Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.23634 del 24/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3016-2018 proposto da:

COMUNE MANOPPELLO,in persona del Sindaco e legale rappresentante p.t.

D.L.G., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE AMICARELLI;

– ricorrente –

contro

D’.LU.LO., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE, 2, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI CAPRARA, che la rappresenta e difende;

ALLIANZ SPA, in persona dei legali rappresentanti Dott.ssa G.A. e S.M.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO, 17/A presso lo studio dell’avvocato MICHELE CLEMENTE, che la rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

DI.GI.AM.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1960/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 27/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/05/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

FATTI DI CAUSA

1. Il Comune di Manoppello ricorre, sulla base di due motivi (sebbene articolati, in realtà, in una pluralità di censure), per la cassazione della sentenza n. 1960/17, del 27 ottobre 2017, della Corte di Appello de L’Aquila, che – respingendo il gravame da esso esperito contro la sentenza n. 390/16, dell’11 marzo 2016, del Tribunale di Pescara – ha condannato l’odierno ricorrente, in solido con Di.Gi.Am. (del quale ordinava la manleva da parte dell’assicuratore, già società Ras S.p.a., oggi Allianz. S.p.a.), a pagare a D’.Lu.Lo. la somma di Euro 244.227,19, per danni al fabbricato di proprietà della stessa in conseguenza di movimenti franosi del versante collinare su cui l’edificio insiste, nonchè il solo odierno ricorrente all’esecuzione dei lavori necessari ad evitare ulteriori frane.

2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierno ricorrente di essere stato convenuto in giudizio dalla D’., la quale – sul presupposto di aver subito danni ad un immobile di sua proprietà, a seguito di movimenti franosi del terreno collinare su cui il medesimo insiste agiva tanto nei confronti del Comune odierno ricorrente (ai sensi dell’art. 2043 c.c.), quanto del geologo Di.Gi.Am. (ex art. 2222 c.c.), per ottenere la condanna di entrambi al risarcimento dei danni, nonchè quella del solo Comune all’esecuzione dei lavori necessari a scongiurare il pericolo di ulteriori frane.

Deducendo di aver ottenuto, nell’anno 1997, concessione edilizia per la realizzazione del fabbricato in questione, e di aver successivamente presentato, il 13 febbraio 1998, domanda di concessione in variante (in relazione alla quale aveva ottenuto parere favorevole della commissione edilizia, sulla base di una relazione, circa la fattibilità geologica dell’opera, predisposta dal Di.Gi.), l’attrice lamentava che, dal gennaio 2003, nel territorio del Comune di Manoppello, si erano verificati movimenti franosi di varia gravità, riacutizzatisi nel febbraio del 2005, in particolare nella zona ove è sito il fabbricato di sua proprietà, tanto che lo stesso ebbe a subire notevoli danni.

Dopo aver incardinato, innanzi al Tribunale di Pescara, un procedimento di accertamento tecnico preventivo, volto ad individuare la natura e l’entità del dissesto, ma anche gli interventi necessari ad ovviare all’evento dannoso, procedimento all’esito del quale era stato ordinato al Comune di eseguire gli interventi meglio specificati nella consulenza tecnica d’ufficio (ordine, peraltro, confermato dal medesimo Tribunale in composizione collegiale, avendo esso rigettato il reclamo proposto dal Comune), la D’. instaurava il giudizio di merito. Ciò promesso, il giudice di prime cure – all’esito di controversia che vedeva la partecipazione anche della Ras S.p.a., assicuratore per la responsabilità civile chiamato in garanzia dal Di.Gi. – provvedeva nei termini sopra meglio indicati, e quindi condannava il Comune di Manoppello, in solido con Di.Gi.Am. (del quale ordinava, come detto, la manieva da parte dell’assicuratore), a pagare all’attrice la somma di Euro 244.227,19, per danni al fabbricato di proprietà della stessa, nonchè il solo Comune all’esecuzione dei lavori necessari ad evitare ulteriori frane.

