Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.23883 del 25/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24778/2013 R.G. proposto da:

V.Z., rappresentato e difeso dall’Avv. Buonafede Achille e dall’Avv. Bernardi Chiara, elettivamente domiciliato presso lo studio del primo, in Roma, Via Federico Cesi n. 72, in virtù di delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata, in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana, n. 46/2013, depositata il 26 marzo 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 maggio 2019 dal Consigliere D’Orazio Luigi.

RITENUTO IN FATTO

1. L’Agenzia delle entrate, su segnalazione di N.C., emetteva avviso di accertamento nei confronti di V.Z., per l’anno 2005, evidenziando che questi aveva stipulato un contratto preliminare il 4-8-2004 con le signore N.C. e L.P., che queste ultime avevano promesso di vendergli il lotto B, che il prezzo (Euro 79.080,00 oltre Iva) sarebbe stato pagato con i lavori svolti dal contribuente sul lotto A, pure di proprietà delle signore, che il contratto definitivo era stato stipulato il 22-12-2005, ma il V. non aveva emesso la fattura per i lavori svolti.

2. La Commissione tributaria regionale riteneva inammissibile, per carenza di specificità dei motivi, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, l’appello proposto dal contribuente, avverso la sentenza di primo grado, che aveva rigettava il ricorso.

3. Propone ricorso per cassazione il contribuente.

8. Non ha svolto attività difensiva l’Agenzia delle entrate.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di impugnazione il contribuente deduce “art. 360 c.p.c., n. 2, falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53”, in quanto la Commissione tributaria regionale ha erroneamente ritenuto che era inammissibile l’atto di gravame da lui proposto avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale, per genericità dei motivi addotti.

1.1. Tale motivo è fondato.

Invero, il ricorrente ha riportato sia il testo della motivazione della sentenza della Commissione tributaria provinciale, che rigettava il ricorso del contribuente, evidenziando, tra l’altro, che il mancato rispetto del termine di sessanta giorni di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 (applicabile solo nei casi di verifica mediante accesso nei locali dell’impresa) era stato determinato dalla circostanza che il procedimento era stato attivato dalla denuncia di un privato, sia il gravame proposto dal V. avverso tale decisione, sicchè il motivo è autosufficiente perchè adeguatamente esposto nella sua completezza. Infatti, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso. Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità (Cass. Civ., 29 settembre 2017, n. 22880).

Nella sentenza della Commissione provinciale si afferma che “la mancata osservanza del termine trova, pertanto, giustificazione nell’interesse superiore di tutela del possibile credito erariale non precludendo in toto al contribuente il diritto di difesa”. Inoltre, si aggiunge che “non può essere accolta la deduzione difensiva che vorrebbe spostare sul piano privato e personale, sottraendola ad imposizione fiscale, la realizzazione delle opere dedotte poi in compensazione sul successivo atto di compravendita dell’immobile”. La Commissione, poi, precisa che “assumono rilevanza ai fini probatori ai sensi dell’art. 2697 c.c. sia le fatture rinvenute in contabilità attestanti l’esecuzione dei lavori in regime d’impresa sia il contratto preliminare”.

A fronte di tale motivazione, il contribuente ha censurato tutti i passaggi logici della motivazione, affermando nell’appello, quanto al primo profilo, che “appare del tutto fuori luogo giustificare la motivata urgenza da parte dell’Ufficio sull’emissione dell’avviso di accertamento prima dello scadere dei 60 giorni, in quanto la denuncia presentata dal cittadino sarebbe stata presentata sul finire dell’anno”. Quanto al secondo profilo, l’appellante ha precisato che P. doveva essere applicata con l’aliquota del 4 % se prima casa, oppure del 10 %% se seconda casa, ma non nella misura del 20 A). Inoltre, per l’appellante doveva tenersi conto del mutuo ipotecario per Euro 62.000,00 stipulato dal V. il 22-12-2005, proprio nella data di stipula del contratto definitivo di compravendita. Quanto al terzo profilo, l’appellante ha dedotto che le fatture rinvenute erano state emesse dalla ditta B. e riguardavano porte e finestre per l’anno 2006. L’ultimo motivo censurava la condanna alle spese.

I motivi di gravame dinanzi alla Commissione tributaria regionale, quindi, risultavano indirizzati ad inficiare la ratio decidendi della motivazione della sentenza della Commissione provinciale. Non si trattava della mera riproposizione delle stesse censure formulate avverso l’avviso di accertamento, ma di precise e puntuali deduzioni avverso la motivazione della sentenza di prime cure.

Per giurisprudenza di legittimità, infatti, in tema di contenzioso tributario, la mancanza o l’assoluta incertezza dei motivi specifici dell’impugnazione, le quali, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, determinano l’inammissibilità del ricorso in appello, non sono ravvisabili qualora il gravame, benchè formulato in modo sintetico, contenga una motivazione interpretabile in modo inequivoco, potendo gli elementi di specificità dei motivi essere ricavati, anche per implicito, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni (Cass.Civ., 24 agosto 2017, n. 20379).

Invero, costituisce principio consolidato quello per cui, nel processo tributario, la riproposizione, a supporto dell’appello proposto dal contribuente, delle ragioni di impugnazione del provvedimento impositivo in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, atteso il carattere devolutivo pieno, in tale giudizio, dell’appello, quale mezzo di gravame non limitato al controllo di vizi specifici, ma volto ad ottenere il riesame della causa nel merito (Cass., 23 novembre 2018, n. 30525).

2. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente deduce “art. 360 c.p.c., n. 4 – nullità della sentenza o del procedimento”, in quanto la Commissione regionale ha omesso di pronunciata sulla domanda di sospensione della efficacia esecutiva della sentenza di primo grado.

2.1. Tale motivo è assorbito, per l’accoglimento del primo motivo di impugnazione, con devoluzione al giudice del rinvio delle questioni assorbite.

La sentenza deve, allora, essere cassata con rinvio, in quanto nel giudizio di legittimità introdotto a seguito di ricorso per cassazione non possono trovare ingresso, e perciò non sono esaminabili, le questioni sulle quali, per qualunque ragione, il giudice inferiore non sia pronunciato per averle ritenute assorbite in virtù dell’accoglimento di un’eccezione pregiudiziale, con la conseguenza che, in dipendenza della cassazione della sentenza impugnata per l’accoglimento del motivo attinente alla questione assorbente, l’esame delle ulteriori questioni oggetto di censura va rimesso al giudice di rinvio, salva l’eventuale ricorribilità per cassazione avverso la successiva sentenza che abbia affrontato le suddette questioni precedentemente ritenute superate (Cass.Civ., 5 novembre 2014, n. 23558).

In tema di ricorso per cassazione, nell’ipotesi di omessa pronuncia dovuta al giudizio di assorbimento, la parte soccombente può impugnare la decisione in relazione alla sola questione su cui essa si basa, in quanto, in sede di legittimità, è superfluo enunciare tutte le diverse ed ulteriori questioni assorbite, che non possono formare oggetto di delibazione e su cui non può formarsi alcun giudicato interno, poichè non esaminate nel precedente grado di merito (Cass.Civ., 8 luglio 2014, n. 15583).

3. La sentenza va cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo, dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 30 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2019

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