LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. CATALDI Michele – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –
Dott. BERNAZZANI Paolo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20120-2015 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
M.L., domiciliata in ROMA P.ZZA CAVOUR presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’Avvocato FABIO PACE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1032/2014 della COMM. TRIB. REG. del Piemonte, depositata il 24/09/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 09/04/2019 dal Consigliere Dott. Paolo Bernazzani.
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate propone ricorso per la cassazione della sentenza della CTR del Piemonte n. 1032/22/14 pronunciata il 1.7.2014 e depositata il 24.9.2014, emessa in sede di giudizio di rinvio a seguito di ordinanza n. 30332 del 2011 di questa Corte, in controversia relativa alla impugnazione proposta da M.L., in qualità di erede di D.A.G., ex dirigente Enel iscritto al Fondo pensione denominato “*****” avverso il silenzio rifiuto opposto dall’amministrazione all’istanza di rimborso delle ritenute Irpef applicate dal datore di lavoro (ENEL) all’atto della corresponsione, avvenuta nel 2000, di una somma a titolo di liquidazione anticipata di pensione integrativa come da accordo collettivo stipulato nel 1996.
Con la predetta ordinanza n. 30332 del 2011, in particolare, questa Corte, richiamando Cass. Sez. U. 22/06/2011, n. 13642, secondo cui “In tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, ad un Fondo di previdenza complementare aziendale ò a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui all’art. 16 T.U.I.R., comma 1, lett. a) ed all’art. 17 T.U.I.R., solo per quanto riguarda la “sorte capitale” corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre le somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. n. 482 del 1985, art. 6; b) per gli importi maturati a decorrere dal 1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui all’art. 16 T.U.I.R., comma 1, lett. a) ed all’art. 17 T.U.I.R.”, ha accolto parzialmente il ricorso principale dell’Ufficio, stabilendo che agli importi maturati entro il 31 dicembre 2000, “va applicata la ritenuta del 12,50 sulle sole somme erogate a titolo di rendita finanziaria” ed ha conseguentemente rinviato la causa al giudice del merito per la determinazione della somma proveniente dalla liquidazione del c.d. rendimento di polizza, alla quale soltanto va applicata la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. n. 482 del 1985, art. 6, per gli importi maturati non oltre il 31 dicembre 2000.
La CTR del Piemonte, con l’impugnata sentenza, ha confermato la decisione di prime cure che aveva accolto il ricorso del contribuente, disponendo il rimborso nella misura di Euro 94.678,64 (così rideterminata in corso di causa), compensando le spese.
In tale prospettiva ha affermato la decisione citata che, nel caso in esame, la contribuente aveva documentato l’importo corrispondente al c.d. rendimento, con conseguente rigetto della tesi dell’Ufficio, secondo cui non era stata dimostrata dal contribuente “l’effettiva corrispondenza fra la somma evidenziata ai fini del rimborso e la quota relativa al rendimento, come indicato nei principi di riferimento della Suprema Corte”; in tal senso, la CTR ha ritenuto “ininfluente il fatto che gli enti suddetti responsabili della gestione ***** operassero specificamente in ambito finanziario, trattandosi in ogni caso di un reddito di capitale” ed ha affermato che la contribuente aveva assolto all’onere probatorio preteso in capo alla stessa, in considerazione “della precisione dei calcoli prodotti e delle certificazioni allegate agli atti, che era onere dell’Ufficio contestare”, mentre non risultava “alcuna opposizione in tal senso nel ricorso introduttivo”.
Il ricorso dell’Agenzia delle entrate è affidato a due motivi. Resiste la contribuente con controricorso. La stessa ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, l’Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, dell’art. 384 c.p.c., dell’art. 2697 c.c. e ss., lamentando che la CTR ha violato il principio di diritto a cui avrebbe dovuto uniformarsi; i giudici di appello, in particolare, avrebbero dovuto determinare le somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento sulle quali soltanto applicare l’aliquota del 12,50%.
