LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 21269/2017 proposto da:
G.R., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE BRUNO BUOZZI 99, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO CRISCUOLO, rappresentato e difeso dall’avvocato VALERIO DONATO;
– ricorrente –
contro
SELMABIPIEMME LEASING SPA, in persona dell’Amministratore Delegato, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TOSCANA 10, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO RIZZO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati LUIGI CELLA, ELISA NEMBRI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1607/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 13/04/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/04/2019 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’inammissibilità 1^ motivo, rigetto nel resto del ricorso;
udito l’Avvocato RIZZO ANTONIO.
FATTI DI CAUSA
La società Selmabipiemme Leasing S.p.A. (di seguito Selma), premesso di aver stipulato con la società Parsifal s.r.l. (di seguito Parsifal) in data 10/5/2006 un contratto di locazione finanziaria avente ad oggetto una imbarcazione modello Pershing 62 per un importo complessivo di Euro 1.950.000,00 oltre IVA e che, in pari data, tale contratto era stato garantito da un impegno “irrevocabile” assunto da G.R. (di seguito G.) di subentrare, in caso di inadempimento dell’utilizzatore, al medesimo, senza efficacia novativa, in tutte le obbligazioni assunte con il contratto, a seguito di inadempimento di Parsifal, e di mancato saldo della posizione debitoria da parte del garante, aveva chiesto ed ottenuto dal Tribunale di Milano un decreto ingiuntivo nei confronti di G. per l’importo di Euro 1.183.792,72, al netto di quanto ricavato già dalla ricollocazione dell’imbarcazione sul mercato, oltre interessi e spese.
A seguito di opposizione di G., nel contraddittorio delle parti, il Tribunale di Milano, con sentenza del 21/5/2013, revocò il provvedimento monitorio, ritenendo che l’impegno del G. doveva ritenersi inefficace non avendo l’utilizzatrice mai espresso il proprio consenso al subentro del medesimo nel contratto di leasing in ragione della manifestata volontà della concedente di avvalersi della clausola risolutiva espressa, di ottenere la restituzione del bene e non anche di far subentrare il G. nel contratto di leasing. La Corte d’Appello di Milano, adita dalla Selma, ha accolto la prospettazione dell’appellante secondo la quale la scrittura con cui il G. si era impegnato a subentrare a Parsifal nel contratto di leasing costituiva una garanzia atipica integrante espromissione in virtù della quale senza necessità di consenso dell’utilizzatrice e della messa a disposizione del bene – il subentrante era obbligato alla corresponsione di tutti i canoni e degli altri importi dovuti da Parsifal, il cui mancato pagamento aveva giustificato la risoluzione del contratto e l’azione di recupero del credito. La Corte d’Appello ha richiamato il tralatizio orientamento giurisprudenziale secondo il quale, in caso di espromissione, l’obbligazione assunta dal terzo, ove il contrario non risulti dalla dichiarazione di garanzia, è del tutto svincolata dai rapporti esistenti tra il creditore ed il debitore originario il quale rimane estraneo alla stipulazione, onde non sono opponibili al primo eccezioni non fondate sul rapporto di espromissione. Nel caso in esame si era verificato l’inadempimento dell’utilizzatore nel pagamento dei canoni concordati, con una esposizione debitoria che al momento della risoluzione del rapporto ammontava ad Euro 460.131,84, con irripetibilità dei canoni versati al concedente secondo la consolidata giurisprudenza di merito. Conclusivamente la Corte d’Appello ha rigettato l’opposizione proposta avverso il decreto ingiuntivo che è stato pertanto confermato con condanna del G. alle spese del doppio grado del giudizio. Avverso la sentenza G.R. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da memoria. Resiste con controricorso la Selma che ha anche presentato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 360 c.p.c., in relazione agli artt. 1362 e segg., artt. 1325, 1418, 1406 e segg., per illogicità ed incongruenza della motivazione. Lamenta che la Corte d’Appello abbia qualificato l’impegno unilaterale del G. quale “espromissione” in spregio ai criteri di interpretazione del contratto, quali, in primis, il criterio letterale di cui all’art. 1362 c.c. ed il criterio dell’interpretazione cd. sistematica, di cui all’art. 1363 c.c., dai quali avrebbe dovuto evincere che la volontà del G. non era quella di estromettere il debitore garantito ma quella di subentrare nell’intero rapporto contrattuale e con esso nel godimento del bene, di guisa che non si trattava di una espromissione ma di una cessione del contratto.
1.1 Il motivo appare inammissibile in quanto, pur prospettato nei termini della violazione di canoni di ermeneutica contrattuale, è volto a censurare surrettiziamente la motivazione e a richiedere a questa Corte una valutazione alternativa della documentazione prodotta in atti rispetto a quella, peraltro molto ben argomentata e basata su consolidata giurisprudenza di questa Corte, propria della Corte d’Appello. E’ evidente che la qualificazione di una scrittura quale integrante una espromissione o una cessione di contratto impinge nel merito, perchè richiede una rivalutazione dei fatti e delle prove. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte il vizio di motivazione non conferisce affatto al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, essendo del tutto estranea all’ambito del vizio in parola la possibilità, per la Corte di legittimità, di procedere ad una nuova valutazione del merito attraverso l’autonoma disamina delle emergenze probatorie (Cass., n. 25927 del 2015).
