Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.21505 del 20/08/2019

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La regola dettata dall’art. 1147 c.c. (possesso di buona fede), in base alla quale la buona fede è presunta e basta che vi sia al tempo dell’acquisto, prevede un principio di carattere generale ed è, quindi, applicabile anche alla fattispecie di cui all’art. 535 c.c. (possessore di beni ereditari). Ne consegue che chi agisce per rivendicare i beni ereditari – eventualmente previo annullamento del testamento che ha chiamato all’eredità il possessore di buona fede – può pretendere soltanto i frutti indebitamente percepiti nei limiti fissati dall’art. 1148 c.c.

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11394-2014 proposto da:

R.V., I.M., I.F., I.E., rappresentati e difesi dall’avvocato RAFFAELE TORTORIELLO;

– ricorrenti e controricorrenti all’incidentale –

contro

C.A., Z.P.A., elettivamente domiciliati ROMA, VIA G. ANTONELLI 3, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO GIANNUZZI, rappresentati e difesi dall’avvocato LUIGI MARSELLA;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

e contro

Z.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1146/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 20/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/02/2019 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI.

FATTI DI CAUSA

C.A. e C.M., eredi per rappresentazione di C.S., citavano in giudizio innanzi al Tribunale di Napoli R.V., vedova di I.R., I.M., I.E. e I.F. per chiedere dichiararsi la nullità del testamento di C.E. per falsità della firma e l’apertura della successione legittima.

C.E. era deceduta in data 30.6.1989 senza prole e, con testamento olografo, aveva istituito erede universale I.R., poi deceduto.

Nel corso del giudizio di primo grado si era verificato il decesso di C.M., moglie di I.R. e, in appello, era deceduta C.M., figlia di C.S., sicchè il processo proseguiva nei confronti degli eredi C.A. e Z.P.A., mentre non si costituiva Z.P.A..

Il Tribunale di Napoli accoglieva la domanda e dichiarava apocrifo il testamento, condannando i convenuti alla restituzione del ricavato della vendita dell’immobile e delle somme ritirate dal libretto bancario intestato alla de cuius.

R.V., vedova di I.R., I.M., I.E. e I.F. proponevano appello avverso detta sentenza, e, per quanto ancora rileva in questa sede, chiedevano che la metà dell’asse ereditario fosse attribuito a C.M., sorella della de cuius, deceduta nel 1997 e, per essa, ad essi appellanti, in virtù della successione legittima.

C.A. e C.M. resistevano in giudizio.

La Corte d’Appello di Napoli, in parziale accoglimento dell’appello, accertava che eredi di C.E. erano C.M. (e per essa i suoi eredi Z.P.A. e Z.A.), C.A. (in rappresentazione del fratello S.) e C.M., vedova I., e per essa I.M., I.E. e I.F..

In applicazione delle norme sulla successione legittima e, considerato che l’asse ereditario era costituito dal ricavato della vendita di un immobile da parte di I.R. e dalle somme costituenti il saldo del conto corrente al medesimo intestato, condannava R.V., I.M., I.E. e I.F. alla restituzione delle somme corrispondenti alla metà dell’asse ereditario, oltre interessi dalla domanda al soddisfo.

Per la cassazione della sentenza, hanno proposto ricorso R.V., I.M., I.E. e I.F. sulla base di due motivi.

Hanno resistito con controricorso C.A. e Z.P.A., che hanno proposto appello incidentale sulla base di quattro motivi, cui hanno resistito con controricorso R.V., I.M., E. e F..

Non ha svolto attività difensiva Z.P.A..

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c. per non avere il giudice d’appello rinnovato la CTU, recependone le conclusioni, nonostante i rilievi formulati dai ricorrenti.

Con il secondo motivo di ricorso, si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, perchè il giudice d’appello avrebbe omesso di considerare le osservazioni tecniche ed i rilievi formulati in ordine agli errori metodologici commessi dal CTU.

I motivi, che vanno esaminati congiuntamente per la loro connessione, sono infondati.

Per consolidato orientamento di questa Corte, al quale il collegio intende dare continuità, il vizio di omessa pronuncia, denunciato ai sensi dell’art. 112 c.p.c., ricorre qualora il giudice non si sia pronunciato su una domanda od un’eccezione introdotta in causa (Cassazione civile, sez. II, 22/01/2018, n. 1539; Cass. Civ., sez. TB, del 05/12/2014, n. 25761), e non su una circostanza di fatto o su richieste istruttorie che, ove valutata, avrebbero comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda.

Nella specie, la doglianza riguarda non l’omessa pronuncia sulla domanda ma sui rilievi critici alla CTU e sulla domanda di rinnovo.

La censura non merita accoglimento nemmeno sotto il profilo del vizio motivazionale, in quanto l’omesso. esame del fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformato, va inteso come “omessa motivazione”, che deve risultare dal testo della motivazione, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. 1, Sentenza n. 7983 del 04/04/2014).