1.1. Sostiene l’Ufficio che detto rendimento deve essere inteso non come quota meramente residuale rispetto all’ammontare dei contributi versati (cioè differenza fra capitale erogato e contributi versati) ma come somma derivante dall’investimento concreto degli accantonamenti del Fondo sul mercato finanziario: la CTR, quindi, avrebbe dovuto accertare l’esistenza di tale impiego sul mercato del capitale accantonato ed il conseguente rendimento conseguito in relazione a tale impiego, e non fare mero richiamo alla documentazione fornita dall’Enel, che non provava il presupposto essenziale sopraindicato.
1.2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, degli artt. 115 e 384 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., e ss., da ravvisarsi laddove la sentenza impugnata ha ritenuto provata l’esistenza del rendimento sulla base di documentazione di provenienza Enel dalla quale non era affatto desumibile l’impiego di somme sui mercati finanziari ed il conseguente rendimento, con violazione delle regole in tema di onere della prova. Inoltre, la CTR ha aggiunto che l’Ufficio non aveva contestato la certificazione prodotta ed i relativi calcoli forniti dal contribuente nel giudizio di merito; in realtà, l’Ufficio aveva sin ab origine contestato la stessa sussistenza del diritto al rimborso in quanto tale, sostenendo che non esistevano redditi di capitale produttivi di rendimento assoggettabile all’aliquota del 12,50%, onde non era necessaria l’ulteriore e specifica contestazione della certificazione Enel; inoltre, l’Agenzia, in esito all’annullamento con rinvio, aveva precisato che la controparte avrebbe dovuto dimostrare il rendimento nei termini indicati dalla Suprema Corte, ossia la sua derivazione dal concreto investimento di capitale sul mercato finanziario.
1.3. Nel controricorso depositato in atti, la contribuente sostiene, in primo luogo, l’inammissibilità dei proposti motivi, in quanto miranti ad una revisione degli accertamenti di fatto, per giunta non contestati dall’Ufficio, con particolare riferimento alla tipologia ed all’ammontare del rendimento; in ogni caso, assume che le Sezioni Unite, con le sentenze nn. 13642 e 13643 del 2011, quando hanno fatto riferimento al “rendimento netto” imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato, hanno inteso riferirsi al mero “rendimento di polizza”, rapportato alla natura previdenziale – assicurativa propria del Fondo *****; ha, inoltre, sottolineato che i “rendimenti” prodotti dalla gestione dei “vecchi fondi” avevano la caratteristica di rendimenti di origine assicurativa, anche se non prodotti da imprese assicuratrici, a condizione che ricorresse quel minimo comune denominatore da tempo individuato nell’adozione da parte degli stessi Fondi delle “riserve matematiche” e dei sistemi tecnico – finanziari della capitalizzazione tipici delle imprese assicurative; ha, ulteriormente, precisato che il fondo ***** era finanziato da Enel attraverso accantonamenti a bilancio pur senza specifico fondo di destinazione, onde il patrimonio ***** era frammisto a tutto il patrimonio operativo Enel e la redditività degli accantonamenti effettuati a bilancio da Enel per il finanziamento delle prestazioni garantite dal Fondo ***** era pari a quella generale dell’intero patrimonio della società durante la sua attività operativa. Sempre riguardo alla specifica determinazione del “rendimento netto”, la difesa della contribuente afferma che esso deve essere determinato in misura pari alla differenza fra l’importo complessivo erogato al dirigente e quello dei contributi versati e del capitale iniziale di dotazione *****, senza necessità di fare riferimento ad investimenti sul mercato finanziario (aggettivo affatto menzionato dalle Sezioni Unite nella citate decisioni), posto che “anche i rendimenti rivenienti dalla gestione operativa dell’Enel, erogati al dirigente, rientrano nella nozione am***** tratteggiata dalle Sezioni unite” onde il rendimento netto deve essere identificato, pro quota, negli utili che il citato patrimonio netto produsse annualmente. In tale ottica, sono state richiamate sia la certificazione Enel rilasciata a firma del Dott. B.P., sia la relazione tecnica attuariale prodotta dalla contribuente che, sulla base degli esposti criteri, aveva quantificato le somme da tassare al 12,50%.