Proposto gravame dal Comune, la Corte aquilana rigettava lo stesso, confermando integralmente la decisione del primo giudice.

3. Avverso la sentenza della Corte abruzzese ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Manoppello, sulla base di due motivi.

3.1. Il primo motivo – proposto ai sensi, congiuntamente, dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 3), e 4) – formula una pluralità di censure, tutte incentrate sul rilievo che la presente controversia rientrerebbe nella giurisdizione del giudice amministrativo, e non di quello ordinario, come già dedotto innanzi al giudice di primo grado e, poi, a quello di appello.

In particolare, oltre alla deduzione del difetto di giurisdizione del giudice ordinario, sostanzialmente per “malgoverno” e “falsa applicazione” dei principi – in tema di danni conseguenti alla manutenzione di beni demaniali – ricavabili dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, si ipotizza: omessa pronuncia in relazione motivo di appello proposto sul punto (e ciò in violazione degli artt. 359 e 112 c.p.c.); difetto assoluto, ovvero motivazione apparente al riguardo (con violazione dell’art. 111 Cost.); violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2051 c.c., dell’art. 40 c.p. e di “leggi urbanistiche”, indicate ma non meglio specificate nella sentenza impugnata; extrapetizione e, dunque, violazione, nuovamente, degli artt. 359 e 112 c.p.c.

L’assunto di fondo è che entrambi i giudici di merito – il secondo, peraltro, omettendo di pronunciarsi sullo specifico motivo di appello proposto sul punto – abbiano disposto la condanna del ricorrente sulla base di una responsabilità, ex art. 2051 c.c., per difetto di custodia di bene demaniale costituito dal suolo pubblico, mai proposta dalla D’.. Di qui, pertanto, la non conferenza dei richiami alla giurisprudenza di questa Corte, operati dalla sentenza impugnata per affermare la giurisdizione del giudice ordinario, concernendo un’ipotesi (quella appena descritta) che non formava oggetto del giudizio.

In particolare, non conferente sarebbe il richiamo alla sentenza di questa Corte – Cass. Sez. 3, sent. 19 dicembre 2013, n. 28460 – che ha riconosciuto il risarcimento dei danni ai congiunti delle vittime di crolli di edifici la cui costruzione era stata assentita da un Comune in area franosa. Tale arresto, difatti, non solo concerne il caso di danni patiti da soggetti da considerarsi “terzi” rispetto all’attività costruttiva (e non, come invece nel caso che occupa, dal costruttore del fabbricato), ma avrebbe addirittura escluso l’esistenza di un generale dovere dei Comuni di evitare il franamento dei terreni, ricollegando la responsabilità del Comune convenuto in giudizio “non già nell’avere rilasciato la licenza edilizia omettendo controlli sulla idoneità tecnica dell’attività costruttiva che ne era oggetto come tale, bensì per averla concessa per un’attività costruttiva che si sarebbe dovuta svolgere in un contesto territoriale di cui era nota la franosità e l’instabilità, onde è sotto siffatto aspetto che la quella Corte ha valutato l’efficienza causale dell’evento del rilascio della licenza”.

3.2. Il secondo motivo – nuovamente proposto, simultaneamente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 3), 4) e 5) – ipotizza, anche in questo, una pluralità di censure, tutte volte a contestare la mancata affermazione della responsabilità esclusiva del geologo Di.Gi. per i danni subiti dalla D’..

Nell’ordine, viene ipotizzato: “violazione di giudicato interno”, ai sensi dell’art. 324 c.p.c.; “omesso esame di fatti pacifici tra le parti e risultanti dagli atti”; “altri profili di difetto assoluto di motivazione ovvero di motivazione apparente su punti decisivi”, ex art. 111 Cost.; “violazione della normativa sulla competenza dei diversi enti amministrativi”; “altri profili di difetto di giurisdizione” e, infine, “violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. e asrt. 48 c.p.”.

