LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25852-2015 proposto da:
T.V., elettivamente domiciliato in ROMA, V.GIULIA DI COLLOREDO 46-48, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE DE PAOLA, che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO ECONOMIA FINANZE, *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
avverso il decreto n. 519/2015 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositato il 23/03/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/ò05/2019 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE T.V. ricorre avverso il decreto della Corte d’appello di Perugia che ha respinto la domanda da lui proposta nel 2011, ai sensi della L. n. 89 del 2001, per l’equa riparazione della eccessiva durata di un giudizio da lui introdotto davanti al tribunale amministrativo regionale del Lazio negli anni ‘90 del secolo scorso, ancora pendente al di della domanda di equa riparazione (e definito dal giudice amministrativo nel 2013 con decreto di perenzione).
La corte territoriale ha disatteso la domanda dell’odierno ricorrente sul rilievo che nel giudizio amministrativo presupposto egli non aveva presentato l’istanza di prelievo di cui all’art. 71 codice del processo amministrativo (D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104), richiesta come condizione di proponibilità della domanda di equa riparazione dal D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, nel testo, in vigore dal 16.9.10, modificato dal suddetto D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 3, comma 23, dell’allegato n. 4.
Il ricorso si articola in due motivi.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze si è costituito ai soli fini della discussione orale.
Il primo motivo denuncia la violazione del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, convertito in L. 6 agosto 2008, n. 133 e modificato dal D.Lgs. n. 104 del 2010; la violazione dell’art. 6, p. 1 CEDU; la violazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2; la violazione dei principi in materia di overruling. Secondo il ricorrente, al momento della introduzione del presente giudizio per equa riparazione (anno 2011), la giurisprudenza sarebbe stata stabile nell’interpretare il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, nel senso che la condizione di proponibilità ivi contemplata era riferibile solo alle domande di equa, riparazione della durata irragionevole di giudizi amministrativi introdotti dopo l’entrata in vigore del D.L. n. 112 del 2008; cosicchè la modifica di tale orientamento in senso sfavorevole alla proponibilità della domanda di equa riparazione con riguardo a giudizi amministrativi introdotti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 112 del 2008 (nei quali non fosse stata presentata istanza di prelievo) contrasterebbe con i principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità in materia di overruling.
Il secondo motivo prospetta solleva tre diverse questioni di legittimità costituzionale.
Sotto un primo profilo si deduce la illegittimità costituzionale del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, convertito con modificazioni con la L. n. 133 del 2008, come modificato dal D.Lgs. n. 104 del 2010, in relazione all’art. 77 Cost., comma 2; la norma in questione sarebbe inserita in un testo intitolato “disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria” ma essa, oltre a risultare disomogenea rispetto alle altre del medesimo testo, sarebbe priva dei requisiti di necessità ed urgenza previsti dall’art. 77 Cost. come presupposti indefettibili della decretazione d’urgenza.
Sotto un secondo profilo si deduce la illegittimità costituzionale del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, convertito con modificazioni con la L. n. 133 del 2008, come modificato dal D.Lgs. n. 104 del 2010, in relazione al D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 71, comma 2, e alla L. n. 89 del 2001, art. 2 per contrasto con il principio di ragionevolezza fissato nell’art. 3 Cost.; ad avviso del ricorrente sarebbe irragionevole ascrivere all’istanza di prelievo il valore (caratteristico, per contro, della istanza di-fissazione d’udienza) di indice dell’interesse della parte alla decisione e, conseguentemente, sarebbe irragionevole subordinare al deposito della istanza di prelievo la possibilità di ottenere in giudizio il ristoro per la violazione del diritto ad un giudizio di durata ragionevole.
Sotto un terzo profilo si deduce la illegittimità costituzionale del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, convertito con modificazioni in L. n. 133 del 2008, come modificato dal D.Lgs. n. 104 del 2010, per contrasto con il principio di uguaglianza fissato nell’art. 3 Cost.; la norma in questione sarebbe illegittima nella parte in cui impone una condizione di procedibilità per le domande aventi ad oggetto il riconoscimento dell’equa riparazione dell’irragionevole durata del processo solo in relazione ai giudizi amministrativi.