2. Con il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 1526,1384,2041,1375 c.c. e L. n. 208 del 2015, art. 78, con riguardo al capo di sentenza che ha escluso la possibilità di ravvisare, nel caso di risoluzione anticipata del contratto, un ingiustificato arricchimento in capo all’appellante in danno di Parsifal e del suo garante. La sentenza ha escluso l’arricchimento senza causa rilevando che l’esposizione debitoria dell’utilizzatrice al momento della risoluzione del rapporto sinallagmatico ammontava ad Euro 460.131,84, che i canoni acquisiti rimanevano tali in favore della concedente con la facoltà per quest’ultima di richiedere il risarcimento del danno nella misura pari ai canoni a scadere e dell’importo per l’esercizio dell’opzione, con l’obbligo di detrarre il ricavato dell’eventuale vendita del bene da quanto dovuto dall’utilizzatore.
Ciò, ad avviso della impugnata sentenza, è coerente anche con la giurisprudenza di questa Corte che, in più occasioni, ha statuito la piena liceità, anche in materia di risoluzione di leasing traslativo, di clausole che prevedano l’irripetibilità dei canoni versati al concedente e la non eccessività di clausole penali laddove consentano alla società finanziaria di ottenere lo stesso utile che avrebbe conseguito se il contratto fosse stato adempiuto regolarmente dall’utilizzatore, dovendosi comparare il vantaggio che la clausola assicura al contraente adempiente, con il margine di guadagno che egli si riprometteva di legittimamente trarre dall’affare, con l’esclusione dello scopo della finalità di rivendita del bene all’utilizzatore condizionata all’opzione di acquisto da parte di quest’ultimo, avendo il leasing una funzione sostanzialmente finanziaria. Ciò premesso la sentenza afferma il superamento della tradizionale distinzione tra leasing traslativo e leasing di godimento in ragione della necessità di garantire che dallo scioglimento del vincolo contrattuale, da qualunque causa esso discenda, dipendano conseguenze giuridiche che non si risolvono nell’indebito arricchimento dell’una piuttosto che dell’altra parte e che rendono legittima una regolamentazione delle conseguenze dell’anticipato scioglimento del contratto di leasing che si discostino anche dall’art. 1526 c.c., per il contratto tipico della vendita con patto di riservato dominio, ed abbia quale obiettivo l’equo contemperamento degli interessi patrimoniali dei contraenti.
Sulla base di questo ragionamento il Giudice ha escluso che la penale risarcitoria prevista dall’art. 18 delle condizioni generali del contratto garantito dall’appellato, che prevede l’obbligo per l’utilizzatore di pagare senza dilazione i corrispettivi periodici non ancora maturati ed il prezzo pattuito, sia manifestamente eccessiva.
Le censure sono volte a colpire questo ragionamento, sia con riguardo alla ratio dell’art. 1526 c.c., comma 1, sia delegittimando il richiamo operato dalla sentenza alla L. Fall., art. 72 quater e alla L. 28 dicembre 2015, n. 2018, art. 1, comma 78 (secondo il quale “In caso di risoluzione del contratto di locazione finanziaria per inadempimento dell’utilizzatore, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a corrispondere all’utilizzatore quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene avvenute a valori di mercato, dedotta la somma dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione, dei canoni a scadere attualizzati e del prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto. L’eventuale differenza negativa è corrisposta dall’utilizzatore al concedente. Nelle attività di vendita e ricollocazione del bene, di cui al periodo precedente, la banca o l’intermediario finanziario deve attenersi a criteri di trasparenza e pubblicità nei confronti dell’utilizzatore) senza avvedersi che la sentenza intende porsi in continuità con una giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte.
In disparte i profili di inammissibilità perchè il ricorrente non garantisce l’autosufficienza del motivo non indicando dove e quando abbia in grado di appello trattato la relativa questione, in ogni caso la censura non coglie nel segno, sia perchè l’argomento del richiamo alla L. Fall., art. 72, è di per sè ritenuto dalla stessa Corte d’Appello non decisivo ai fini della affermazione della sua tesi, sia perchè la Corte d’Appello ha inteso interpretare la clausola penale, contenuta nel contratto e l’ha ritenuta conforme all’art. 1526 c.c., comma 2, in piena continuità con la giurisprudenza di questa Corte.
Si è già, in più occasioni, statuito che, in presenza di una clausola penale pattizia prevista dal contratto che preveda l’irripetibilità dei canoni già versati da quest’ultimo, prevedendo la detrazione, dalle somme dovute al concedente, dell’importo ricavato dalla futura vendita del bene restituito, detta clausola sia coerente con la previsione contenuta nell’art. 1526 c.c., comma 2 (Cass., 3, n. 1502 del 12/6/2018; Cass., 3, n. 19272 del 12/9/2014).
3. Con il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 1526,1384 c.c. e art. 633 c.p.c..
Il ricorrente assume che la sentenza avrebbe erroneamente confermato l’emissione di un decreto ingiuntivo in assenza dei presupposti per l’emissione del medesimo, in particolare in assenza del presupposto della liquidità del credito sulla base del mero scorporo, rispetto alla somma totale del contratto di leasing, delle somme ricavate dalla vendita dell’imbarcazione, provate soltanto con una fattura.
Il motivo è inammissibile perchè, come riportato dalla impugnata sentenza (p. 11) l’eccezione relativa alla mancanza di liquidità del credito, formulata in primo grado in modo generico non è stata poi riproposta in appello, sicchè la parte è certamente decaduta dalla possibilità di farla valere quale motivo di ricorso per cassazione.
4. Conclusivamente il ricorso va rigettato ed il ricorrente condannato a pagare le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, oltre che al cd. “raddoppio” del contributo unificato.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 13.300 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori e spese generali al 15%. Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da, parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 8 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 28 agosto 2019
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