2. I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono fondati.
2.1. Va premesso che la fattispecie in esame e le stesse argomentazioni formulate dalle parti ricorrente corrispondono a quelle ripetutamente esaminate da questa Corte sotto i connessi profili della individuazione della nozione di rendimento e della prova dello stesso.
In tale prospettiva, il Collegio intende ribadire e dare continuità all’impostazione adottata dall’indirizzo prevalente di questa Sezione, con le precisazioni già evidenziate da alcune recenti decisioni, fra le quali possono validamente richiamarsi, per la puntualità e completezza argomentativa, Sez. 5, n. 10285 del 26/04/2017, nonchè Sez. 5, n. 15853 del 15/06/2018, Rv. 649228 01.
Appare opportuno, dunque, ripercorrere, in rapida sintesi, i termini della complessa questione che ha originato la richiamata pronuncia delle Sezioni Unite.
– A decorrere dal 1.1.1986 (in base all’art. 12 CCNL, comma 4, del 16 maggio 1985, recepito dall’Enel) venne prevista, a favore dei dirigenti Enel, la stipulazione di un’assicurazione sulla vita con la previsione dell’erogazione di una prestazione all’atto del collocamento a riposo. Successivamente, sempre nel 1986, in forza di un accordo fra l’Enel e la Federazione nazionale dirigenti di aziende industriali (Fndai), tale trattamento assicurativo fu sostituito con un rapporto di previdenza pensionistica integrativa (c.d. *****, Previdenza Integrativa Aziendale) con prestazioni da erogare in forma di trattamento periodico (ciò peraltro con efficacia retroattiva al 1.1.1986, onde la previsione relativa alla stipula di polizze vita di fatto non venne mai applicata).
– Tale forma di previdenza venne però dismessa nel 1998 e i fondi accumulati trasferiti a Fondenel, Fondo di Previdenza integrativa esterno, che doveva gestire una forma di previdenza complementare a capitalizzazione individuale, che consentiva ai dirigenti Enel che vi avevano aderito alla liquidazione dell’intero capitale accumulato in luogo della rendita vitalizia, previa richiesta al momento della cessazione del rapporto di lavoro.
– Sotto il profilo del regime fiscale di tale prestazione, si registrava una contrapposizione fra: a) la tesi patrocinata dai dirigenti-contribuenti, secondo cui il capitale richiesto, in quanto originato da un contratto assicurativo, deve essere assoggettato alla ritenuta a titolo di imposta nella misura del 12,50% ai sensi della L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6 (e ciò quantomeno sulla differenza tra l’ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi riscossi, ridotta del 2 % per ogni anno successivo al decimo se il capitale è corrisposto dopo almeno dieci anni dalla conclusione del contratto, ai sensi dell’art. 42 t.u.i.r., comma 4); b) la tesi dell’Amministrazione finanziaria, secondo cui detta erogazione non costituisce reddito di capitale in dipendenza di un contratto assicurativo sulla vita, ma va qualificata come reddito di lavoro dipendente, soggetto a tassazione separata ai sensi dell’art. 16 t.u.i.r., comma 1, lett. a) e dell’art. 17 t.u.i.r..
2.2. Nello sciogliere il nodo interpretativo ed il correlativo contrasto insorto nella giurisprudenza di legittimità, la citata sentenza delle Sezioni Unite ha enunciato il principio di diritto che, come noto, affermà: “in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, ad un Fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino a 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a) ed all’art. 17 (T.U.I.R.), solo per quanto riguarda la “sorte capitale” corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. n. 482 del 1985, art. 6; b) per gli importi maturati a decorrere dai 1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a), ed all’art. art. 17 t.u.i.r.”.
