LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8997-2018 proposto da:
ILMR SRL, elettivamente domiciliata in Roma, Via Valadier, 43, presso lo studio dell’avvocato Egidio Lizza, rappresentata e difesa dall’avvocato Rosetta Belmonte;
– ricorrente –
contro
Ministero Economia Finanze *****;
– intimato –
avverso il decreto della Corte d’appello di Perugia, depositato il 09/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/05/2019 dal Consigliere Annamaria Casadonte.
RILEVATO
che:
– la società ricorrente chiede la cassazione del decreto della Corte d’appello di Perugia (meglio indicato in epigrafe) che aveva respinto la sua domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001;
– la ricorrente espone di avere con ricorso presso il TAR depositato in data 04.03.2005 impugnato un procedimento di revoca di un contributo e che il giudizio amministrativo era ancora pendente alla data della proposizione del ricorso presso la Corte d’appello (06.09.2012);
-in considerazione del passaggio di oltre sette anni, dal deposito del ricorso introduttivo il ricorrente aveva adito la Corte d’appello di Perugia chiedendo l’equa riparazione prevista dalla L. n. 89 del 2001;
– con decreto pubblicato in data 09.01.2018 la corte distrettuale respingeva il ricorso per equa riparazione argomentando che il ricorrente aveva mancato di presentare l’istanza di prelievo nel giudizio presupposto;
– la cassazione del suddetto decreto è chiesta con tempestivo ricorso affidato a quattro motivi ed illustrato da memoria;
– il Ministero intimato non ha svolto attività difensiva.
CONSIDERATO
che:
– col primo motivo d’impugnazione la ricorrente afferma che la Corte d’appello avrebbe male interpretato la disposizione di cui al D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, convertito dalla L. n. 133 del 2008 e successive modificazioni;
– l’errore di giudizio della Corte d’appello starebbe nel non aver considerato come equivalente all’istanza di prelievo la domanda di fissazione di udienza che la ricorrente aveva depositato ai sensi del dettato della R.D. 17 agosto 1907, n. 642;
– tale domanda dimostrerebbe l’interesse della ricorrente ad una rapida soluzione della controversia e sortirebbe gli stessi effetti dell’istanza di prelievo in quanto essa non è un reale mezzo acceleratorio del giudizio, essendo subordinata alla mera facoltà del giudice;
– a sostegno di tale interpretazione vengono richiamate l’ordinanza N. 26221 del 3 novembre 2017 di questa Suprema Corte e le sentenze CEDU in questa richiamate: Daddi c. Italia e Olivieri C. Italia;
– col secondo motivo si denuncia che la corte territoriale avrebbe omesso di pronunciarsi sulla questione di diritto sollevata dalik. ricorrente che chiedeva un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 54;
– col terzo motivo la ricorrente richiama l’orientamento della Corte costituzionale secondo il quale le decisioni della Corte EDU non sono direttamente applicabili nel nostro ordinamento, ma devono comunque portare il giudice, che rilevi un possibile contrasto, a cercare l’interpretazione della norma interna che sia il più possibile compatibile con il diritto internazionale (sentenze 348 e 349 del 2007);
– col quarto motivo di ricorso si solleva questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, convertito con modificazioni dalla 6.08.2008 n. 133 e successive modificazioni;
– la ricorrente richiama la questione di costituzionalità sul contrasto di tale norma all’art. 117 Cost., già considerata rilevante e non manifestamente infondata da questa Corte;
– inoltre deduce che vi sarebbe incostituzionalità anche rispetto all’art. 3 Cost. perchè la norma contestata produrrebbe un ingiusta disparità di trattamento tra le domande di equa riparazione scrutinate prima e dopo il 25 giugno 2008;
– i motivi di ricorso attengono allo stesso oggetto e possono essere esaminati congiuntamente e meritano accoglimento;
– questa Corte con ordinanza interlocutoria n. 27923/2017, relativa al ricorso 5086-2015 proposto da M.G. contro il Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, convertito con modificazioni in L. n. 133 del 2008, come modificato dall’Allegato 4 al D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 3, comma 23 e dal D.Lgs. n. correttivo n. 195 del 2011, art. 1,comma 3, lett. a), n. 6), in relazione all’art. 117 Cost., comma 1, e ai parametri interposti degli artt. 6, par. 1, 13 e 46, par. 1 CEDU;
– occorre dare atto che nelle more del presente giudizio è intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale n. 34 del 6 marzo 2019, che ha dichiarato incostituzionale il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 e successive modifiche, qui rilevante, trattandosi nella specie di procedimento per il quale non risulta applicabile la previsione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1 come novellato dalla L. n. 208 del 2015 (attesa la specifica norma transitoria di cui alla stessa L. n. 89 del 2001, art. 6, comma 2 bis atteso che il processo presupposto alla data del 31 ottobre 2016 avrebbe già superato i termini di durata ragionevole);
