Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.23836 del 25/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31510-2018 proposto da:

N.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato TERESA VASSALLO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO *****;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2523/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 10/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 07/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA IOFRIDA.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Venezia, con decreto n. 2523/2018, ha respinto l’appello di Nadeem Aktar, cittadino del Pakistan, avverso l’ordinanza del Tribunale di Venezia, con la quale era stata dichiarata l’inammissibilità dell’opposizione proposta avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale, di diniego della protezione internazionale.

In particolare, la Corte d’appello, pur riformando la decisione in rito di primo grado, ha respinto, nel merito, la richiesta di protezione internazionale, rilevando che la vicenda personale narrata dal richiedente (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine per sfuggire alle minacce di alcuni terroristi, cui, quale agente immobiliare, aveva affittato una casa e che si erano resi protagonisti di un attentato) risultava non credibile, inverosimile e comunque, in difetto di adeguata allegazione, non integrava i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero della protezione sussidiaria (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b)); inoltre, quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), la regione di provenienza del richiedente (il Punjab) non risultava interessata da una violenza indiscriminata; non si ravvisavano neppure i presupposti per la protezione umanitaria, in difetto di allegazione di specifici rischi e vulnerabilità, avendo oltretutto il richiedente ammesso di avere mantenuto rapporti con la famiglia d’origine.

Avverso la suddetta sentenza, Nadeem Aktar propone ricorso per cassazione, affidato ad unico plurimo motivo, nei confronti del Ministero dell’Interno (che non svolge attività difensiva). E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con unico motivo, privo di specificazione in ordine al tipo di vizio denunciato (ex art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5), che la sentenza sarebbe non congruamente motivata, con riguardo al giudizio di inattendibilità del racconto del richiedente, “non sufficientemente valutato ed approfondito”, e, quanto alla protezione umanitaria, “errata”, laddove ha ritenuto irrilevante “l’inserimento socio lavorativo” del richiedente.

2. Il ricorso è inammissibile.

Invero, al di là della mancata enucleazione di specifici vizi del provvedimento impugnato, il ricorso si presenta del tutto generico, astratto e privo di puntuali contestazioni di quanto statuito dalla Corte territoriale.

Anche con riguardo alla doglianza relativa alla richiesta di protezione umanitaria, il ricorso non prende in esame il decisum.

In ogni caso, la sentenza non risulta affetta da vizio di motivazione del tutto illogica ed incoerente.

Questa Corte, a Sezioni Unite, ha di recente chiarito (SS.UU. 22232 del 03/11/2016) che “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (nella specie la S.C. ha ritenuto tale una motivazione caratterizzata da considerazioni affatto incongrue rispetto alle questioni prospettate, utilizzabili, al più, come materiale di base per altre successive argomentazioni, invece mancate, idonee a sorreggere la decisione).

Nella fattispecie de qua, invero, la Corte d’appello ha espresso, in modo ampio ed esaustivo, le ragioni giuridiche fattuali poste a fondamento della propria decisione, non potendo conseguentemente prospettarsi, sotto tale profilo, alcun vizio comportante la nullità della pronuncia medesima.

3. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso. Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2019

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