Questa Corte con ordinanza interlocutoria n. 27922/2017 ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, convertito con modificazioni in L. n. 133 del 2008, come modificato dal D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 3, comma 23, dell’Allegato 4 in relazione all’art. 117 Cost., comma 1, e ai parametri interposti dell’art. 6, par. 1, art. 13 e art. 46, par. 1 CEDU. Ritiene il Collegio che il ricorso sia fondato, dovendo prendersi atto che nelle more del presente giudizio è intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale n. 34 del 6 marzo 2019, che ha dichiarato incostituzionale il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, commam 2 e successive modifiche, qui rilevante, trattandosi nella specie di procedimento per il quale non risulta applicabile la previsione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1 come novellato dalla L. n. 208 del 2015 (attesa la specifica norma transitoria di cui alla stessa L. n. 89 del 2001, art. 6, comma 2 bis atteso che il processo presupposto alla data del 31 ottobre 2016 avrebbe già superato i termini di durata ragionevole).
La Consulta, nel richiamare la costante giurisprudenza della Corte EDU, secondo cui i rimedi preventivi, volti ad evitare che la durata del procedimento diventi eccessivamente lunga, sono ammissibili, o addirittura preferibili, eventualmente in combinazione con quelli indennitari, ma ciò solo se “effettivi” e, cioè, nella misura in cui velocizzino la decisione da parte del giudice competente (così, in particolare, Corte Europea dei diritti dell’uomo, grande Camera, sentenza 29 marzo 2006, Scordino contro Italia), ha ricordato come già con la sentenza del 2 giugno 2009, Daddi contro Italia, detta Corte, pur dichiarando il ricorso inammissibile per il mancato esperimento del rimedio giurisdizionale interno, aveva preannunciato che una prassi interpretativa ed applicativa del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, nel testo antecedente alla modifica di cui al D.Lgs. n. 104 del 2010 – che avesse avuto come effetto quello di opporsi all’ammissibilità dei ricorsi ex lege Pinto (relativi alla durata di un processo amministrativo conclusosi prima del 25 giugno 2008), per il solo fatto della mancata presentazione di un’istanza di prelievo – avrebbe privato sistematicamente alcune categorie di ricorrenti della possibilità di ottenere una riparazione adeguata e sufficiente.
Ha altresì rammentato che di recente, con la sentenza 22 febbraio 2016, Olivieri e altri contro Italia, la Corte EDU aveva affrontato il problema dell’effettività del rimedio nazionale ex lege n. 89 del 2001, soggetto alla condizione di proponibilità del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2. Ed esaminando diacronicamente tale disposizione, fino al testo scaturito dalle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 104 del 2010, aveva – conclusivamente – ritenuto che la -procedura nazionale per lamentare la durata eccessiva di un giudizio dinanzi al giudice amministrativo, risultante dal combinato disposto della “legge Pinto” con la disposizione stessa, non potesse essere considerata un rimedio effettivo ai sensi. dell’art. 13 CEDU. Ciò soprattutto sul rilievo che il sistema giuridico nazionale non prevede alcuna condizione volta a garantire l’esame dell’istanza di prelievo.
Per l’effetto ha ritenuto che la norma in esame si pone in contrasto con la “costante giurisprudenza della Corte EDU”, atteso che l’istanza di prelievo, cui fa riferimento il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, (prima della rimodulazione, come rimedio preventivo, operatane dalla L. n. 208 del 2015), non costituisce un adempimento necessario ma una mera facoltà del ricorrente (ex art. 71, comma 2 codice del processo amministrativo, la parte “può” segnalare al giudice l’urgenza del ricorso), con effetto puramente dichiarativo di un interesse già incardinato nel processo e di mera “prenotazione della decisione” (che può comunque intervenire oltre il termine di ragionevole durata del correlativo grado di giudizio), risolvendosi in un adempimento formale, rispetto alla cui violazione la, non ragionevole e non proporzionata, sanzione di improponibilità della domanda di indennizzo risulta non in sintonia nè con l’obiettivo del contenimento della durata del processo nè con quello indennitario per il caso di sua eccessiva durata.
La sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità della norma che subordinava la proponibilità della domanda di equo indennizzo alla necessaria presentazione dell’istanza di prelievo per contrasto con i parametri convenzionali della CEDU (art. 6, par. 1), la cui violazione comporta, appunto, per interposizione, quella dell’art. 117 Cost., comma 1, impone quindi la cassazione del decreto impugnato con rinvio per nuovo esame alla Corte d’Appello di Perugia, in diversa composizione, la quale dovrà in ogni caso considerare, come ribadito dalla Consulta nella menzionata sentenza, che la mancata presentazione dell’istanza di prelievo può costituire elemento indiziante di una sopravvenuta carenza, o di non serietà, dell’interesse della parte alla decisione del ricorso, potendo quindi assumere rilievo ai fini della quantificazione dell’indennizzo ex lege n. 89 del 2001, ma non potendo viceversa condizionare la stessa proponibilità della correlativa domanda.
Al giudice del rinvio è demandata anche la liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il ricorso e cassa la decisione impugnata con rinvio anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Perugia, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2019