– la Consulta, nel richiamare la costante giurisprudenza della Corte EDU, secondo cui i rimedi preventivi, volti ad evitare che la durata del procedimento diventi eccessivamente lunga, sono ammissibili, o addirittura preferibili, eventualmente in combinazione con quelli indennitari, ma ciò solo se “effettivi” e, cioè, nella misura in cui velocizzino la decisione da parte del giudice competente (così, in particolare, Corte Europea dei diritti dell’uomo, grande Camera, sentenza 29 marzo 2006, Scordino contro Italia), ha ricordato come già con la sentenza del 2 giugno 2009, Daddi contro Italia, detta Corte, pur dichiarando il ricorso inammissibile per il mancato esperimento del rimedio giurisdizionale interno, aveva preannunciato che una prassi interpretativa ed applicativa del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, nel testo antecedente alla modifica di cui al D.Lgs. n. 104 del 2010 – che avesse avuto come effetto quello di opporsi all’ammissibilità dei ricorsi ex legge Pinto (relativi alla durata di un processo amministrativo conclusosi prima del 25 giugno 2008), per il solo fatto della mancata presentazione di un’istanza di prelievo – avrebbe privato sistematicamente alcune categorie di ricorrenti della possibilità di ottenere una riparazione adeguata e sufficiente;
– ha altresì rammentato che di recente, con la sentenza 22 febbraio 2016, Olivieri e altri contro Italia, la Corte EDU aveva affrontato il problema dell’effettività del rimedio nazionale ex lege n. 89 del 2001, soggetto alla condizione di proponibilità del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2. Ed esaminando diacronicamente tale disposizione, fino al testo scaturito dalle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 104 del 2010, aveva conclusivamente ritenuto che la procedura nazionale per lamentare la durata eccessiva di un giudizio dinanzi al giudice amministrativo, risultante dal combinato disposto della “legge Pinto” con la disposizione stessa, non potesse essere considerata un rimedio effettivo ai sensi dell’art. 13 della CEDU;
– ciò soprattutto sul rilievo che il sistema giuridico nazionale non prevede alcuna condizione volta a garantire l’esame dell’istanza di prelievo;
– per l’effetto ha ritenuto che la norma in esame si pone in contrasto con la “costante giurisprudenza della Corte EDU”, atteso che l’istanza di prelievo, cui fa riferimento il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, (prima della rimodulazione, come rimedio preventivo, operatane dalla L. n. 208 del 2015), non costituisce un adempimento necessario ma una mera facoltà del ricorrente (ex art. 71, comma 2, c.p.a., la parte “può” segnalare al giudice l’urgenza del ricorso), con effetto puramente dichiarativo di un interesse già incardinato nel processo e di mera “prenotazione della decisione” (che può comunque intervenire oltre il termine di ragionevole durata del correlativo grado di giudizio), risolvendosi in un adempimento formale, rispetto alla cui violazione la, non ragionevole e non proporzionata, sanzione di improponibilità della domanda di indennizzo risulta non in sintonia nè con l’obiettivo del contenimento della durata del processo nè con quello indennitario per il caso di sua eccessiva durata;
– la sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità della norma che subordinava la proponibilità della domanda di equo indennizzo alla necessaria presentazione dell’istanza di prelievo per contrasto con i parametri convenzionali della CEDU (art. 6 par. 1), la cui violazione comporta, appunto, per interposizione, quella dell’art. 117 Cost., comma 1, impone quindi la cassazione del decreto impugnato con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, la quale dovrà in ogni caso considerare, come ribadito dalla Consulta nella menzionata sentenza, che la mancata presentazione dell’istanza di prelievo può costituire elemento indiziante di una sopravvenuta carenza, o di non serietà, dell’interesse della parte alla decisione del ricorso, potendo quindi assumere rilievo ai fini della quantificazione dell’indennizzo ex lege n. 89 del 2001, ma non potendo viceversa condizionare la stessa proponibilità della correlativa domanda;
– al giudice del rinvio è demandata anche la liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso e cassa la decisione impugnata con rinvio anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Perugia in diversa composizione Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2019