Nella specie, la corte territoriale ha aderito, con ampia e congrua motivazione, non sindacabile in sede di legittimità, alle risultanze della CTU, condividendone la metodologia e le conclusioni ed ha spiegato diffusamente le ragioni per le quali ha ritenuto contraddittoria la linea difensiva degli appellanti.

Del resto, il giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento; non è quindi necessario che egli si soffermi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte che, seppur non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perchè incompatibili con le conclusioni tratte (Cass. civ. n. 282/2009; Cass. civ. n. 8355/2007 e n. 12080/2000).

Quanto alle dedotte violazioni degli artt. 115 e 116 c.p.c., esse sono prive di consistenza, in quanto la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere ipotizzata come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha deciso la causa sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, mentre la violazione dell’art. 116 c.p.c. è idonea ad integrare il vizio di cuì all’art. 360 c.p.c., n. 4, denunciabile per cassazione, solo quando il giudice di merito abbia disatteso il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, e non per lamentare che lo stesso abbia male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova (Cass. Sez. 3, 10/06/2016, n. 11892).

Va, quindi, esaminato il ricorso incidentale proposto da C.A. e Z.P.A..

Con il primo motivo, si denuncia la violazione dell’art. 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè costituirebbe domanda nuova, inammissibile in appello, la divisione dell’asse ereditario di C.E. secondo le norme sulla successione legittima.

Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 345 c.p.c. per avere la corte territoriale attribuito R.V., vedova di I.R., I.M., I.E. e I.F. la quota di eredità spettante a C.E., nonostante le attrici, in primo grado, avessero chiesto unicamente la nullità del testamento, in tal modo introducendo una domanda nuova in appello.

Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione degli artt. 467,535 e 572 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., per avere la corte territoriale ammesso la successione per rappresentazione di R.V., vedova di I.R., I.M., I.E. e I.F., nonostante al momento dell’apertura della successione fosse ancora in vita la loro dante causa C.M..

I motivi, che vanno esaminati congiuntamente per la loro connessione, non sono fondati.

Dall’esame degli atti processuali, consentito in ragione dell’error in procedendo denunciato dai ricorrenti incidentali, e, segnatamente dall’atto di citazione, risulta che gli attori domandarono la divisione dell’asse ereditario (si legge in citazione “disporre la divisione dell’asse ereditario della de cuius C.E., una volta ricostituita la massa, previa formazione a mezzo di CTU da disporsi, di un progetto di comoda divisione che tenga conto della quota ereditaria dei singoli chiamati…”).

Non sussiste, pertanto, il vizio di ultrapetizione, nè l’introduzione di una nuova domanda in sede d’appello.

La corte territoriale ha correttamente applicato le norme sulla successione legittima, diviso per stirpi l’asse ereditario ed applicato l’istituto della rappresentazione.

C.E. era, infatti, deceduta in data 30.6.1989 senza prole e con testamento olografo aveva istituito erede universale I.R., figlio della sorella C.M., ancora in vita. Poichè il fratello S. era premorto, erano succedute per rappresentazione le figlie A. e M., in applicazione dell’art. 467 c.c..

Non vi è stata, pertanto, violazione dell’art. 467 c.c., in quanto la sorella M., che era in vita al momento dell’apertura della successione, era successivamente deceduta, così dando luogo alla successione per rappresentazione dei figli I.M., I.E. e F..

Con il quarto motivo di ricorso, si denuncia la violazione dell’art. 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la corte territoriale riconosciuto ai contro ricorrenti il diritto agli interessi compensativi ed alla svalutazione monetaria, sull’erroneo presupposto che si trattasse di domanda nuova.

Il motivo non è fondato.

In disparte l’estrema genericità del motivo, la Corte, con statuizione non impugnata in sede di legittimità, ha accertato la buona fede nel possesso del denaro prelevato da I.R..

La regola dettata dall’art. 1147 c.c. (possesso di buona fede), in base alla quale la buona fede è presunta e basta che vi sia al tempo dell’acquisto, prevede un principio di carattere generale ed è, quindi, applicabile anche alla fattispecie di cui all’art. 535 c.c. (possessore di beni ereditari). Ne consegue che chi agisce per rivendicare i beni ereditari – eventualmente previo annullamento del testamento che ha chiamato all’eredità il possessore di buona fede – può pretendere soltanto i frutti indebitamente percepiti nei limiti fissati dall’art. 1148 c.c. (Cassazione civile sez. II, 06/06/2014, n. 12798).

Ne consegue che, correttamente, la corte territoriale, in applicazione dell’art. 1148 c.c., ha statuito la decorrenza degli interessi legali dalla data della domanda e non dall’apertura della successione, escludendo, per novità della domanda, gli interessi compensativi e quelli da svalutazione monetaria.

Ne consegue il rigetto anche del ricorso incidentale.

Le spese del giudizio di legittimità vanno compensate, attesa la reciproca soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

PQM

Rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale.

Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte di cassazione, il 8 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2019

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