L’assunto di fondo è che la responsabilità dell’occorso sarebbe da ascrivere esclusivamente al Di.Gi., il quale ebbe erroneamente ad attestare la fattibilità, dal punto di vista geologico, dell’intervento costruttivo, oggetto della domanda di concessione “in variante” del 13 febbraio 1998.

Da ciò deriverebbero una serie di conseguenze, non apprezzate (o non adeguatamente apprezzate) dalla sentenza impugnata.

Innanzitutto, si deduce l’esistenza di un giudicato interno, poichè l’erroneità della valutazione tecnica del geologo – già riconosciuta dal primo giudice – non è stata contestata con appello incidentale dal Di.Gi. (o dal suo assicuratore, chiamato dal professionista in manleva). Ciò avrebbe dovuto indurre la Corte aquilana – chiamata a pronunciarsi, al riguardo, con il secondo motivo di appello – ad affermare la responsabilità esclusiva del Di.Gi., ponendosi essa come causa autonoma ed intrinsecamente sufficiente a causare i danni lamentati dalla D’..

Per un verso, difatti, tale circostanza – ormai irretrattabilmente accertata – confermerebbe la tesi, sempre sostenuta dal Comune, che le pubbliche amministrazioni coinvolte nella presente vicenda devono “ritenersi parti “deceptae””, dovendo “l’unico responsabile del danno” individuarsi “nel “decipiens” Dott. Di.Gi.”. Inoltre, ed al netto del rilievo che i controlli imposti all’esito di tale relazione geologica spettavano, non al Comune ma al Genio Civile (donde il supposto difetto di legittimazione di esso ricorrente), la sentenza impugnata sarebbe priva di motivazione, laddove afferma che, comunque, il rilascio della concessione edilizia nel 1997 fosse idonea a fondare la corresponsabilità del Comune, senza chiarirne le ragioni, e, in ogni caso, così ricollegando ad un’attività “provvedimentale” (e non materiale) dello stesso la responsabilità per i danni lamentati dalla D’., contraddicendo il presupposto su cui si fonda la riconosciuta giurisdizione del giudice ordinario.

4. Hanno resistito, con separati controricorsi, all’avversaria impugnazione, sia la D’. che la società Allianz, chiedendone la declaratoria di inammissibilità ovvero, in subordine, di infondatezza.

Quanto all’inammissibilità, la stessa è argomentata sul rilievo che i due motivi opererebbero una non consentita “mescolanza” di censure eterogenee.

Quanto, invece, al merito, la D’. – in relazione, in particolare, al primo motivo di ricorso – evidenzia come nessun dubbio possa ipotizzarsi circa la giurisdizione del giudice ordinario, anche alla luce di quanto affermato da un recente arresto delle Sezioni Unite di questa Corte (è citata Cass. Sez. Un., sent. 1 agosto 2017, n. 19084). Entrambi i controricorrenti, inoltre, sottolineano come la Corte aquilana abbia, in ogni caso, ricollegato la responsabilità del Comune ricorrente alla mancata messa in sicurezza del terreno dopo che si erano verificati i primi movimenti franosi, nel 2003, e prima che gli stessi – circa due anni più tardi – producessero i danni lamentati dall’attrice, e dunque ad un contegno di tipo omissivo. In relazione, invece, al secondo motivo di ricorso, la società Allianz – non senza osservare che il giudicato non può mai formarsi in relazione ad un argomento della motivazione (è citata Cass. Sez. 3, sent. 30 ottobre 2007, n. 22863) – evidenzia la correttezza della sentenza impugnata, laddove essa, sul presupposto che la condizione franosa del terreno doveva essere conosciuta dal Comune sin dal tempo del rilascio della concessione, ha affermato, su tali basi, la (cor)responsabilità dell’odierna ricorrente.