La Corte, pertanto, ha operato una distinzione fra la situazione dei soggetti già iscritti a forme pensionistiche complementari prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124 (28 aprile 1993) e quella degli iscritti a forme analoghe in epoca successiva a tale discrimine normativo – temporale (D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 13, comma 9, assoggetta le prestazioni in forma di capitale “comunque” a tassazione separata): discrimine discendente dalla norma interpretativa di cui al D.L. 31 dicembre 1996 n. 669, art. 1, comma 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 febbraio 1997 n. 30; ha, quindi, evidenziato che “a questa situazione “binaria”, che distingue tra “vecchi iscritti” e “nuovi iscritti” a forme pensionistiche complementari, pose fine il D.Lgs. 18 febbraio 2000, n. 47, art. 12, comma 1, (come modificato dal D.Lgs. 12 aprile 2001, n. 168, art. 9, comma 1, lett. a)), a norma del quale “per i soggetti che risultano iscritti a forme pensionistiche complementari alla data da cui ha effetto il presente decreto, le disposizioni introdotte dall’art. 10.3) relativamente al “trattamento tributario delle prestazioni pensionistiche erogate ai sensi del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124)… si applicano alle prestazioni riferibili agli importi maturati a decorrere dal 1 gennaio 2001. Per i medesimi soggetti, relativamente alle prestazioni maturate fino a tale data, continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti anteriormente”.
2.3. In conclusione, sono soggetti a tassazione separata ai sensi dell’art. 16, comma 1, lett. a) e dell’art. 17 t.u.i.r., senza alcuna distinzione circa la loro interna composizione, sia i capitali (tutti) maturati dai soggetti iscritti a forme pensionistiche complementari dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, sia i capitali maturati successivamente al 1 gennaio 2001 dai soggetti iscritti a forme pensionistiche complementari anteriormente all’entrata in vigore di quest’ultimo provvedimento. Quanto, invece, ai capitali maturati anteriormente alla predetta data dai soggetti iscritti a forme pensionistiche complementari anteriormente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993 – in relazione ai quali occorre applicare, come detto, “le disposizioni vigenti anteriormente” – le Sezioni Unite hanno evidenziato che “il trattamento tributario delle prestazioni erogate non è, e non può essere, indipendente dalla composizione strutturale delle prestazioni stesse”, le quali “nel caso concreto, trattandosi di un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono composte da una “sorte capitale”, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro (e in notevole minor misura dal lavoratore), e da un “rendimento netto”, imputabile alla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato”. “Sicchè” – ha soggiunto la Corte – “possono essere tassate in modo analogo al t.f.r. esclusivamente le somme liquidate a titolo di capitale, mentre alle somme corrispondenti al rendimento di polizza (nella fattispecie *****), si applica la tassazione nella misura del 12,50 per cento ai sensi della L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6”.
3. Successivamente alla citata pronuncia delle Sezioni Unite, si sono sviluppate tra le parti in lite contrapposte interpretazioni circa il concetto di “rendimento netto”, cui applicare la ritenuta del 12,50%, che trovano riscontro anche nella presente controversia: si è, infatti, prospettata – anche da parte dell’odierna contribuente -, la tesi secondo cui, con riferimento almeno alla parte del capitale corrisposto riferibile agli accantonamenti in ***** (anteriori dunque al 1998), il criterio impositivo previsto dalla L. n. 482 del 1985, art. 6, andrebbe comunque applicato alla differenza tra detto capitale e il complessivo ammontare dei premi, essendo stati questi ultimi versati in funzione di un programma avente origine assicurativa e in coerenza, pertanto, con quanto previsto dalla citata disposizione che riferisce il detto criterio, espressamente, ai “capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita, esclusi quelli corrisposti a seguito di decesso dell’assicurato”. Per converso, l’Amministrazione finanziaria ha sostenuto che, avendo avuto il *****no ***** natura e scopo previdenziali e avendo esso operato attraverso l’accantonamento, secondo tecniche attuariali, di somme in assoluta prevalenza versate dall’ente datore di lavoro, idonee a costituire riserva matematica sufficiente a coprire sin da subito le prestazioni erogande (a loro volta commisurate su base retributiva, e non contributiva), queste ultime, à fini fiscali, in nulla si differenziavano dal TFR e andavano pertanto soggette, quale retribuzione differita, a tassazione separata ai sensi dell’art. 16 T.U.I.R., comma 1, lett. a) e dell’art. 17 t.u.i.r..
