relative al giudizio di cassazione, al giudizio tributario ed a quello di opposizione ad ordinanza ingiunzione – un deposito dell’atto irrituale, in quanto non previsto dalla legge, ma che riguarda un’attività materiale priva di requisito volitivo autonomo la quale non deve essere necessariamente compiuta dal difensore, potendo essere realizzata anche un “nuncius”, il che può essere comunque idoneo al raggiungimento dello scopo, con conseguente sanatoria del vizio ex art. 156 c.p.c., comma 3, salvo restando che, in tal caso, detta sanatoria opera con decorrenza dalla data di ricezione dell’atto da parte del cancelliere e non da quella di spedizione (vedi, per tutte: Cass. SU 4 marzo 2009, n. 5160; Cass. 17 gennaio 2017, n. 1027;
b) rispetto al suddetto principio sono possibili degli adattamenti in caso di deposito per via telematica, anzichè con modalità cartacee, dell’atto introduttivo del giudizio, ivi compreso l’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo (Cass. 12 maggio 2016, n. 9772; Cass. 23 gennaio 2019, n. 1717; Cass. 4 novembre 2016, n. 22479).
3. Premesso che, nella specie non vengono in considerazione le problematiche relative al deposito per via telematica – cui si è fatto cenno solo perchè, indirettamente, confermano il carattere generale del principio qui applicato – il Collegio condivide il principio richiamato sub a) e, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., si riporta alle motivazioni delle sentenze ivi menzionate, sottolineando che, come già osservato dalla Corte territoriale, la ricorrente attribuisce alla richiamata sentenza delle Sezioni Unite n. 5160 del 2009 un significato opposto a quello suo proprio.
Infatti, le Sezioni Unite, lungi dall’affermare la piena validità in linea generale del deposito degli atti in cancelleria a mezzo posta, hanno motivatamente precisato che tale modalità è – eccezionalmente – ammissibile solo per il giudizio di cassazione, il giudizio tributario e quello di opposizione ad ordinanza ingiunzione.
Alla suddetta modalità non può quindi ricorrersi per l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo – ipotesi di cui qui si discute – e non sembra possa ipotizzarsi al riguardo una violazione dell’art. 3 Cost., data l’ampia discrezionalità tradizionalmente riconosciuta al legislatore dalla Corte costituzionale nella conformazione degli istituti processuali, salvo il limite della palese irragionevolezza che sembra non essere superato nella specie, date le peculiarità dei diversi tipi di procedimento di cui si discute.
In ogni caso, la sollecitazione della ricorrente a sollevare una questione di legittimità costituzionale al riguardo non può essere accolta per l’assorbente ragione che una simile questione risulterebbe priva del fondamentale requisito della rilevanza, che ne richiede la connessione con la decisione di questioni sostanziali o processuali che siano state ritualmente dedotte nel processo (in senso conforme vedi, tra le altre: Cass. 18 febbraio 1999 n. 1358; Cass. 22 aprile 1999, n. 3990; Cass. 29 ottobre 2003, n. 16245; Cass. 16 aprile 2018, n. 9284; Cass. 24 febbraio 2014, n. 4406).
Invero, essendo il presente ricorso da respingere è evidente la carenza di tale requisito, non essendovi ulteriori questioni sostanziali o processuali da decidere.
III – Conclusioni.
4. In sintesi, il ricorso deve essere respinto.
5. Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza.
6. Si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Azienda ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, Euro 5500,00 (cinquemilacinquecento/00) per compensi professionali, oltre spese forfetarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 3 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2019