5. Ha presentato memoria il ricorrente, insistendo nelle proprie argomentazioni.

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. “in limine” va disattesa l’eccezione di inammissibilità dei due motivi di ricorso, per “mescolanza”, eccezione sollevata da entrambi i controricorrenti.

Invero, “il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sè, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati” (così Cass. Sez. Un., sent. 6 maggio 2015, n. 9100, Rv. 635452-01; in senso sostanzialmente analogo, sebbene “a contrario”, si veda anche Cass. Sez. 3, ord. 17 marzo 2017, n. 7009, Rv. 643681-01).

7. Ciò premesso, il ricorso va rigettato.

7.1. Il primo motivo di ricorso non è fondato.

7.1.1. Nello scrutinarlo, occorre muovere dal rilievo che la sentenza impugnata ha accolto la domanda risarcitoria verso l’odierno ricorrente sul presupposto che dalla “lettura dell’atto di citazione” emergeva come la D’. “non avesse chiesto al giudice ordinario di accertare in via diretta la legittimità o meno del provvedimento concessorio a suo tempo rilasciato, bensì che venisse accertata la responsabilità civile ex art. 2043 c.c. del Comune”, lamentando “una specifica condotta colposa dell’Ente, della quale la dedotta erronea verifica dell’edificabilità del terreno costituisce solo un segmento posto che la controversia è incentrata sulla condotta omissiva dello stesso”. Infatti, l’attrice – prosegue la sentenza impugnata – sul presupposto, incontestato, che la zona su cui insiste il fabbricato di sua proprietà risultasse inserito “nell’elenco delle località soggette a rischio idrogeologico ai sensi del R.D.L. n. 3267 del 1923”, ed inoltre che, già nell’anno 2003, ella avesse avvisato il Comune, con telegramma, “del pericolo di crollo del suo fabbricato”, tanto che l’Ente “aveva allora approvato una serie di lavori di intervento con Delib. n. 69 del 2004”, ha lamentato il fatto che esso non avesse completato tali interventi, “nonostante un successivo dissesto idrogeologico verificatosi nel febbraio 2005”.

La responsabilità ex art. 2043 è stata, pertanto, affermata sul presupposto che il Comune di Manoppello, “pur conoscendo la pregressa e persistente pericolosità del terreno collinare circostante l’immobile “de quo” non ha tuttavia mai provveduto a mettere in sicurezza la zona”.

7.1.2. Orbene, la sentenza impugnata – come si è appena chiarito – ha ricollegato la responsabilità dell’ente non all'(ipotetica) illegittimità del provvedimento amministrativo rilasciato, quanto, piuttosto, ad un’inerzia nell’attivarsi, allorchè, già nell’anno 2003, erano emerse situazioni di criticità, in relazione alle quali le misure, pure individuate come necessarie per mettere in sicurezza la zona su cui insiste il fabbricato, non vennero (almeno interamente) portate ad esecuzione.

In questa prospettiva, dunque, corretto appare il riferimento – al di là del richiamo a singole pronunce di questa Corte – compiuto dalla sentenza impugnata al principio enunciato dalla Corte costituzionale nella sentenza 204 del 2004, che ravvisa il presupposto della giurisdizione amministrativa nell’operare una Pubblica Amministrazione come “autorità”, ovvero nell’esercizio di una potestà amministrativa. Nel caso che occupa, infatti, il danno lamentato dall’attore trova titolo, non già nell’attività provvedimentale della stessa, quanto nell’inerzia consistita nel non dare completa attuazione agli interventi di messa in sicurezza del terreno franoso, pur individuati come necessari già nel 2003, donde la non fondatezza del primo motivo di ricorso.