3.1. Sul punto, va ricordato che la successiva giurisprudenza di questa Corte ha adottato, con numerosissimi arresti, di gran lunga prevalenti su quelli di segno diverso, una lettura del principio affermato dalle Sezioni Unite secondo la quale il descritto più favorevole criterio impositivo può trovare applicazione limitatamente alle somme rivenienti dall’effettivo investimento, da parte del fondo, sul mercato finanziario, del capitale accantonato e che ne costituiscono il rendimento (cfr., ex plurimis, Cass. 29/12/2011, n. 29583; Cass. 12/01/2012, n. 280; Cass. 04/04/2012, n. 5376; Cass. 25/05/2012, n. 8320; 27/03/2013, nn. 7724-7728; Cass. 22/05/2013, nn. 12491- 12496; Cass. 02/10/2013, n. 22492; Cass. 09/10/2013, n. 22950; Cass. 12/02/2014, n. 3132; Cass. 12/02/2014, n. 3136; Cass. 19/03/2014, n. 6380; Cass. 09/04/2014, n. 8310; Cass. 04/02/2015, n. 1977; Cass. 22/05/2015, n. 10604; Cass. 13/01/2017, n. 720).
3.2. Ritiene il Collegio di aderire a questo orientamento, come osservato del tutto prevalente, facendo proprie altresì le precisazioni operate, fra le altre, dalla già richiamata sentenza n. 10285/17.
Va, pertanto, ribadito quanto affermato da tale ultima decisione, ossia, innanzitutto, che “l’applicazione del più favorevole meccanismo impositivo ai sensi della L. n. 482 del 1985, ex art. 6, si giustifica in ragione della “equiparazione” tra i capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e (quelli corrisposti in dipendenza di contratti) di capitalizzazione posta dall’art. 41 t.u.i.r. (ora 44), comma 1, lett. g – quater) e dall’art. 42 t.u.i.r., (ora 45), comma 4. Non già, dunque, per effetto di una diretta riconduzione della fattispecie alla previsione di cui alla L. n. 482 del 1985, art. 6 (invero espressamente riferita solo ai capitali corrisposti da “imprese di assicurazione” in dipendenza di “contratti di assicurazione sulla vita, esclusi quelli corrisposti a seguito di decesso dell’assicurato”), ma solo in via di applicazione analogica di tale disposizione ai capitali corrisposti in dipendenza di contratti di capitalizzazione, analogia a sua volta giustificata dalla comune considerazione delle due fattispecie nel t.u.i.r., quali ipotesi omogenee di redditi di capitale. Non si è mai dubitato, dunque, che la ragione della eventuale assoggettabilità a detto meccanismo dei capitali corrisposti, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, ai dirigenti Enel aderenti al descritto fondo di previdenza integrativa, non vada ricercata – neppure con riferimento a quelli riferibili agli accantonamenti operati in regime di ***** prima del 1998 – in una non predicabile natura assicurativa della prestazione, nè tanto meno del soggetto erogante, quanto piuttosto nella possibilità di ravvisare in quelle prestazioni redditi di capitale derivanti da contratti di capitalizzazione (e nei limiti in cui tale possibilità sussista)”.
Che non si tratti di redditi derivanti da contratti di assicurazione sulla vita lo si può desumere, del resto, dal contenuto degli accordi succedutisi nel tempo tra Enel e organizzazioni sindacali di categoria; la stessa contribuente, del resto, affida la tesi della natura assicurativa delle prestazioni di che trattasi, ai fini predetti, alla considerazione che il fondo di previdenza integrativa denominato ***** era destinato a garantire, sin da subito, una prestazione previdenziale complementare pari al 70% della differenza intercorrente tra la retribuzione individuale e il valore annuo massimo della pensione erogabile dal sistema previdenziale obbligatorio, e ciò attraverso la necessaria adozione di riserve matematiche e di sistemi tecnico attuariali di capitalizzazione “tipici delle imprese assicurative”.
