LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 17492/2017 R.G. proposto da:
O.G., rappresentato e difeso da se stesso, con domicilio eletto in presso il suo studio Roma, via Adalberto, n. 6;
– ricorrente –
contro
Banco di Napoli s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore;
– intimato –
Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale – I.N.P.S., in persona del legale rappresentante pro tempore;
– intimato –
avverso la sentenza del Tribunale di Napoli, n. 5248, pubblicata l’8 maggio 2017;
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 5 marzo 2019 dal Consigliere Dott. Cosimo D’Arrigo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Soldi Annamaria, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
O.G. si rendeva assegnatario, in esito ad un pignoramento presso terzi, delle somme dovute dal Banco di Napoli s.p.a., terzo pignorato in quanto tesoriere, all’I.N.P.S..
In data 5 febbraio 2014 l’ordinanza di assegnazione veniva notificata al Banco, unitamente ad un atto di precetto. L’Istituto di credito proponeva opposizione, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 1, eccependo, fra l’altro, la sopravvenuta inefficacia dell’ordinanza di assegnazione per decorso del termine previsto dal D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, art. 14, comma 1-bis, convertito con modificazioni dalla L. 28 febbraio 1997, n. 30, introdotto dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla L. 24 novembre 2003, n. 326.
L’I.N.P.S. si costituiva in adesione.
Il Giudice di pace accoglieva l’opposizione, dichiarando l’inefficacia dell’ordinanza di assegnazione.
L’ O. impugnava la sentenza ma il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice d’appello, esaminando solo la questione del termine di decadenza annuale, concludeva che lo stesso, pur essendo previsto da una norma entrata in vigore successivamente alla pubblicazione dell’ordinanza di assegnazione, aveva effetto retroattivo e si doveva applicare anche nel caso di specie, in applicazione di quanto disposto dall’art. 252 disp. att. c.c.
Avverso tale decisione l’ O. proponeva ricorso per cassazione, articolato in due motivi. Le parti intimate non svolgevano attività difensiva. Tuttavia, l’I.N.P.S. depositava una procura speciale in calce alla copia notificata del ricorso.
Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 380-bis c.p.c. (come modificato dal comma 1, lett. e), del D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197), ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata.
In esito alla stessa, tuttavia, con ordinanza interlocutoria del 28 agosto 2018 si disponeva la trattazione in pubblica udienza, in ragione del carattere di novità della questione di diritto prospettata dal ricorrente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via preliminare, deve essere esaminata d’ufficio la validità della costituzione in giudizio dell’I.N.P.S. effettuata mediante il solo deposito in cancelleria di una procura speciale redatta su atto separato e materialmente congiunta alla copia del ricorso notificata a mezzo PEC all’Istituto, previa attestazione di conformità della notificazione.
Tale costituzione è irrituale e priva di effetti.
L’art. 370 c.p.c. prevede, quale unica modalità di tramite la quale colui contro il quale è proposto il ricorso può contraddire, la notificazione e il successivo deposito in cancelleria di un controricorso che deve essere redatto con gli stessi requisiti di forma e di sostanza del ricorso previsti dagli artt. 365 e 366 c.p.c., in quanto compatibili. In ipotesi, è possibile omettere la notificazione del controricorso (in mancanza della quale il controricorrente non può presentare memorie, ma soltanto partecipare alla discussione orale), ma non è possibile omettere anche il deposito in cancelleria di un atto difensivo che corrisponda ai requisiti richiesti dall’art. 370 c.p.c. Del resto, anche la procura alle liti è irrituale, in quanto nel ricorso per cassazione non è previsto che essa possa essere resa in calce al ricorso cui si intende resistere.
Pertanto, l’I.N.P.S. non è regolarmente costituita nel presente giudizio.
Nondimeno, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto privo dell’esposizione, ancorchè sommaria, dei fatti di causa, sostituita dalla mera riproduzione testuale del contenuto di tutti gli atti processuali. Esso quindi non soddisfa i requisiti di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 e 6.
Il ricorso in esame, in particolare, va ascritto al genere dei c.d. ricorsi assemblati, ossia nei quali l’esposizione dei fatti di causa è sostituita dalla mera interpolazione grafica o dalla testuale riproduzione degli atti dei gradi di merito. Il ricorso per cassazione redatto mediante assemblaggio – cioè attraverso la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale, contenuto degli atti processuali è carente del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, che non può, a fronte dell’utilizzo di tale tecnica, neppure essere desunto, per estrapolazione, dall’illustrazione del o dei motivi (Sez. 6 – 3, Sentenza n. 3385 del 22/02/2016, Rv. 638771). Ciò in quanto la tecnica di redazione mediante integrale riproduzione di una serie di documenti si traduce in un’esposizione dei fatti non sommaria, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, e comporta un mascheramento dei dati effettivamente rilevanti, tanto da risolversi in un difetto di autosufficienza (Sez. 5, Sentenza n. 18363 del 18/09/2015, Rv. 636551).
Tale elaborazione giurisprudenziale è peraltro conforme a quanto già ritenuto dalle Sezioni unite, secondo cui, ai fini del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali è, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata; per altro verso, è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso (Sez. U, Sentenza n. 5698 del 11/04/2012, Rv. 621813).
E’ pur vero che la mera interpolazione degli atti processuali, in sè considerata, non determina automaticamente l’inammissibilità del ricorso, ma ciò solo a condizione che il ricorso, al netto degli atti interamente inseriti al suo interno, contenga comunque una adeguata illustrazione dei fatti di causa. Nel caso in esame, invece, le brevi parti di raccordo fra i vari atti processuali integralmente riprodotti non sono riassuntive del contenuto degli stessi e quindi non bastano ad escludere l’inammissibilità del ricorso.
Il ricorso è quindi inammissibile, anche perchè, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito. Il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 1926 del 03/02/2015, Rv. 634266; Sez. 1, Sentenza n. 19018 del 31/07/2017, Rv. 645086).
La questione di rilievo nomofilattico evidenziata con l’ordinanza di remissione della causa in pubblica udienza non assume rilievo neppure nell’interesse della legge, in quanto sulla stessa questa Corte si è già pronunciata, in analogo ricorso fra le medesime parti, con la sentenza n. 15316 del 2019.
Non si fa luogo alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, poichè le parti non hanno svolto attività difensiva. Conclusione che, per le ragioni innanzi esposte, va tenuta ferma anche per l’I.N.P.S., non ritualmente costituitosi.
Sussistono, invece, i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lui proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 5 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2019