L’eccezione di difetto di giurisdizione è, dunque, destituita di fondamento, potendo richiamarsi (come sostenuto dalla controricorrente D’.) quanto di recente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, le quali – proprio con riferimento ad una domanda risarcitoria avanzata in relazione alla “mancata adozione degli interventi necessari a ridurre lo stato di pericolo” di “una parete di roccia franosa” – hanno dichiarato sussistere la giurisdizione del giudice ordinario, ribadendone, più in generale, la ricorrenza “quando il comportamento della pubblica amministrazione risulta privo di ogni interferenza con un atto autoritativo, non potendosi reputare neanche mediatamente espressione dell’esercizio del potere autoritativo, o quando l’atto o il provvedimento di cui la condotta dell’amministrazione sia esecuzione non costituisca oggetto del giudizio, facendosi valere unicamente l’illiceità della condotta del soggetto pubblico ex art. 2043 c.c., suscettibile di incidere sui diritti patrimoniali dei terzi” (così, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 1 agosto 2017, n. 19084).

7.1.3. La Corte territoriale, nel contempo, non risulta aver operato alcuna “extrapetizione”, visto che il tema dell’inerzia del Comune viene ricostruito dalla sentenza impugnata come sempre appartenuto alla domanda attorea, nè è incorsa, d’altra parte, in alcuna omissione di pronuncia – o carenza motivazionale – nell’esaminare il motivo di gravame con cui l’odierno ricorrente ha riproposto l’eccezione di difetto di giurisdizione.

Essa, infatti, ha espressamente esaminato la questione, motivando in modo del tutto adeguato la soluzione adottata in relazione ad essa.

In relazione, in particolare, a quest’ultimo profilo deve osservarsi che, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – nel testo “novellato” dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, 134 (applicabile “ratione temporis” al presente giudizio) – il sindacato di questa Corte è destinato ad investire la parte motiva della sentenza, ormai, solo entro il “minimo costituzionale” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonchè, “ex multis”, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 63778101; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781-01).

Lo scrutinio di questa Corte è, dunque, ipotizzabile solo in caso di motivazione “meramente apparente”, configurabile, oltre che nell’ipotesi di “carenza grafica” della stessa, quando essa, “benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento” (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01), in quanto affetta da “irriducibile contraddittorietà” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01), ovvero connotata da “affermazioni inconciliabili” (da ultimo, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 25 giugno 2018, n. 16111, Rv. 649628-01), o perchè “perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 2018, n. 22598, Rv. 650880-01), mentre “resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. 2, ord. 13 agosto 2018, n. 20721, Rv. 650018-01).

7.2. Il secondo motivo, invece, è addirittura inammissibile.

7.2.1. Ravvisato, infatti, il titolo della responsabilità del Comune anche, o meglio essenzialmente, nel comportamento inerte dello stesso, ovvero nel non avere esso dato (integrale) attuazione alle misure che, al palesarsi nel 2003 dei pericoli derivanti dai movimenti franosi, avrebbero potuto evitare i danni poi verificatisi due anni più tardi, diventa irrilevante stabilire in quale misura l’errore del geologo abbia avuto sulle determinazioni assunte dal Comune in punto rilascio della “concessione in variante”, o sulla circostanza che la relazione del professionista coinvolgerebbe, in realtà, profili di responsabilità di una pubblica autorità (il Genio Civile) diversa dall’Ente municipale.

Come visto, infatti, il ricorrente non si confronta con la “ratio decidendi” della sentenza impugnata, che affermato la responsabilità del Comune di Manoppello per la sua inerzia, sicchè opera – nella specie – il principio secondo cui, ove la sentenza “sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza” (da ultimo, Cass. Sez. 6-5, ord. 18 aprile 2017, n. 9752, Rv. 643802-01).

8. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

9. A carico del ricorrente sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condannando il Comune di Manoppello a rifondere alla società Allianz. S.p.a. e a D’.Lu.Lo. all’Ente Acquedotti Siciliani in liquidazione le spese del presente giudizio, che liquida – per ciascuna di esse – in Euro 3.200,00, più Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 21 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2019

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