3.3. Orbene, in tale ottica, non può che ribadirsi che, contrariamente all’assunto della parte, che individua proprio in tale meccanismo il minimo comune denominatore che consentirebbe di considerare i rendimenti in questione di natura assicurativa, è evidente che si tratta, piuttosto, di un mero criterio matematico funzionale alla quantificazione delle risorse necessarie per garantire la copertura richiesta dalle prestazioni concordate, come tale neutro e privo di significato ai fini della qualificazione di queste ultime, che resta legata ad altri elementi, quali la causa del contratto e la provenienza delle risorse medesime.
Pertanto, solo se – ed in quanto – i capitali corrisposti siano “redditi di capitale derivanti da contratti di capitalizzazione” si può giustificare l’applicazione del meccanismo impositivo di cui alla L. n. 482 del 1985, art. 6; e, a tale riguardo, si deve pertanto escludere la possibilità di distinguere tra ***** e Fondenel – ossia tra rendimenti degli accantonamenti operati prima del 1998 nel fondo denominato ***** e rendimenti riferibili invece alla gestione Fondenel del periodo successivo – e considerare i primi comunque assoggettabili al detto meccanismo in ragione di una presunta, ma come detto insussistente, natura assicurativa delle prestazioni.
Va ribadito che tale distinta considerazione non può, in particolare, ricavarsi dal citato arresto delle Sezioni Unite, il quale invero descrive il fondo de quo in termini chiari e univoci, e senza alcuna distinzione rispetto alle diverse configurazioni succedutesi nel tempo, quale “fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente” le cui prestazioni sono composte “da una “sorte capitale”, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro (e in notevole minor misura dal lavoratore), e da un “rendimento netto”, imputabile alla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato”. Data tale premessa non può dubitarsi – anche per la congiunzione “sicchè” che lega i due periodi da nesso logico di conseguenzialità -che il successivo riferimento testuale al “rendimento di polizza (nella fattispecie *****)” abbia solo un valore descrittivo/esemplificativo della parte dei capitali corrisposti eventualmente tassabile nella misura del 12,50 % ai sensi della L. n. 482 del 1985, art. 6, fermo restando il requisito poco prima indicato perchè un tale rendimento possa effettivamente identificarsi, rappresentato dall’essere lo stesso discendente dalla “gestione sul mercato del capitale accantonato”.
Va, pertanto, confermata la conclusione che l’aliquota del 12,50% ai sensi della L. n. 482 del 1985, ex art. 6, si applica ai capitali, maturati anteriormente al 1 gennaio 2001 dai soggetti iscritti al fondo di previdenza integrativa di che trattasi (*****, poi Fondenel) prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, limitatamente a quella parte di essi costituita dal rendimento netto, derivante dalla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato. Tale requisito deve essere accertato, dunque, anche per i capitali maturati e gli accantonamenti effettuati anteriormente alla trasformazione del fondo da ***** a Fondenel.
3.4. Ciò posto, questo Collegio ritiene, altresì, condividere e di dare continuità all’ulteriore principio secondo cui, per somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento devono intendersi quelle derivanti dall’effettivo investimento del capitale accantonato sul mercato, non necessariamente finanziario: invero, la limitazione di tale requisito ai soli investimenti nel mercato finanziario (secondo l’indicazione contenuta nella Risoluzione n. 102/E del 26 novembre 2012 dell’A.d.e., avallata da diverse sentenze successive alla pronuncia delle S.U.: cfr. Cass. nn. 7724-7728, 12491-12496, 22950 del 2013; nn. 3136, 6380 e 8310 del 2014; n. 1977 del 2015), non è desumibile dalla sentenza delle Sezioni Unite che fa riferimento soltanto alla “gestione sul mercato”, senza alcuna aggettivazione.
3.5. E’ però da escludersi che tale requisito possa considerarsi soddisfatto dall’essere il rendimento ottenuto corrispondente alla redditività ottenuta sul mercato dell’intero patrimonio dell’Enel (rapporto tra il margine operativo lordo e il capitale investito). Tale coerenza (del rendimento ottenuto dal capitale accantonato con quello ottenuto dal patrimonio dell’Enel) costituisce, infatti, comunque un dato estrinseco e non causale, nel senso che il primo non può comunque considerarsi frutto dell’investimento di quegli accantonamenti nel libero mercato, come richiesto perchè abbia a configurarsi il reddito da capitale della specie richiesta, essendo al contrario esso stesso dipeso da un predeterminato calcolo di matematica attuariale.
3.6. Può in conclusione enunciarsi, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, il seguente principio di diritto: “in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati a decorrere dal 1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 2 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a) ed art. 17 (nel testo vigente ratione temporis); b) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, invece, la prestazione è assoggettata a detto regime di tassazione separata solo per quanto riguarda la sorte capitale, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore e corrispondente all’attribuzione 16 patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6, alle somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento. Sono tali le somme derivanti dall’effettivo investimento del capitale accantonato sul mercato – non necessariamente finanziario – non anche quelle calcolate attraverso l’adozione di riserve matematiche e di sistemi tecnico-attuariali di capitalizzazione, al fine di garantire la copertura richiesta dalle prestazioni previdenziali concordate”.
4. Alla luce delle considerazioni sin qui svolte la sentenza impugnata la quale peraltro, senza illustrare adeguatamente le ragioni per cui era stata data valenza alle risultanze della certificazione redatta dalla stessa Enel e degli elementi di calcolo prospettati dalla contribuente, non ha fatto corretta applicazione di tali principi, dovendo escludersi che possa trovare spazio un rendimento di polizza calcolato attraverso l’adozione di riserve matematiche e di sistemi tecnico-attuariali di capitalizzazione, al fine di garantire la copertura richiesta dalle prestazioni previdenziali concordate, nè potendo identificarsi il valore del rendimento di cui trattasi con l’applicazione al capitale accantonato e vincolato del rendimento medio deducibile dai bilanci contabili della società e dovendo, per converso, essere accertato l’effettivo investimento del capitale accantonato sul mercato, non necessariamente finanziario.
5. A ciò si aggiunga, con riferimento alla dedotta mancata contestazione da parte dell’Ufficio della natura e dell’entità del rendimento indicato dalla contribuente, che occorre avere riguardo al principio, già espresso nella specifica materia da questa Corte (cfr. Sez. 6-5, n. 9732 del 12/05/2016, Rv. 639869 – 01), secondo cui “in tema di contenzioso tributario, il difetto di specifica contestazione dei conteggi funzionali alla quantificazione del credito oggetto della pretesa dell’attore-contribuente che abbia articolato istanza di rimborso di un tributo, può avere rilievo solo quando si riferisca a fatti non incompatibili con le ragioni della contestazione dell’an debeatur, poichè il principio di non contestazione opera sul *****no della prova e non contrasta nè supera il diverso principio per cui la mancata presa di posizione sul tema introdotto dal contribuente non restringe il thema decidendum ai soli motivi contestati se sia stato chiesto il rigetto dell’intera domanda”.
Nel caso in esame, come evincibile dagli atti del giudizio, debitamente riprodotti nel ricorso ai fini dell’autosufficienza, l’Ufficio ha sin ab origine negato in radice l’esistenza stessa del preteso diritto del contribuente al rimborso e, quindi, l’esistenza dei presupposti dell’applicabilità dell’aliquota del 12,50% alla fattispecie; nel che è chiaramente ricompresa anche la contestazione circa la natura e l’eventuale ammontare del preteso rendimento.
6. Alla luce delle considerazioni sin qui svolte la sentenza impugnata va cassata e va disposto il rinvio alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, la quale provvederà al riesame e al regolamento delle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 9 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2019